La domanda del titolo non è in realtà un buon modo per render conto del lungo Rapporto 2017 della Fondazione Gimbe sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale, perché il Rapporto in realtà auspica entrambe le cose. E, però, almeno per me è difficile sposare fino in fondo la linea della Fondazione, per motivi che vedremo.
In primo luogo, dobbiamo dire cosa la Fondazione Gimbe (che ha un organigramma per la verità piuttosto scarno: poco più che il solo Presidente Nino Cartabellotta) intenda per sostenibilità del SSN: non già un contenimento delle spese in proporzione a dei vincoli di bilancio, bensì la capacità del sistema pubblico di rispondere alla propria missione, che in sostanza è quella di garantire i Livelli Essenziali di Assistenza (i LEA, appunto) che dovrebbero coincidere con le prestazioni sanitarie necessarie per la tutela fondamentale della salute di tutti noi cittadini.
Il Rapporto rileva quattro minacce per la sopravvivenza di un sistema pubblico di assistenza sanitaria con questa mission:
- Il “definanziamento” pubblico
- I nuovi LEA, non adeguati alla mission di cui sopra
- Gli sprechi e le inefficienze del sistema
- L’ipotrofia della spesa privata intermediata
È significativo che, nella comunicazione sugli organi di stampa, a “passare” sia stato invece un messaggio molto più univoco, ossia quello sugli sprechi. Questo è l’argomento che ha ottenuto i titoli un po’ ovunque, dal Corriere all’ANSA, da Radio24 a Repubblica. Non per questo, però, è l’unico su cui val la pena di soffermarsi.
Partiamo da una prima serie di evidenze offerte dal Rapporto, quella relativa alla ripartizione della spesa sanitaria:
Il secondo punto su cui vorrei concentrarmi è costituito dal principio di valore delle prestazioni, o value, come lo denomina il Rapporto. Per valore di una prestazione sanitaria si intende qui essenzialmente il rapporto tra beneficio in salute per il paziente e costo della prestazione; questo valore è in genere positivo ma molto variabile tra diverse prestazioni, ma può essere anche nullo (in caso di trattamenti inefficaci, ricoveri evitabili, ecc.) o addirittura negativo (in caso di esami inutili, terapie inadeguate, ecc.). Come il Rapporto sottolinea, non tutte le prestazioni a valore positivo possono e devono rientrare nei LEA che il SSN deve garantire; uno schema illustrativo di questo punto è quello riportato qui sotto:
Questo punto è delicato perché si scontra con un assunto ideologico secondo cui il SSN dovrebbe essere universale e incondizionato. Questo assunto obiettivamente insostenibile nella pratica è però difficile da contrastare per via dei costi politici che ha, e per via del fatto che la “valutazione del valore” di una prestazione è complessa e metodologicamente a rischio di “condizionamenti politici”; inoltre, selezionare le prestazioni in base al loro valore comporta la possibilità di rendere oggettivamente inaccessibili alcune terapie estremamente costose quando la loro efficacia sia modesta, come dimostra l’esempio qui sotto che ho deliberatamente scelto tra quelli più “emotivamente” controversi presentati nel Rapporto: per facilitarne la lettura, oggi i trattamenti di Adroterapia nei tumori solidi pediatrici sono compresi nei LEA, mentre il monitoraggio via telemedicina dei pazienti con scompenso cardiaco non lo sono. Secondo gli autori del Rapporto, invece, il valore della prima prestazione è basso mentre quello della seconda è elevato. La linea che separa le prestazioni “in LEA” da quelle “fuori LEA” non sarebbe quindi verticale, come idealmente dovrebbe, ma diagonale, e quindi comprende voci a valore basso, nullo o addirittura negativo ed esclude alcune voci a valore elevato.
Dove trovarle? Una fonte indicata dal Rapporto sono gli sprechi. Sulla base di una metodologia per la quale rinvio al Rapporto stesso, il Gimbe stima che in sostanza circa il 20% della spesa sia soggetto a sprechi, dove per spreco s’intende, in coerenza con quanto sopra, una spesa con valore nullo o negativo. Le categorie di spreco sono quindi numerose, ma anche intervenendo in modo efficace su di esse (cosa tutt’altro che probabile) il Gimbe valuta che il gap di finanziamento resterebbe rilevante, non inferiore a 16 miliardi di Euro nel 2025. Praticamente, servirebbe una manovra finanziaria all’anno per mantenere “sostenibile” il SSN; altrimenti, si dovrà “prendere atto che il SSN come tale non è più sostenibile ed è necessario programmare e governare adeguatamente la transizione a un sistema misto”.
Fin qui la sintesi di questo Rapporto, interessante anche per il metodo, molto lontano da ideologie e polemiche (non a caso la Fondazione rivendica un approccio evidence-based). Quello su cui concordo incondizionatamente è certamente l’idea che, con tutti i suoi difetti, il nostro “servizio sanitario pubblico equo e universalistico” sia “la più grande conquista sociale dei cittadini italiani”; dove non concordo è invece la tesi per cui il SSN sia stato oggetto negli ultimi anni di pesanti “definanziamenti”. Basta in proposito osservare il grafico della spesa sanitaria pubblica incluso nello stesso Rapporto: