L’incompiutezza (irresponsabile) come destino di un popolo

Quante opere edilizie incomplete ci sono in Italia? Centinaia di grandi opere, contando quelle pubbliche (strade, viadotti, scuole…), migliaia contando quelle private (case, capannoni). Il tema è stato “riscoperto” dal collettivo Alterazioni Video che documenta gli scempi incompiuti che punteggiano paesaggi, spesso rurali, in cui finiscono – quasi, molto ‘quasi’ – per incunearsi e ricevere un senso specifico, un graffio umano che ha contaminato ma che, anche, viene integrato. Almeno: questo è uno dei possibili significati di questo pregevolissimo lavoro o, più che un significato, una provocazione.

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Se il livello pubblico parla di incompetenze, clientele, sprechi, connivenze (e già potremmo a ragione biasimare e condannare i responsabili, perché ci sono i responsabili e hanno un nome e un cognome) a livello privato dobbiamo indagare altre dimensioni. Perché mai un individuo avrebbe dovuto spendere soldi suoi (suoi?), iniziare un progetto edilizio, piantarlo lì, non finito, e dimenticarlo, lasciarlo circondare e includere da altre costruzioni, in parte finite, in parte analogamente incompiute, e disegnare pertanto un paesaggio sconnesso, orrido? Perché?

Qualche spiegazione ci viene dal contesto: la stragrande maggioranza di questi obbrobri sono al Sud: Campania e Calabria innanzitutto, dove il paesaggio è composto in gran parte da questi simulacri di case, da questi obitori di mattone, scheletri di cemento intervallati da case finite e abitate. Basta prendere il treno da Roma verso Reggio Calabria e vedere scorrere una mostruosità che non sembra compiutamente percepita dalle popolazioni locali, neppure in zone turistiche, anche famose e frequentate, dove l’orrido incompiuto comunque incombe.

Il problema del non finito non è estetico, ma etico. Con questo intendo che riguarda le forme di vivere e di abitare, dunque gli usi comuni che si sedimentano in un luogo. Il non finito rappresenta il fallimento del passaggio alla modernità del Sud. È il simbolo delle aspettative di un popolo che ha creduto nella possibilità di progredire. Le case in questo contesto sono state un investimento su un futuro che si credeva migliore e possibile (Francesco Lesce, ricercatore di Estetica all’Università della Calabria – fonte).

Le cause sono complesse e intrecciate.

Innanzitutto la particolarità delle migrazioni meridionali del dopoguerra, che per ragioni sociali e culturali finalizzava il progetto alla costruzione di una o più case (per i figli) nel paese d’origine. Spesso il progetto iniziava ma non finiva, il migrante tornava anticipatamente per una qualunque ragione, i flussi sono finiti e le costruzioni sono rimaste così… abbozzate.

Poi ci sono state agevolazioni pubbliche, sanatorie, interventi speciali (per esempio dopo terremoti) o ipotesi di modifiche di piani urbanistici e via narrando che hanno indotto a “mettere il cappello”, iniziare una costruzione, salvo poi non avere più la disponibilità a completarla.

Ma di fondo c’è l’arte di arrangiarsi. Fai un abbozzo di casa, non la finisci, non paghi tasse, l’occupi abusivamente, con qualche “miracolo” del fai-da-te ti allacci ad acqua, luce e gas, che forse paghi e forse no, e ci abiti tranquillamente, nella parte agibile. E nessuno trova nulla da ridire.

Come scrive Pino Aprile (Il Sud puzza, PiEmme ed.):

Bisogna esser geni per costruire il caos sociale con tale precisione: case incompiute, abusivamente occupate da veri proprietari, così legittimati a non pagare, ed economia illegale ma necessaria. Una perfetta antisocietà civile; o società incivile.

Anche se fenomeni simili si trovano in altri paesi, come Grecia e Spagna, le ragioni e complessivamente la portata del fenomeno non hanno nulla a che fare con la devastazione italiana. Ecco perché una risposta precotta e ideologica non ci può bastare. Dare la colpa al liberismo, per esempio. Anch’io penso che il liberismo c’entri qualcosa, visto che ha tutte le colpe economiche, sociali, morali e tricologiche dell’universo;

le rovine incompiute  – scrive Giacomo Dini sul Manifesto – sono la hybris di una società ingorda e ultraliberista, che non costruisce utilitaristicamente, con l’obiettivo di raggiungere un preciso obiettivo, ma all’opposto edifica e pianifica assecondando il proprio impulso a volersi affermare con qualunque mezzo su un mondo che altrimenti le opporrebbe resistenza. 

Ma il liberismo non è una prerogativa italiana, e specificatamente del Sud Italia. Nei paesi ultra-super-turbo-liberisti (che dire? USA, Cina…) non esiste nulla di simile. Semmai hanno ben altri problemi e brutture liberisti, ma certamente non questi. Né in Germania, Olanda, Austria, Gran Bretagna… tutti paesi notoriamente sovietici…

Dare la colpa al liberismo (o a Mammona, al destino cinico e baro, a Soros…) è utile solo per guardare altrove. Se la colpa è del malvagio liberismo, io povero villico che ho tirato su tre quarti di casa, c’ho allacciato la luce abusivamente e vi abito, mica c’ho colpa! La colpa, dicevano i marxisti d’antan, è della società, quindi di un Ente astratto, quindi non la mia, quindi se rubo, se mi drogo, se ti accoppo, se ti stupro, io sono l’esecutore materiale ma senza colpa, anzi: io prima vittima di un mondo ingiusto che mi ha reso così (ecco perché a sinistra non c’è una posizione chiara che sia una, sulle questioni di ordine pubblico).

Invece no. Il liberismo è brutto e cattivo, Soros è da evitare, il mondo è una valle di lacrime e io c’ho la cervicale che mi duole. Ma ognuno, senza alcuna esclusione, si prende le proprie responsabilità. Adesso lo scrivo tutto a lettere maiuscole così nessuno avrà dubbi:

OGNUNO, SENZA ALCUNA ESCLUSIONE, SI PRENDE LE PROPRIE RESPONSABILITÀ.

Tu che hai costruito una mezza casa abusiva ne hai la responsabilità. Tu cittadino che l’hai tollerato hai una quota di responsabilità. Tu sindaco che lo sai e hai chiuso gli occhi ne hai una enorme. Tu legislatore che sei chiamato a decidere ne hai ancora una più grande. E via a distribuire, dal grande paniere delle responsabilità.

Se poi entra in ballo anche il liberismo, o Soros, o la valle di lacrime o la mia cervicale, benissimo; ne terremo conto nei colti dibattiti sul manifesto, sul cazzeggio di Facebook, in sagrestia o dal mio posturologo, ma per il resto nessun alibi. Mai, mai, mai, alcun alibi potrà giustificare la mancanza di responsabilità di ciascuno, e poiché questa frase mi è piaciuta, anch’essa vi viene ora riproposta a titoli cubitali:

Lo sfascio del paese (in questo caso l’enorme consumo di suolo, le cave, la distruzione del paesaggio, l’illegalità forgiatrice di diseguaglianze e molto altro) è colpa nostra. Non riesco a capire perché a sinistra questo concetto non piaccia, anche se ho il sospetto che il liberismo c’entri qualcosa (e non sto facendo sarcasmo.