La guerra civile è convocata alle 14.00 (venite già pranzati)

Lo sparacchiare qua e là, al nero o al rom, è la conseguenza di “ruspa!” e “sporco negro torna a casa tua”.

Sono molto depresso. I lettori di HR, quelli abituali, sanno benissimo che è così, ci arrivano da soli e, comunque, abbiamo più e più volte spiegato i meccanismi linguistici e sociali che fanno sì che dopo “sporco negro” non c’è che l’aggressione fisica. Un solo esempio sia bastevole, per chi non è avvezzo a questi ragionamenti. Se io dico alla mia dolce metà “sei una fallita, l’ho sempre saputo, maledetto il giorno che ti ho sposata!”, poi mi posso pentire quanto mi pare, giurare che non lo pensavo realmente ed ero solo adirato ma, insomma, sa lei diventa una ex dolce metà e inizia un percorso di consapevolezza su quanto io sia stronzo, non devo lamentarmi. Le parole sono pietre. Una volta pronunciate hanno un’azione sociale reale, concreta e, specialmente, non si possono ritirare.

Non si può pensare che la pornografia della parola del nuovo regime, iniziata lustri fa, non abbia prodotto la tempesta in arrivo.

Succederà. Non solo che dalla carabina a pallini si passerà alla 22mm, ma che dal ferire il rom o il nero si finirà coll’uccidere il vicino di casa.

Succederà in modo banale: in trattoria uno sciagurato insulterà il cameriere nero; un gentile signore si sentirà in dovere di protestare; lite; lo sciagurato tirerà fuori l’arma e sparerà. Manifestazione antigovernativa col solito gruppuscolo di casinisti si scontrerà con gruppuscolo fascistoide: coltelli e spranghe, un morto e qualche ferito. Ronde notturne di estrema destra cadono in trappola e un paio restano secchi. Uomo esasperato spara al vicino che faceva rumore: “Era una zecca comunista!” sarà la giustificazione. Tutto funzionerà al meglio, naturalmente, se nel frattempo sarà passata una legge più permissiva nell’uso delle armi, ma anche senza c’è ampio margine di possibilità, visti i criteri assolutamente folli coi quali le armi sono attualmente disponibili. E poi, insomma, con una pistola è meglio ma anche con coltelli e armi contundenti ci si può arrangiare.

Voglio essere chiaro: qui non sto facendo una qualche cinico e amaro esercizio paradossale, ma una facile previsione sociologica. Tutto questo accadrà sicuramente. I meccanismi che agiscono sul nostro assetto culturale e valoriale agiscono di regola in modo incrementale; siamo sempre insoddisfatti di quello che siamo e che abbiamo, anche se è il traguardo che ci eravamo posti l’anno scorso; ora che l’abbiamo ottenuto ci sembra riduttivo, ci sta stretto, ci stanca; non ci dà la soddisfazione che avevamo immaginato. Questa è una grande spinta all’azione sociale e ha un ruolo positivo, ma è anche causa di tremende frustrazioni e di anomia se incanalata nel versante sbagliato. Anche il male finisce coll’annoiarci e ci spinge a un male maggiore. Il frustrato che finalmente – grazie all’accettazione sociale di un linguaggio sempre più greve – si è potuto sfogare urlando “sporco negro torna a casa tua!”, impara presto che non trova sufficiente soddisfazione alla sua condizione di sfigato, di sociopatico, di marginale sociale, di ignorante bastonato dalla vita, e la constatazione che lo ‘sporco negro’ resta sempre lì lo fa infuriare. La base di partenza della sua furia, però, è più “alta” della volta precedente; parte già dall’aggressione verbale e deve innalzarsi ancora per poter sperare di avere una soddisfazione emotiva; aggredirlo quindi, mettergli le mani addosso, rompergli il cranio… E se qualcuno si mette in mezzo… beh, allora la furia dilaga. Come diavolo ti permetti tu, bianco come me, di metterti in mezzo? Tu buonista del cazzo? Tu certamente più fortunato di me, brutto bastardo, che certamente non vali più di me, cosa credi? Ti permetti di giudicarmi? Mi giudichi e lo fai pubblicamente cercando di farmi fare una figura di merda? Ma io ti lascio steso qui dove ti trovi, maledetto!

Ecco come succederà. Succederà esattamente così. E non dovremo aspettare molto tempo. Ecco allora che dopo un episodio, due episodi, tre, se non ci sarà (e non ci sarà) una fermissima presa di posizione dei partiti di governo, come il forellino della diga che si allarga velocemente, sotto la pressione dell’acqua, così da casi isolati si passerà a un fenomeno dilagante al quale, statene certi, si opporrà un analogo fenomeno degli avversari dei primi.

Il problema cruciale è che sarà un fenomeno difficilmente arginabile; non più solo un problema di ordine pubblico ma un problema culturale. Non avremo le parole per affrontare il problema sotto il profilo culturale, semplicemente perché le abbiamo già consumate tutte e la pornografia del linguaggio – con un processo assolutamente analogo – avrà da tempo preso il sopravvento. Non ci sarà appello alla ragionevolezza che tenga, non ci sarà ammonimento papale che faccia effetto. Le parole saranno vane.

C’è un significato maggiore di quello che io stesso credevo, a quest’ultima affermazione. Un’amica ha raccontato, su Facebook, come un suo conoscente, da lei richiamato per avere divulgato una fake news, le abbia detto che non gli importava e che non intendeva rimuoverla, perché lui è arrabbiato, quella fake era in qualche modo plausibile, e questo era il suo modo di reagire a una politica che non gli piaceva. Il senso di questo aneddoto è tremendo; le fake, in maggioranza costruite ad arte da mestatori di professione, diventano funzionali in maniera consapevole a chi prova disagio e frustrazione e vuole protestare; spargere falsità, consapevolmente, perché si vuole male al mondo, al governo, alla casta, al destino cinico e baro che ci ha avviliti. Abbiamo superato di un balzo, in modo irreversibile, l’idea di popolo ignorante che subisce il linguaggio aggressivo e falso, e siamo approdati in una terra di popolo che utilizza consapevolmente il falso per accreditare propri valori, credenze e modi di agire. Non più: sono stato manipolato, la mia colpa è solo l’ingenua ignoranza, bensì: io manipolo, e mi faccio parte di tale manipolazione, mi compenetro di una plausibile ma distorta verità che fa comodo per giustificare il mio malessere, fornisce una cornice di senso (artefatto) alla mia reazione al mondo.

Siamo fritti. Ciò significa che nessun ragionamento razionale può combattere la deriva. I ragionamenti pacati, razionalistici, à la Hic Rhodus, servono a noi, per noi, per la minoranza che rappresentiamo, e hanno una grande importanza per guidare la nostra consapevolezza, organizzare la nostra reazione e resistenza. Ma non cambieranno una virgola in loro, che sono maggioranza. Loro hanno rotto gli argini, sapientemente guidati da spregevoli individui che non saranno in grado di contenerli, ma dovranno cavalcarne le reazioni bestiali, illogiche, violente ed eversive.

IO NON SO COSA SI DEBBA FARE. Sento, percepisco, voglio credere che il ragionamento, il linguaggio corretto, lo sviluppo di concetti, sia ancora utile almeno per noi, e così continuerò, sentendomi sempre più assediato nella mia cittadella mentale. E così facendo resterò in attesa degli eventi senza saperli contrastare, senza immaginare modi che possano, a breve, invertire la destinazione (destinazione = dove si compirà il nostro destino) della nostra nazione.

Risorse complicate: