La Tetra Repubblica

Se la nostra epoca merita un nome, dovrebbe chiamarsi l’epoca della prostituzione. La gente si abitua al vocabolario delle puttane. (Heinrich Böll, Opinioni di un clown)

Mai pensato che fossimo nella Seconda Repubblica, figurarsi nella Terza, come molti politici e commentatori si sono affrettati a dichiarare. Scimmiottando i vicini francesi ci siamo autocelebrati dopo Mani pulite e l’ascesa di Berlusconi, e ora si vorrebbe accreditare un’analoga svolta epocale – o presunta tale – con la vittoria “dei cittadini”. Ma in Francia la successione dalla Prima alla Quinta Repubblica è stata segnata da rivoluzioni e cambiamenti costituzionali, frutto di lotte fra concezioni di Stato e di Nazione e di Popolo, mentre in Italia siamo semplicemente scivolati in progressive delegittimazioni fra poteri, e fra poteri e popolo, ed entro il popolo, arrivando a un punto di profondissima crisi di cui possiamo al momento solo vedere un’ombra, molto lunga e tetra, come l’ha definita Claudio Cerasa.

  1. La concomitanza di una gravissima crisi economica e dell’arrivo di flussi consistenti di migranti ha creato i presupposti per un allarme sociale senza precedenti per la generazione intermedia di ceto medio italiano, costituito da persone che non hanno vissuto le crisi anche gravi della seconda metà del secolo scorso e che non hanno goduto di sistemi educativi ormai da tempo smantellati 41oI-4DNWzL._SX334_BO1,204,203,200_(QUI una conferma; QUI invece una ricostruzione del declino scolastico; la testata che ospita l’articolo è molto di parte, ma la cronaca è molto precisa, fate voi la lettura dovutamente critica); questa generazione, diciamo dai 30 ai 45 anni, è cresciuta con le televisioni berlusconiane, con una scuola dove merito e valutazione sono state bandite, con promesse di sviluppo fantasiose e in mondo ipertecnologico vissuto come naturale e senza capacità di adeguata critica.
  2. La crisi della politica indotta dall’inchiesta “Mani pulite” ha travolto in maniera massiva istituzioni e fedi politiche, modus operandi e affiliazioni. Tutto è apparso corrotto e malevolo, assecondando un’antica tradizione italiana di diffidenza verso il Potere, e l’avvento del berlusconismo ha segnato un solco profondo, un punto di non ritorno in tale diffidenza. I superstiti di quell’epoca (sostanzialmente i comunisti appena trasformatisi in PD), probabilmente cercando di legittimare il loro abbandono ai soviet a favore di un orizzonte socialdemocratico, si sono lasciati corrompere antropologicamente dal berlusconismo, aderendo a una spinta populista di semplificazione dell’argomentazione, leaderismo, progressiva perdita di contatti coi territori e gli elettori. La tragica conseguenza è la definitiva perdita di quella “diversità” che aveva connotato alcune fasi del riformismo comunista del secolo scorso con Berlinguer. Il linguaggio (nel senso dei valori, degli orizzonti e delle pratiche) del PD è quindi estremamente simile, almeno a un livello superficiale, a quello degli altri partiti; i suoi guai giudiziari possono anche essere minori, ma le nobili e forti “Regioni rosse” hanno da molto tempo perso smalto e primati, e i cittadini ben conoscono lo scarsissimo livello culturale, morale e politico dei dirigenti di sinistra in provincia.
  3. Schermata 2018-03-11 alle 17.42.29
    Voto per fasce d’età (click)

    La crisi mortale delle ideologie del Novecento (che è un fatto reale) assieme alla crisi politica descritta sopra, ha portato fatalmente la sinistra a non avere nulla da dire al suo tradizionale elettorato (operai, ceti medio-bassi, giovani…) e a non riuscire a dire nulla neppure ai nuovi cittadini ai quali avrebbe dovuto e saputo rivolgersi con una nuova proposta di “sinistra”. Non ha saputo dare una risposta alla domanda “cosa significa essere di sinistra nel terzo millennio?”. Chi è rimasto ancorato alle idee del secolo scorso non ha futuro, e il declino della Cgil, come il disastro di Liberi e Uguali, ne è chiara testimonianza. Ma anche chi non sa parlare un nuovo linguaggio, come oggi il PD, è perduto.

  4. Renzi è parso, per un breve periodo, capace del miracolo. A cominciare dal linguaggio da “rottamatore”, aggressivo quanto necessario, capace di attirare l’attenzione dei più giovani e insofferenti della politica. E con un programma liberalsocialista. Ora: poiché sono già stato criticato su questo termine, è ovvio che non posso riferirmi ai Bobbio, Rosselli, Calogero eccetera. Anche qui: siamo nel 2018 e non più negli anni ’30-’40. Quindi: liberalsocialismo come progetto di sviluppo, modernità e libera impresa con la dovuta attenzione alla giustizia sociale, quello che dispregiativamente può essere definito, da detrattori, ordoliberismo. Il liberalsocialismo del terzo millennio è equo, ma premia il merito; offre servizi universalistici ma li valuta; aiuta i deboli ma non con ricette effimere e demagogiche che aumentano il debito pubblico; si divide fra il rigore dello stato e le libertà dei suoi cittadini. Il programma iniziale di Renzi conteneva tutto questo. E si è perso pian piano per strada fra errori strategici e tattici inammissibili per un leader che voglia fare la Storia.
  5. Quello che è successo il 4 Marzo è semplicemente il pieno che riempie il vuoto, come direbbe SunZi. Il pieno rappresentato dal capitale sociale, politico e morale di milioni di elettori ai quali la proposta di Liberi e Uguali è apparsa inaccettabile, quella del PD troppo confusa. Abituati a slogan e a ricette semplificate, e ansiosi di superare disagi in gran parte fasulli e costruiti ad arte come il malessere da allarme sociale, e in parte veri e ignorati da una sinistra senza più lessico, come le periferie degradate e l’ingestito problema dei migranti, gli elettori si sono riversati nelle ovvie proposte prepolitiche che non dovevano far altro che aspettare. L’inazione grillina, la loro totale incapacità amministrativa, il ridicolo dei loro esponenti di spicco, nulla hanno inciso sul fatto che loro incarnano (a torto) il nuovo, il diverso e onesto, i bravi ragazzi che ci salveranno. Le promesse ridicole del reddito di cittadinanza, dell’abolizione di vitalizi e pensioni, di fantasiosi incentivi senza coperture, accontentano milioni di analfabeti funzionali, demagoghi presuntuosi, cittadini che si informano solo con Facebook, che non hanno strumenti per opporsi alle bufale e alle devastanti fake news che hanno pesantemente inquinato la cultura politica e sociale italiana.
  6. Questo potente flusso di inconsapevolezza guidato ad arte, è testimoniato anche da fallimento degli unici due progetti politici razionalisti: 10 volte meglio e +Europa. Troppo difficili capirli, troppo moralmente difficoltoso investire in un’etica istituzionale, meritocratica, razionalista.
  7. Fra parentesi: come funziona la relazione politica-comunicazione-comportamenti sociali lo si vede con abbagliante chiarezza nell’insuccesso delle due liste dichiaratamente fasciste, CasaPound e Italia agli italiani, dopo che per settimane l’opinione pubblica era stata indotta a credere che un grande revival fascista stesse per minacciare la democrazia. Non sono complottista, e a questo livello dubito che ci sia una regìa disinformativa; la verità a mio avviso è peggiore: non abbiamo un’opinione pubblica degna di questo nome, come detto sopra, e purtroppo abbiamo anche un giornalismo generalmente mediocre alla ricerca di click per far quadrare i conti. Un circolo vizioso che danneggia costantemente il debole senso critico di massa.
  8. Il trasformismo, altro atavico vizio italiano che si accompagna al disprezzo per le istituzioni e al populismo. Una frazione di secondo dopo la proclamazione dei risultati vediamo settori ampi settori politici (anche nel PD) industriali e intellettuali che si schierano con M5S o mostrano la propensione a schierarsi con loro. Vanno isolati. Prima che intellettuali e leader costoro sono opportunisti indecenti. Vanno isolati. Ricordate sempre che combattere contro l’omologazione è sforzo difficile, continuo, sfinente, che sovente mette in crisi i nostri convincimenti e la nostra pazienza. Non bisogna demordere.
  9. Infine. In quello spaccato di società che è Facebook, ma anche su Twitter e alcune testate giornalistiche, stanno sbocciando come margherite a Primavera le ipotesi più fantasiose sui possibili nuovi governi. Un bel po’ di italiani, elettori, ma anche autorevoli commentatori e qualche aggressivo politico, dichiarano che data la vicinanza politica e programmatica fra PD e 5 Stelle dovrebbe essere ovvio un governo fra queste due forze politiche, mentre giudicano innaturale un’alleanza Lega-5Stelle. Ovviamente è vero l’esatto contrario: c’è un’ampia sovrapposizione programmatica, politica, ideologica, umorale fra i due gruppi populisti che c’azzeccano nulla col PD. Lo segnalo perché ciò dimostra la totale inconsapevolezza di molti elettori, che hanno votato per esempio 5 Stelle senza capire un accidente di quel Movimento, così come tanti inglesi votarono per la Brexit senza sapere nulla dell’Unione e tanti italiani hanno votato “No” al referendum del 4 dicembre ’16 sulla base di un paio di luoghi comuni e stereotipi di pancia, senza avere contezza della posta in gioco. Vale a dire: smettiamola di parlare di “sovranità del popolo”, “governo del popolo”, “il popolo lo chiede”… L’ignoranza e la stupidità sono sempre eversive e non hanno, MAI, alcun merito, anche quando la forza dei numeri le premia.

In questi nove punti ho sintetizzato la mia analisi. Cosa ne segue? A mio avviso poche cose, nessuna di breve periodo:

  • la sinistra deve rifondarsi a partire dal linguaggio. Più volte, qui su HR, abbiamo discusso sui significati di “destra” e “sinistra”, sull’inconsistenza dei valori novecenteschi traslati senza alcuna revisione critica nell’epoca attuale. La questione fondamentale, cruciale, è l’uscita dalle ideologie. La risposta al populismo non può essere – come detto – il comunismo falce e martello; ma non può neppure essere il vuoto del PD dell’ultimo anno. Recuperare valori laici, civili, di progresso, merito, sviluppo contemperati con giustizia sociale, uguaglianza alla partenza, inclusione. Un percorso difficilissimo perché coloro che possiedono questo lessico sono pochi e vissuti come distanti, se non addirittura nemici, dalla massa diffidente;
  • ma anche la classe politica deve essere nuova, perché non sarebbero credibili né Renzi né Bersani in questo ruolo. Addestrare una classe politica nuova e credibile è lavoro di anni. E il problema non sarà trovare giovani capaci, ma convincere i vecchi a lasciare, a mettersi da parte. Qui la spinta degli elettori, dei militanti, degli intellettuali, dei commentatori può diventare fondamentale.