Paolo Pagliaro e la nobiltà d’animo degli elettori

Lo scorso 28 gennaio, nella sua quotidiana rubrica “Il Punto”, il co-creatore di Otto e Mezzo, Paolo Pagliaro (solitamente tra i più lucidi commentatori di attualità e politica), si è lanciato in un’analisi assai romantica e consolatoria del risultato elettorale in Calabria.

Secondo Pagliaro, il fatto che il numero di voti presi dal M5S in Calabria sia stato inferiore a quello dei percettori del Reddito di Cittadinanza smentirebbe la tesi secondo cui gli elettori sono dei materialisti egoisti, che votano sulla base dei benefit e delle mance elettorali ricevute.

Ora, con tutto il dovuto rispetto, mi pare che questa tesi sia un tantino avventata.

Prima di argomentare quest’ultima affermazione, tuttavia, vorrei ricordare un paio di illustri sostenitori della tesi che Pagliaro crede di aver smentito. Il primo è Edward Banfield, che nel suo saggio “Le basi morali di una società arretrata” spiegava che

Il familista amorale si serve del voto per ottenere il maggior vantaggio a breve scadenza. Per quanto egli possa avere idee ben chiare su quelli che sono i suoi interessi a lunga scadenza, i suoi interessi di classe, o anche l’interesse pubblico, questi fattori non influiscono sul voto, se gli interessi immediati della famiglia sono in qualche modo coinvolti.

Più recentemente è stato invece l’economista Michele Boldrin ad approfondire questo tema, in una serie di articoli intitolati “Il governo rosso-brunato”, scritti sul sito Noisefromamerkika all’epoca del governo Conte I. Boldrin propone un’illuminante rilettura della storia politica, sociale ed economica dell’Italia dal dopoguerra ad oggi, e ne conclude che la maggioranza Lega-5S che sostenne quel Governo non solo era l’unica logica conclusione dopo le elezioni del 4 marzo 2018, ma era per così dire il “punto d’arrivo” di tutta la cultura politica italica, fondata a suo dire su 4 pilastri: il nazionalismo ideologico, il populismo politico, il moralismo cattolico e il socialismo economico.
Nella II parte di questo mini-trattato, Boldrin spiega:

Da sempre (…) per la stragrande maggioranza degli italiani lo schema interpretativo con cui si valutano le scelte politico-sociali è quello della contrapposizione fra una elite signorile/esclusiva/invidiata/remota/arbitraria/ladra/corrotta/incapace/elargitrice ed un popolo onesto e lavoratore, ma bisognoso (di elargizioni);

•Il rapporto del “popolo” con tale elite è bimodale. Le si richiedono elargizioni, favori, garanzie e prebende; finché questi arrivano le rimostranze verso l’elite medesima vengono mantenute nell’ambito privato, mentre in quello pubblico si favorisce quel membro dell’elite che massimizza la speranza individuale di prebende per se stessi e la piccola comunità con cui ci si identifica (paese, associazione professionale, parocchia, famiglia). Quando praticamente tutti i membri dell’elite fra cui si era adusi scegliere diventano incapaci di offrire favori, garanzie e prebende, si opera per spodestarli a favore di chiunque prometta favori, garanzie e prebende.

•Con mille dettagli e specificazioni (il PCI crebbe negli anni ’70 perché sembrava essere in grado di offrire maggiori prebende che la DC, idem per il PSi di Craxi negli anni ’80, eccetera) dal 1946 al 2011 circa (le avvisaglie per alcuni gruppi cominciarono ad arrivare già nel 1990-92) vi fu prima crescita reale (sino a circa i primi anni ’80) e poi debito pubblico emissibile a sufficienza da permettere che alcune componenti delle elite promettessero credibilmente favori.

•A partire dal 1992 e, in crescendo, sino al 2011-12 è diventato chiaro a sempre più gruppi sociali o di interesse che non c’era più nulla da elargire, ben via crescita o ben via debito pubblico. A quel punto i medesimi gruppi si son messi alla ricerca di nuove elite di riferimento a cui chiedere prebende. Il M5S e la Lega si sono offerte e sono state credute (…)

Hanno dunque ragione i Banfield, i Boldrin e compagnia? O ha ragione Pagliaro, basandosi sull’analisi del voto calabrese? Per quello che può valere, a mio avviso la tesi di Boldrin resta ancora assai più convincente. La ragione principale è la mera osservazione di alcuni fatti.

Il primo è la tendenza, da parte di chiunque abbia governato l’Italia dal 2011 in poi, a continuare a fare politiche economiche improntate ad elargizioni e favori a gruppi numericamente più numerosi e (quindi) politicamente influenti (pensionati, lavoratori dipendenti), a scapito di quelli più irrilevanti (generazioni future, lavoratori autonomi). Come controprova si può annoverare il fatto che l’unica riforma veramente controtendenza – la legge Fornero – fu fatta da un Governo tecnico, guidato da quel Mario Monti che, all’inizio del mandato, a tutto pensava tranne che a ricandidarsi.
Quella riforma fu votata all’epoca da quasi tutti i partiti, i quali tuttavia, un secondo dopo cominciarono a prenderne le distanze e a promettere “correttivi”, culminati poi in Quota100.

Verrebbe dunque da chiedere a Pagliaro: possibile che quei partiti, così attenti ed efficaci nel misurare gli umori della gente, si siano presi un abbaglio così grande e abbiano sottovalutato una presunta lungimiranza della gente? Possibile che quest’abnegazione con cui distribuiscono mance elettorali a ogni finanziaria sia del tutto infondata?

Vi è poi un altro aspetto da tenere in considerazione: il voto per interesse non lo si può misurare solo a posteriori. È qualcosa che incide soprattutto prima. Davvero pensiamo che il M5S avrebbe preso il 32% alle elezioni del 2018, senza la promessa del Reddito di cittadinanza (che, è bene ricordarlo, in campagna elettorale veniva presentato in modo assai più generoso rispetto a come poi è stato implementato)? E possiamo escludere che una parte dei voti persi da allora sia dovuta proprio alla delusione di chi quel Reddito non è riuscito ad ottenerlo?

Oltretutto, è significativo che parte dei voti persi dai 5 stelle sia andata all’unico partito che offriva di più, cioè la Lega (Quota 100, flat tax al 15%), mentre i partiti meno “elargizionisti” (cioè +Europa e pochissimi altri) continuino a racimolare consensi risibili.

Allegato:

Il Governo rosso-brunato di Michele Boldrin