Requiem (più che un post, una lunga e pessimistica riflessione sul mio Paese, o su quel che ne resta)

Sono un fresco cinquantanovenne, il che significa che ho visto abbastanza storia recente di questo nostro Paese per formulare delle considerazioni su quel che vedo e provare non dico a trarre delle conclusioni, ma delle deduzioni si.

Andiamo subito al sodo: da quel che vedo mai, dalla fine della guerra, gli Italiani sono stati così profondamente delusi, sfiduciati, divisi tra rabbia e lamento e tra di loro. In conseguenza, o sulla scia di eventi avvenuti all’interno e al di fuori dai confini – crisi economica, fine dei partiti, scandali, immigrazione caotica, esplosione di internet – un paese che é sempre stato assai poco Nazione (vale a dire una comunità di individui che condividono alcune caratteristiche comuni come la lingua, il luogo geografico, la storia, le tradizioni, la cultura, l’etnia) ed ancor meno Stato, sta vacillando.

Vacillano le regole della comune convivenza, viste sempre più come un inutile fastidio come una qualunque passeggiata fra muri lordati e auto in seconda fila, o un viaggio in treno fra declamatori telefonici, transumanti con i piedi sul sedile di fronte (non so se sia meglio se con o senza scarpa) e utenti di giochi elettronici con musichetta di sottofondo dimostra.

Auspici gli effetti della “Scuola Democratica” del 6 e del 18 politico, che ha bollato come nozionismo qualunque attività di apprendimento che causi fatica e così all’uguaglianza delle opportunità ha sostituito quella dei risultati, vacillano i principi di competenza ed autorità professionale, e l’ignoranza assurge a valore, come dimostrato dal seguito rispettivo di seri professionisti e di personaggi formatisi (o fuori corso in via di formazione, a giudicare da come si esprimono) alla cosiddetta Università della Strada.

Suscitano sgomento l’incapacità a rispondere a quiz elementari, la difficoltà di troppi ad attenersi al tema di una discussione, l’inconsistenza degli interventi di troppi parlamentari e l’assenza di risposte da parte di almeno altrettanti loro colleghi, la facilità con cui bufale sesquipedali e falsità grossolane diffuse con criminale irresponsabilità diventano “informazione”.

La politica, passata da vocazione a mestiere per imbonitori, presenta a destra un  discusso ottantenne ridotto ad una maschera grottesca e due sventolatori di forche, ruspe e forconi, a sinistra un riformatore mancato vituperato da buona parte del paese e una serie di puristi fedeli senza se e senza ma alla vera vocazione della sinistra, che é quella di dividersi e ridividersi e scindersi per paura di sporcare la propria purezza ideologica mettendola alla prova della realtà , e trasversalmente un preoccupante movimento totalitario dalle oscure dinamiche interne e dalle fumose teorie rappresentato da personaggi che sembrano credere di voler e poter gestire uno stato con le stesse dinamiche dell’occupazione di un liceo (e le condizioni in cui solitamente si trovano le aule di un liceo dopo una occupazione già dovrebbero far pensare ai possibili risultati).

Vedo un’Italia che sembra quella di cui parlava Giacomo Leopardi nel suo Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani,  dove le leggi risultano spesso inutili perché “le leggi senza i costumi non bastano”, dove invece di discutere si schernisce l’interlocutore, dove la convivenza non é civile ma forzata, dove ci si salta alla gola anziché collaborare al bene comune. Un’Italia in cui su qualunque tema di interesse generale non si riesce a trovare un punto di incontro pratico. Un’Italia in cui una sinistra ideologica, quasi non si possa essere liberaldemocratici ed amare il proprio paese, si é fatta scippare la Bandiera dalla destra estrema, che a sua volta la usa solo per rilanciare truci e tristi slogan parafascistoidi che Bottai, ma credo anche gli stessi Evola e Pavolini, rinnegherebbero.

Come dice Corrado Augias nel suo ultimo libro, bello e malinconico (Questa Nostra Italia, Einaudi),

una poco meditata riforma del Titolo V della Costituzione (rapporti fra stato centrale ed autonomie locali) ha aperto la strada a un federalismo confuso, privo di una sufficiente visione del prioritario interesse nazionale.

La vita mi ha concesso di conoscere da vicino un discreto numero di Stati su tre continenti, e in nessuno di essi ho riscontrato un così basso livello di conoscenza della propria storia, così poca memoria condivisa, così scarso senso di appartenenza ad una patria comune (senso di appartenenza che é anche assolvere i propri doveri di cittadino, come ad esempio pagare le tasse, ma é un discorso che ci porterebbe lontano), così profonda disaffezione per le proprie Forze Armate, così tanto disinteresse per i propri monumenti, così poca cura per i propri luoghi della memoria, così poca memoria dei suoi Padri Fondatori (mi chiedo in quanti siamo a ricordarci di Pierfortunato Calvi, o dei Martiri di Belfiore, o di Ciro Menotti…), così poco rispetto per i suoi caduti. A sud una pubblicistica neo-borbonica ampia e molto rivendicativa dipinge un florido ed evoluto Mezzogiorno violentato dal Piemonte a mezzo “di avanzi di galera, violenti e malfamati, con a capo un criminale di nome Giuseppe Garibaldi, un ladro di cavalli a cui in Argentina avevano mozzato le orecchie perché colto sul fatto…” (laveritadininconanco.altervista.org), nella Sardegna di Lussu, Gramsci e Berlinguer, oggettivamente maltrattata da uno Stato lontano, inefficiente e distratto, riprendono forza i movimenti indipendentisti, nel Trentino di Cesare Battisti, Damiano Chiesa e Fabio Filzi che nel 1903 (nel 1903!) fece erigere a sue spese il monumento a Dante per riaffermare la propria italianità emergono movimenti filoasburgici così come a Trieste in Piazza della Borsa un enorme striscione invoca il ritorno delle truppe Anglo-Americane di occupazione Non c’é praticamente regione o provincia che non proclami di “non essere” Italia. A fattor comune gli altri sono un peso da sopportare, da cui si é subita violenza.  Non voglio qui aprire un dibattito sul Risorgimento che a mio giudizio ha evitato, unificando l’Italia, che i vari staterelli – che caddero perché corrotti ed inefficienti, al di là delle innegabili nicchie (appunto: nicchie) di eccellenza di cui indubbiamente disponevano – finissero nell’area dell’arretratezza e del sottosviluppo che afflissero tanta parte del mediterraneo fino alla fine della 2^ Guerra Mondiale. Può darsi che nelle tesi neo-borboniche ci sia anche qualche frammento di verità, anche se mi chiedo come mai, se il regno delle Due Sicilie fosse stato un tale faro di civiltà e progresso, si sia trovata tanta gente pronta a farsi corrompere dall’oro piemontese: ma ciò non basta a farmi capire come mai una regione come la Sicilia, dotata di amplissima autonomia amministrativa e legislativa fin dal 1948, non sia in settanta anni riuscita a risolvere uno solo dei suoi problemi. E non é il solo caso, e anche al Nord non é che sia tutto rose e fiori.

Di imprenditoria vera non c’é traccia, le riforme del lavoro con la scusa della “flessibilità” hanno introdotto assunzioni temporanee con retribuzioni spesso largamente inferiori alla media europea, della giustizia meglio non parlare, i programmi elettorali confezionati pensando ai voti dei creduloni e degli insoddisfatti disposti a credere a chiunque prometta di migliorarne la condizione miracolosamente e senza troppo sforzo da parte loro offrono bonus, aumenti alle pensioni (con quali soldi non si capisce, ma non importa) o redditi di cittadinanza ( anche qui con quali soldi non si capisce, ma non importa), dilagano mamme pancine e antivaccinisti e si abolisce per legge la bocciatura nella scuola dell’obbligo…

Insomma, se mi guardo in giro ho l’impressione di vivere in un Paese che ha esaurito la sua funzione storica,  in cui  pochi si ostinano a voler ancora credere, incapace di fornire quei servizi ai quali i cittadini che pagano avrebbero diritto e che quelli – troppi – che non pagano comunque pretendono, che sta in piedi perché a disfarlo si creerebbe il problema di trovare un altro lavoro a un numero eccessivo di statali e parastatali, incapace – e come potrebbe, a queste condizioni? – di esprimere una classe di onesti e competenti amministratori della cosa pubblica in grado di spiegare ai loro concittadini che checché se ne sia detto per 50 anni la mediocrità,  la deresponsabilizzazione, la superficialità ed il pressapochismo nello studio, nella scrittura, nelle realizzazioni pratiche non sono virtù, che le autonomie prosperano solo se possono avvalersi e beneficiare di grandi opere condivise, amministratori rispettosi del loro mandato e degli obblighi che esso comporta, capaci di dire a Confindustria che, finché non smetterà di voler privatizzare i profitti, socializzare le perdite, statalizzare gli investimenti  e offrire retribuzioni insultanti, non avrà titolo a lamentarsi della fuga verso l’estero dei cervelli…

Sugli edifici pubblici, che spesso sono quelli peggio messi nella via in cui sorgono, pendono bandiere lacere, scolorite, sporche, aggrovigliate ai pennoni, che nessuno si cura di sostituire, sbrogliare, pulire, immagine di uno Stato stanco, in decadenza, che per primo non crede più in se stesso. Nel centenario della Grande Guerra, i Sacrari cadono a pezzi, a Redipuglia addirittura mettendo a nudo i poveri resti di alcuni caduti e tutto quel che preoccupa il primo cittadino di Fogliano é se nella  cassetta che conteneva le ossa non ci sia dell’amianto. Un rapper trova il modo di girare un video in cui canta e balla un motivetto sincopato appunto sui gradoni cimiteriali di Redipuglia, e c’é pure chi lo difende. A questo punto, se nemmeno su quell’immane sacrificio si é riusciti a costruire una memoria, un riferimento condiviso, allora vuol dire che non c’é granché d’altro da fare, in nome di quell’astratto e scomodo ideale che si chiama Nazione. Tanto vale che proviamo ad accordarci su a chi vada questo e a chi vada quell’altro, su chi voglia proclamarsi indipendente e chi voglia aggregarsi a qualcun altro secondo quel che inclinazione, memoria, nostalgie di Re Bomba, di Sissi, della dominazione aragonese, culture vere o reinventate, sghei o dané  consiglino e visioni di sorti nuove e progressive suggeriscano, definiamo le competenze in materia di pagamento delle pensioni visto che i pensionati ci sono e non possiamo eliminarli, ammainiamo le Bandiere, ripieghiamole con un minimo di decoro se ancora c’è qualcuno che si ricorda come fa è portiamole al Vittoriano.

Quindi, chiusa la teca, rivolgiamo ancora un pensiero a quelli che ci hanno creduto, che ci hanno provato, rassicuriamoli che non é stata colpa loro se é andata come é andata, spegniamo la luce e abbassiamo la serranda.

(Prima che qualcuno mi dia del disfattista o mi inciti a resistere, dico subito che non mi arrendo e che continuerò a provare a far sentire la mia voce, che credo che sia quella del buon senso e della ragionevolezza. Del pari, sono convinto che ormai sia un “combattere con onore e senza speranza”: se c’è qualcuno in grado di sconfessarmi con dati ed elementi incoraggianti per favore lo faccia).

Articolo scritto per Hic Rhodus da Maurizio Sulig

Centurione per quasi quarant’anni, più della metà dei quali al comando di qualcosa di 
nazionali o multinazionale. Sei turni in ex-Iugoslavia e Afghanistan. Si esprime in 
inglese e tedesco senza essere causa di frizioni internazionali. Vive in Alto Adige con 
famiglia e gatto (rosso).
Taggato con: