La democrazia fragile alla prova del coronavirus

Una democrazia è più o meno forte in relazione alla combinazione di due fattori: i cittadini e le istituzioni. Cittadini disciplinati, con adeguato senso civico, e istituzioni coese e reattive, capaci di prendere decisioni e farle rispettare. Un elemento rinforza l’altro. Tutto il resto segue: giornalisti intelligenti, operatori (in ciascun campo preso in considerazione) efficienti, etc.

In questo momento in Italia, invece, la stupida e fasulla “crisi” del coronavirus mostra:

  1. cittadini da isterici (assalto ai supermercati) a criminali (elusione della quarantena dove è stata imposta), in ogni caso privi di quella disciplina minima, ispirata da razionalità e senso civico, senza la quale nessuna crisi potrà mai essere affrontata;
  2. istituzioni allo sbando, con decisioni discutibili e affrettate, e presidenti di Regione che per questioni di vergognoso esibizionismo diventano parte seria di un problema di governance, anziché prodigarsi per assicurarla; 
  3. politici sciacalli e giornalisti loro pari.

Quella del coronavirus è una crisi da barzelletta. Se la prendiamo, però, come una sorta di esercitazione generale per una futura, sempre possibile, crisi vera (da un virus assai più letale a una qualunque crisi socio-economica di ampie proporzioni) allora non ci resta che una semplice constatazione da fare: siamo fottuti.

Siamo tutti, tutti, nessuno escluso, troppo speciali e splendidi per essere “educati”: che si sia cittadini o persone investite di una carica pubblica funziona solo l’Io, poi un pochino il Noi (la mia famiglia, il mio clan) e basta, tutti gli altri – nessuno escluso – si fottano. Eleggiamo persone assolutamente incompetenti nei ruoli chiave, ed è inutile circondarle di specialisti vocianti se poi quegli incompetenti prendono decisioni a vanvera sull’onda della paura, della linea del partito, del sondaggio e dell’Ego smisurato. Permettiamo a persone infide e in malafede di diffondere notizie false, o artatamente proposte in modo da aumentare il panico, la confusione, il malessere, perché panico, confusione e malessere sono un business, creano opportunità, sono tollerate proprio dalla fragilità della nostra democrazia.

Prima o poi il coronavirus passerà. O si estinguerà da sé perché – bene o male – un po’ di prevenzione e misure epidemiologiche avranno funzionato, oppure perché tutti e 60 i milioni di italiani si saranno infettati, qualche migliaio di vecchietti saranno morti, a beneficio dell’INPS, e potremo tornare alle nostre occupazioni. Guai però a non trarne una lezione pesante sotto il profilo istituzionale. Nulla si può fare per (o contro?) il popolo coglione, ma una serie di riforme urgentissime per affrontare la crisi vera (che prima o poi verrà) vanno messe in campo subito:

  • un ridisegno delle istituzioni da regionali a locali, a partire dalla riforma dell’orrido Titolo quinto della Costituzione, accorpamento delle Regioni e drastica riduzione delle loro competenze, e giù giù – già che ci siamo – fino ai comuni;
  • possibilità di costituire unità di crisi che possano decidere (quindi: partecipazione quanto vi pare a titolo consultivo, ma poi un gruppo ristretto decide) e imporre le decisioni stabilite;
  • possibilità di uniformare e controllare le informazioni diffuse.

Direte che assomiglia un po’ troppo a un’idea autoritaria? Forse. La democrazia (quella che voi considerate tale) funziona astrattamente per un popolo virtuoso; non per una massa di capre anarchiche. Agli italiani lasciate il calcio e Il Grand fratello Vip, che se a tirare fuori le castagne dal fuoco ci pensa qualcun altro son solo contenti.