È di pochi giorni fa la notizia della “soluzione” di un’altra puntata della telenovela intitolata “La crisi delle banche italiane”, con l’acquisizione delle cosiddette “banche venete” (Veneto Banca e Cassa Popolare di Vicenza) da parte di Intesa San Paolo per la simbolica cifra di un euro. Intesa, intervenuta in extremis quando era diventato chiaro che nessun soggetto privato avrebbe tirato fuori i soldi imposti dalla Commissione Europea, ha dettato le sue condizioni: gli oneri derivanti dai crediti deteriorati delle due banche saranno a carico dello Stato, e così pure i costi derivanti dagli esuberi. Inutile girarci intorno: come al solito, i costi della mala gestione delle banche vengono ribaltati sui cittadini contribuenti.
Naturalmente, non è questa la canzone intonata dai protagonisti di questo ennesimo scippo ai nostri danni. Il Corriere, addirittura, ha pubblicato un articolo che è un peana alla saggezza e all’efficacia di questo governo, senza dimenticare il precedente, di cui mi sento di approvare la scelta di trasformare le Casse di Risparmio in SpA ma non certo la lunga indecisione su come trattare la patata bollente delle sofferenze. Il ministro Padoan si è dichiarato “abbastanza fiducioso” (sic) che i cinque miliardi versati dallo Stato per coprire appunto i crediti deteriorati saranno recuperati. Io, invece, mi dichiaro “abbastanza convinto” che i cinque miliardi in questione siano solo la punta di un iceberg di denaro pubblico che, in forme diverse, sarà bruciato (anzi, liquefatto) per evitare che a queste banche, peraltro non “di sistema”, venisse applicato il famigerato bail-in. Come abbiamo scritto molte volte, il bail-in è una normativa che è stata creata appunto per evitare che i costi della gestione fallimentare (e, nel caso in oggetto, semplicemente e letteralmente criminale) di una banca ricadano in toto sull’incolpevole collettività dei contribuenti. Quindi, diciamolo ancora una volta il più chiaramente possibile: quando qualcuno dice che “bisogna assolutamente evitare il bail-in“, che si tratta di una normativa sbagliata e iniqua, imposta ai distratti italiani da un’Europa perfida e subdola, lo dice perché vuole attingere ai nostri portafogli.
E non si può neanche dire che alcuni di costoro non parlino chiaro. Il volitivo Amministratore Delegato di Intesa, Carlo Messina, ha spiegato perché lo Stato non poteva non accettare l’offerta della sua banca elencando le conseguenze che altrimenti vi sarebbero state: “Corsa agli sportelli delle banche venete, con effetto domino su altri istituti. Necessità di rimborsare i correntisti sotto i 100 mila euro con il Fondo interbancario obbligatorio che avrebbe dovuto trovare 12,5 miliardi in tutta fretta. Necessità di reintegrare il capitale di queste banche con ulteriori effetti contagio”, sottolineando che “se oggi quelle banche fossero fallite i 10 miliardi di garanzie pubbliche sarebbero andati a coprire le perdite di chi aveva i titoli. E si sarebbe trattato di 10 miliardi di soldi pubblici in fumo. Un po’ più di quei 5 miliardi che lo Stato versa adesso”. In parole di sapore cinematografico, si è trattato di un’offerta che Padoan non poteva rifiutare. Il sistema delle banche, minacciando esplicitamente il proprio stesso collasso (il cosiddetto “effetto domino”), estorce denaro pubblico per coprire le proprie stesse inefficienze (o peggio). Si manifesta in tutta la sua evidenza quel moral hazard che appunto il bail-in avrebbe dovuto limitare.
Ma com’è possibile che l’AD della più grande banca italiana si esprima pubblicamente in questi termini e nessuno faccia una piega? La verità è che la situazione delle banche in Italia più che a Il Padrino sembra ispirarsi a Il buono, il brutto e il cattivo, e a tutti gli altri film in cui si trova inscenato il cosiddetto stallo alla messicana, la situazione cioè in cui tre persone armate si prendono di mira “triangolarmente”, sapendo che il primo a sparare sarà ucciso.
Nel nostro caso, i tre pistoleri sono: lo Stato, le Banche, i Risparmiatori. Lo Stato costringe le Banche a utilizzare in modo inefficiente i loro fondi, addirittura usandoli per “salvare” banche loro concorrenti rimettendoci, come è accaduto con il Fondo Atlante; le Banche minacciano lo Stato di collassare, provocando una crisi di sistema, e nel contempo rifilano ai Risparmiatori titoli “tossici”; i Risparmiatori minacciano le Banche di ritirare i depositi, e lo Stato di provocare una crisi politica se i loro investimenti non saranno rimborsati.
La soluzione di questo stallo è semplice: i tre pistoleri si accordano e sparano addosso all’unico disarmato, ossia il Contribuente, preferibilmente il Contribuente futuro, che tanto oggi non vota. Si dilata ulteriormente il debito pubblico scaricandoci sopra i passivi bancari, e i tre pistoleri sono contenti. La normativa europea a difesa del Contribuente viene aggirata e stravolta, a beneficio di un sistema bancario che è strutturalmente insostenibile e che deve essere pesantemente ridimensionato, ma che rifiuta di pagare i costi delle proprie ristrutturazioni e di selezionare darwinianamente gli istituti in grado di sopravvivere lasciando fallire quelli dissestati. Questo andazzo è ovviamente distorsivo in modo devastante per il mercato, e non è un caso che la “risoluzione” della crisi delle banche venete sia considerata da molti osservatori un colpo gravissimo al sistema europeo di regole, e che la stessa EBA, l’autorità europea di controllo sulle banche, abbia criticato questa conclusione.
Concludendo: in un sistema sano, le banche male gestite, come ogni altra impresa, rispondono delle proprie responsabilità gestionali e falliscono se dissestate; in un sistema sano, gli investitori rispondono delle proprie scelte e perdono soldi se investono male; in un sistema sano, eventuali truffe vengono risarcite dai truffatori e non dai cittadini; in un sistema sano, i governi si assumono la responsabilità di gestire oculatamente la finanza pubblica e ne pagano il prezzo politico. La vicenda delle banche venete conferma che in Italia tutti coloro che possono eludono le proprie responsabilità, e ne scaricano i costi sulle future generazioni, che da sempre sono la vittima disarmata di tutte le “sparatorie”. Poi ci sentiamo raccontare la storia del debito pubblico che “paralizza il paese”…