Unirsi o dividersi? L’esempio della Catalogna

Puigdemont è stato arrestato e rischia 30 anni in Spagna per ribellione aggravata. Scontri e feriti nel Paese Iberico, mi pare solo spallucce qui da noi, dopo che all’indomani del referendum catalano in tanti avevano applaudito. La situazione di Barcellona mi stimola alcune riflessioni generali. Molto generali. Non voglio parlare nello specifico della Catalogna, la sua storia e le presunte ragioni che può addurre per rivendicare l’autonomia. Quel che pensiamo qui a Hic Rhodus del problema catalano è già stato chiaramente esposto da Maurizio Sulig qualche mese fa mentre sulle pulsioni separatiste in generale scrissi qualcosa io quasi quattro anni fa (con ampia sitografia sui separatismi nostrani).

Oltre che giuridico, di diritto internazionale, la questione ha evidentemente a che fare con l’economia: la ricca Catalogna vuole godersi il proprio benessere, motivandolo con una identità storica e linguistica specifica. Un po’ quello che sostenevano Miglio e Bossi alcuni decenni fa per la Lombardia prima e la Padania poi. Un po’ quello che motivava – in buona parte erroneamente – gli elettori britannici pro-brexit (una forma di scissione e rivendicazione di autonomia anche quella). Ebbene, questa prima motivazione è francamente irreale e ignora i fondamenti di un’economia globale. In una situazione feudale, in cui in ogni landa, feudo, marca, ducato, perennemente in guerra o frizione coi vicini, indubbiamente la ricchezza interna poteva fare la differenza; in un’economia autarchica una terra più ricca prosperava meglio dei vicini destinati a vivere in una terra più rocciosa, o senza sbocchi sul mare, o paludosa. E anche nella successiva epoca mercantilista, chiaramente, chi più aveva più commerciava e più si arricchiva. Oggi la situazione è molto più complicata dal fatto che ogni tessera del mosaico globale ha un significato in quanto parte del disegno, mentre come singola tessera non significa più nulla. Immaginiamo che la Catalogna (o la Lombardia, la Scozia…) diventi indipendente. Un nuovo Stato autonomo. Evidentemente non godrebbe dei privilegi della Spagna, e quindi non godrebbe dei trattati internazionali firmati dalla Spagna (inclusi, e principalmente, quelli dell’Unione). Dovrebbe quindi andare a ricostruire una rete di relazioni (innanzitutto commerciali, visto che qui stiamo parlando di economia) per potere vendere i suoi prodotti e il suo turismo. Troverebbe subito un muro europeo. Gli europei hanno decine di Catalogne da gestire, e temerebbero il “contagio”; Nessun membro dell’Unione riconoscerebbe la Catalogna, nessuno commercerebbe liberamente con lei, si metterebbero vincoli al transito e, insomma, si cercherebbe di fargliela pagare. Diverse compagnie aeree chiuderebbero i voli diretti e anche il turismo – reso difficoltoso da procedure extraeuropee – calerebbe drasticamente. Molte aziende si trasferirebbero. Anzi, tutto questo è già pesantemente iniziato al solo annuncio dei referendum indipendentista (fonte) seguendo un copione già noto, già visto in altre situazioni Brexit inclusa. Ma veramente i catalani pensano che la loro ricchezza resterebbe inalterata?

Ma c’è un orizzonte più ampio di quello economico, che lo include: è l’orizzonte politico-diplomatico; contare a livello internazionale significa anche poter concludere buoni affari. E in che modo si può “contare”? Conti se hai una posizione strategica (la Catalogna non ce l’ha); conti se hai un grosso esercito (la Catalogna non ce l’ha); conti se hai relazioni diplomatiche preziose (la Catalogna dovrebbe appunto costruirle, ma il nuovo contraente si inimicherebbe Spagna e Unione, perché dovrebbe?); la Catalogna potrebbe ingraziarsi indubbiamente potenze ostili all’Unione; per esempio nell’attuale contesto di crescente frizione con Putin, la Russia potrebbe aprire diplomaticamente e commercialmente con Barcellona, ma sarebbe un abbraccio mortale vista la politica estera di Mosca.

Insomma: la “convenienza” è discutibile sotto un profilo razionale. Ma la Brexit ha insegnato – se ancora ce n’era bisogno – che la razionalità ha poco a che fare con queste scelte. Gli indipendentisti catalani si sentono patrioti irredentisti, fieri figli della loro amata Patria. E nella tumultuosa storia del mondo, e dell’Europa in particolare, è sempre facile trovare agganci storici che testimonierebbero – ignorandone altri – una propria specificità, una propria unicità, una conferma alla necessità di una diversità che fornisce la cornice giustificativa all’indipendenza.

Certo, l’Europa è molteplice e assai più frammentata di quanto le mappe esprimano. Anche solo prendendo l’Italia, le differenze regionali sono evidenti e la nostra Storia spiega bene perché i calabresi, i lombardi, i romagnoli, i veneti, i sardi siano così, parlino così, abbiano stili di vita tali… Indubbiamente occorrono mediazioni fra specificità locali da preservare, e aggregazioni necessarie da mantenere. Ci lamentiamo sovente che l’Europa non conta nulla sul piano internazionale perché divisa fra molteplici nazioni, figurarsi se fosse addirittura divisa fra innumerevoli regioni! L’Europa che vorremmo immaginare dovrebbe spingere verso una sempre maggiore integrazione di nazioni, e una più attenta valorizzazione locale delle differenze, con forme di autonomia amministrativa in grado di soddisfare le necessità e i sentimenti locali senza confliggere – come accade in Italia – col livello decisionale centrale.

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