Per la Sanità ci vogliono più fondi o meno sprechi?

La domanda del titolo non è in realtà un buon modo per render conto del lungo Rapporto 2017 della Fondazione Gimbe sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale, perché il Rapporto in realtà auspica entrambe le cose. E, però, almeno per me è difficile sposare fino in fondo la linea della Fondazione, per motivi che vedremo.

In primo luogo, dobbiamo dire cosa la Fondazione Gimbe (che ha un organigramma per la verità piuttosto scarno: poco più che il solo Presidente Nino Cartabellotta) intenda per sostenibilità del SSN: non già un contenimento delle spese in proporzione a dei vincoli di bilancio, bensì la capacità del sistema pubblico di rispondere alla propria missione, che in sostanza è quella di garantire i Livelli Essenziali di Assistenza (i LEA, appunto) che dovrebbero coincidere con le prestazioni sanitarie necessarie per la tutela fondamentale della salute di tutti noi cittadini.

Il Rapporto rileva quattro minacce per la sopravvivenza di un sistema pubblico di assistenza sanitaria con questa mission:

  1. Il “definanziamento” pubblico
  2. I nuovi LEA, non adeguati alla mission di cui sopra
  3. Gli sprechi e le inefficienze del sistema
  4. L’ipotrofia della spesa privata intermediata

È significativo che, nella comunicazione sugli organi di stampa, a “passare” sia stato invece un messaggio molto più univoco, ossia quello sugli sprechi. Questo è l’argomento che ha ottenuto i titoli un po’ ovunque, dal Corriere all’ANSA, da Radio24 a Repubblica. Non per questo, però, è l’unico su cui val la pena di soffermarsi.

Partiamo da una prima serie di evidenze offerte dal Rapporto, quella relativa alla ripartizione della spesa sanitaria:

ripartizione spesa sanitaria
Fonte: Gimbe, Rapporto 2017
Quello che correttamente osserva il Rapporto è che non solo la quota di spesa privata è cresciuta, ma essa è allocata in modo preoccupante, nel senso che è per la stragrande maggioranza costituita da spesa diretta dei cittadini, anziché dai Fondi sanitari integrativi (ad esempio quelli di categoria), che rappresentano una sorta di “seconda gamba” dell’assistenza sanitaria, perché sono in grado di negoziare convenzioni e prezzi con gli operatori privati, e perché sono regolati e incentivati anziché totalmente privatistici come le assicurazioni, mentre è chiaro che la spesa diretta dei cittadini (out-of-pocket) è la meno tutelabile. Da questo punto di vista è utile riportare anche una tabella di raffronto:

fondi vs assicurazioni
Fonte: Gimbe, Rapporto 2017
Insomma, dal punto di vista dei finanziamenti, l’allarme del Rapporto è che la spesa privata sta salendo, che è molto poco “intermediata”, e che questo rischia di portare rapidamente delle prestazioni sanitarie essenziali fuori della portata di una parte significativa dei cittadini.

Il secondo punto su cui vorrei concentrarmi è costituito dal principio di valore delle prestazioni, o value, come lo denomina il Rapporto. Per valore di una prestazione sanitaria si intende qui essenzialmente il rapporto tra beneficio in salute per il paziente e costo della prestazione; questo valore è in genere positivo ma molto variabile tra diverse prestazioni, ma può essere anche nullo (in caso di trattamenti inefficaci, ricoveri evitabili, ecc.) o addirittura negativo (in caso di esami inutili, terapie inadeguate, ecc.). Come il Rapporto sottolinea, non tutte le prestazioni a valore positivo possono e devono rientrare nei LEA che il SSN deve garantire; uno schema illustrativo di questo punto è quello riportato qui sotto:

value e ripartizione spesa
Fonte: Gimbe, Rapporto 2017
Questo è forse il punto più delicato di tutta l’analisi condotta nel Rapporto, ed è un punto che è ormai ineludibile: esistono prestazioni anche moderatamente utili che il SSN non deve garantire. Perché? Perché i fondi per il SSN sono limitati, e dichiarare nominalmente dovute tutte le prestazioni possibili significa concretamente negare in modo non trasparente alcune di quelle essenziali. In altre parole, il SSN deve scegliere, e lasciare che prestazioni sanitarie di moderato rilievo e utilità restino fuori di quello che il SSN stesso offre.

Questo punto è delicato perché si scontra con un assunto ideologico secondo cui il SSN dovrebbe essere universale e incondizionato. Questo assunto obiettivamente insostenibile nella pratica è però difficile da contrastare per via dei costi politici che ha, e per via del fatto che la “valutazione del valore” di una prestazione è complessa e metodologicamente a rischio di “condizionamenti politici”; inoltre, selezionare le prestazioni in base al loro valore comporta la possibilità di rendere oggettivamente inaccessibili alcune terapie estremamente costose quando la loro efficacia sia modesta, come dimostra l’esempio qui sotto che ho deliberatamente scelto tra quelli più “emotivamente” controversi presentati nel Rapporto: per facilitarne la lettura, oggi i trattamenti di Adroterapia nei tumori solidi pediatrici sono compresi nei LEA, mentre il monitoraggio via telemedicina dei pazienti con scompenso cardiaco non lo sono. Secondo gli autori del Rapporto, invece, il valore della prima prestazione è basso mentre quello della seconda è elevato. La linea che separa le prestazioni “in LEA” da quelle “fuori LEA” non sarebbe quindi verticale, come idealmente dovrebbe, ma diagonale, e quindi comprende voci a valore basso, nullo o addirittura negativo ed esclude alcune voci a valore elevato.

lea e non lea
Fonte: Gimbe, Rapporto 2017
Lasciando alla nostra riflessione il punto ora toccato, passo all’ultimo che è essenzialmente il rapporto tra finanziamento e sprechi. Il Rapporto rivendica, come dicevo, la necessità di un importante incremento dei finanziamenti pubblici del SSN, sulla base dei dati che ho sintetizzato e di molti altri, tra cui la spesa sanitaria media per abitante che in Italia è più bassa che in altri paesi. D’altra parte, la proiezione di spesa sanitaria totale che il Rapporto fa per i prossimi anni prevede una crescita notevole:

proiezione spesa
Fonte: Gimbe, Rapporto 2017
La curva del fabbisogno, come si vede, in questa proiezione che tiene conto degli attuali trend, diverge progressivamente dal totale sia dei fondi pubblici che possono essere previsti attualmente, sia pure in crescita (area blu), sia della spesa privata diretta e indiretta (aree rossa e gialla). Questo gap in progressivo allargamento indica appunto il rischio di insostenibilità di cui parlavamo, e corrisponde a una quota crescente di “perdita di salute pubblica”, per prevenire la quale occorre trovare risorse non in continuità con le politiche correnti.

Dove trovarle? Una fonte indicata dal Rapporto sono gli sprechi. Sulla base di una metodologia per la quale rinvio al Rapporto stesso, il Gimbe stima che in sostanza circa il 20% della spesa sia soggetto a sprechi, dove per spreco s’intende, in coerenza con quanto sopra, una spesa con valore nullo o negativo. Le categorie di spreco sono quindi numerose, ma anche intervenendo in modo efficace su di esse (cosa tutt’altro che probabile) il Gimbe valuta che il gap di finanziamento resterebbe rilevante, non inferiore a 16 miliardi di Euro nel 2025. Praticamente, servirebbe una manovra finanziaria all’anno per mantenere “sostenibile” il SSN; altrimenti, si dovrà “prendere atto che il SSN come tale non è più sostenibile ed è necessario programmare e governare adeguatamente la transizione a un sistema misto”.

Fin qui la sintesi di questo Rapporto, interessante anche per il metodo, molto lontano da ideologie e polemiche (non a caso la Fondazione rivendica un approccio evidence-based). Quello su cui concordo incondizionatamente è certamente l’idea che, con tutti i suoi difetti, il nostro servizio sanitario pubblico equo e universalistico” sia “la più grande conquista sociale dei cittadini italiani”; dove non concordo è invece la tesi per cui il SSN sia stato oggetto negli ultimi anni di pesanti “definanziamenti”. Basta in proposito osservare il grafico della spesa sanitaria pubblica incluso nello stesso Rapporto:

spesa ssn
Fonte: Gimbe, Rapporto 2017
Mi sembra evidente che, pur in presenza di una sostanziale stagnazione della spesa negli anni dal 2011 in poi (che, è bene ricordare, sono stati anni di recessione per l’economia nel suo complesso), la spesa sanitaria non è mai stata davvero tagliata. Semmai, alle crescenti richieste derivanti dall’invecchiamento della popolazione (che però in pochi anni non cambia poi molto) e dall’opportunità di rinnovare gli strumenti terapeutici, si può dire che la spesa pubblica non ha dato seguito. Mi sembra però parziale non guardare anche alla parte sinistra del grafico, che mostra una spesa sanitaria pubblica che aumenta praticamente del 50% in 10 anni, una tendenza folle che fortunatamente è poi stata arrestata. Invocare una ripresa di un simile trend ascendente non solo non è realistico, ma non è neanche equo; piuttosto, bisogna prendere atto che la spesa sanitaria resta in Italia un’imperscrutabile black box, affidata purtroppo a un’autonomia regionale che ha creato disparità enormi e sperperi, lontanissima da quel miraggio dei costi standard che abbiamo visto da tempo essere una barzelletta. Anche le stime del Rapporto sugli sprechi, infatti, si basano su un modello generale e non su una ricognizione effettiva della situazione sul territorio, impresa che peraltro la Fondazione non avrebbe il ruolo e le forze per compiere. Riprendere a riversare risorse a perdere in un sistema economicamente incontrollato non risolverebbe i suoi mali; per curare il SSN non bastano le trasfusioni, occorre affondare il bisturi nelle magagne delle Regioni.