Gli adulti continuano a dire: “E’ un nostro dovere dare ai giovani speranza, glielo dobbiamo”. Ma io non voglio la vostra speranza. Non voglio che stiate lì, speranzosi. Vi voglio vedere nel panico (Greta Thunberg).
Alcuni lettori se ne sono accorti da tempo, e qui nella redazione di HR mi guardano tutti strano, da un po’. Il mio crescente pessimismo preoccupa… Per qualche frazione di secondo ho provato a sentirmi in colpa e cercare di vedere qualche risvolto positivo nel mondo attorno a me ma, dopo quella frazione di secondo, sono tornato alla ragione più forte e più pessimista che pria.
Da dove volete che cominci?
Dall’ambiente (di cui ce ne infischiamo tutti sonoramente, e che ha meritato l’epigrafe sopra)? Presi dalle beghe del PD e dall’ultima sciocchezza toninelliana direi che aspettiamo allegramente il prossimo terremoto o – a Primavera incipiente – i torrenti esondati e le frane con i prevedibili danni, le vittime e gli stupidi pianti successivi. Viviamo nel (preteso) Paese più bello del mondo ed è tutto una devastazione, territori inquinati, abusi edilizi e consumo del territorio come nel più distopico sogno di un urbanista psicotico, coste mangiate dal mare, monti abbandonati, bombe chimiche qui e là che il “pericolo” delle centrali nucleari gli fanno un baffo, differenziazione dei rifiuti stitica e smaltimento combattuto a colpi di NIMBY…
Ma forse dovrei parlare di economia, delle famose “tasche dei cittadini” dove tutti, ma proprio tutti, mettono continuamente le mani dandoci contemporaneamente grandi pacche sulle spalle per dirci “sorridi, sei sulla candid camera più bella della mondo!”. Da quando c’è questo governo non un solo indicatore economico va per il verso giusto. Non uno che sia uno e vi risparmio l’elenco. Certo, c’è una congiuntura negativa, ma al posto di opporvi un programma espansivo questo belluino governo del cambiamento, come da nome da loro medesimi scelto, hanno in mente solo manovre recessive, assistenzialiste, destinate al fallimento dopo avere dissestato le tristi finanze nazionali.
E vogliamo parlare di lavoro? Che diminuisce perché, semplicemente, l’Italia ristagna, non innova, non ha un ceto imprenditoriale capace, ha una burocrazia maligna e una giustizia fetente distogliendo dal Bel Paese gli investitori esteri, ha manodopera poco qualificata e molto costosa (ma chissenefrega, adesso col reddito di cittadinanza sistemiamo tutto!) e sindacati estremamente operosi nel mantenimento di questa situazione. Evvai col cambiamento!
Ah, ma allora forse è meglio discutere di Europa, di geopolitica, perché siamo tutti interconnessi e mica va bene discutere solo dell’Italietta! Sarebbe bello, peccato che – da decenni, ma con un chiaro giro di vite del governo del cambiamento – ci siamo chiamati fuori da ogni sede internazionale di un qualche rilievo, e dove già contavamo come il due di picche ora, semplicemente, non siamo nemmeno al tavolo a dare le carte…
Ma abbiamo sconfitto l’ISIS! Col cavolo! L’ISIS è stata sconfitta militarmente (e questo era necessario) lasciano un buco nero mediorientale che continuerà a creare conseguenze sanguinarie per decenni, migrazioni di massa, instabilità non solo in quel quadrante ma anche sulle coste mediterranee, conflitti interposti fra blocchi (lo sapete che i blocchi ci sono ancora, vero?) e molto altro che si riverserà pesantemente sull’anello debole di cui non vi dico il nome perché lo sapete già.
Vediamo… quali altri argomenti ci restano?
Dell’impossibilità di questo popolo straordinario (ma mai normale) di redimersi ho già parlato a lungo di recente, e naturalmente è il collante di tutte le disgrazie. Siamo cialtroni vigliacchetti, profittatori di piccolo cabotaggio, giustizialisti con le disgrazie altrui e garantisti con le furbizie nostre, mafiosetti di serie B troppo presi dal continuo selfie che è diventata la nostra vita per sentirci veramente toccati da quanto accade attorno a noi. E a chi tocca nun se ‘ngrugna.
Allora, guardiamoci negli occhi: ma dovrei essere ottimista perché se sono preoccupato le rughe mi invecchiano e vengo male in foto? Berlusconi ci tranquillizzava indicandoci i ristoranti pieni, e Renzi ha fatto dell’ottimismo il suo mantra. Ne vediamo i risultati ultimi… Certo, chiaro, ovvio che il pessimismo all’ultimo stadio blocca, paralizza, non consente reazioni. Ma anche lo stolto ottimismo distrae pericolosamente dalla realtà di un mondo attorno a noi che non va affatto bene.
Quello che ci serve, a noi tutti, è un pessimismo incazzato, intollerante, stufo marcio di una politica fatta di continui siparietti e mai, dico MAI, di politica (il caso di studio, scusate cari amici che siete andati alle primarie, è il PD e tutta la telenovela del Congresso). Dove l’hashtag del giorno è la gaffe di Toninelli o il congiuntivo di Di Maio (ci sono caduto anch’io, sì, lo so…) e mai, dico MAI, il programma di sviluppo per il lavoro giovanile, il piano contro il dissesto idrogeologico, il dibattito su una sanità pubblica efficace…
Quello che ci serve è l’acuto senso del tempo che non abbiamo più per risolvere una quantità di problemi che il presente secolo non basterebbe a risolvere, neppure ci mettessimo tutti ventre a terra a far solo quello. E veramente ci infogniamo nel dibattito su Mahmood o su cosa farà Renzi (due temi esattamente equivalenti, a questo punto)? Ma veramente questa strizza ce l’ho solo io? Ma la risposta a questa paura non dovrebbe essere più impegno, più intelligenza, più argomenti, e soprattutto più indisponibilità, senza se e senza ma, verso i deficienti che bloccano lo sviluppo, che impediscono la ragione, che preferiscono l’esclusione, che indugiano nella finzione e nella rappresentazione anziché nell’intervento attivo al servizio della collettività?
Ecco, ci sono quasi: sono arcistufo della rappresentazione. La politica, e la gestione tutta della cosa pubblica, è tutta una finzione, un gioco di ruolo, una messa in scena dove un pugno di persone tiene in ostaggio la buona politica, quella che in Italia non riusciamo mai a mettere in atto. Viviamo la politica come giochini sporchetti di De Luca, come gradassate di Emiliano, come sgomenti di Toninelli, come burbanza di Salvini, come narcisismo di Renzi, come folklore berlusconiano, mentre il ponte di Genova non ci interessa più, i terremotati dell’Aquila si arrangiano, la TAV va avanti a botte di demagogia, i fondi europei si sprecano o non si sa come sprecarli, le strade son piene di buche (ma sì, anche le buche, grande metafora del presente!).
Io non sopporto più questi pupazzi prigionieri dei loro ruoli, sclerotizzati nei loro cliché, prevedibili fino alla noia nella loro totale mancanza di idee dirompenti, nuove e, specialmente, svincolate dalla loro orribile presenza.
Ecco perché predico l’intolleranza, l’intolleranza verso ogni parola omologata, ogni comportamento stereotipato, ogni persona trasformata nella caricatura di se stessa. E ciò conduce a un pessimismo cosmico perché si tratta di mali umani, così umani…