Scrive Roberto Arditti che quello attuale è il Parlamento peggiore di sempre, citando la vicenda dadaista e istrionica di Sgarbi che dà dei mafiosi a tutti, sputazzando senza ritegno, venendo infine portato via di peso dai commessi fuori dall’aula. Dissento. Sgarbi è un esibizionista egocentrico, e viene ripetutamente candidato nei luoghi più assurdi proprio per questo (assessore a Milano, sindaco a Salemi, assessore siciliano, sindaco di Sutri…). Sgarbi ha costruito la sua immagine non certo sul ruolo politico che ha sempre profondamente disprezzato, essendo essenzialmente, e solo, Vittorio Sgarbi, ma sull’essere quel tale personaggio, fatto così, come lo fu Biscardi, come lo fu Funari, personaggi eccessivi che nell’epoca che consuma tutto riescono a essere sempre oltre: oltre la decenza, la logica, il rispetto di se stessi… Lasciamo stare Sgarbi, in un Parlamento che ha visto Cicciolina e Taverna, Nino Strano (quella della mortadella in bocca quando cadde il secondo governo Prodi) e De Gregorio, decine di inquisiti e centinaia giurare che Ruby era la nipote di Mubarak, sinceramente Vittorio Sgarbi brilla come un diamante prezioso. Un po’ stronzo, da non badare assolutamente a quello che dice e che fa, ma non certo il peggiore, anzi…
Arditti in realtà fa un’analisi più ampia e spiega in tre punti questa sua valutazione: il trasformismo, l’inettitudine di fronte alla pandemia, la futilità della Commissione d’indagine. Il mio dissenso rimane inalterato e credo che ad Arditti capiti quello che capita un po’ a tutti: vivere intensamente il presente, lasciando scivolare il passato in una zona d’ombra mal ricordata. Lo scandaloso di oggi abbaglia e rende meno visibile lo scandaloso di ieri, ma scandaloso era e rimane, e basterebbe un po’ di richiamo storiografico per rammentare le sconcezze trasformiste, a destra e a sinistra, l’inettitudine su tutto (perché mai di fronte al Covid, che è una situazione straordinaria, e non di fronte alle riforme istituzionali, alle politiche industriali, alla finanza pubblica e via discorrendo, temi da periodi ordinari vergognosamente sempre ignorati da governi di destra e presunta sinistra?). E sulle commissioni d’inchiesta stendiamo un velo pietoso, che abbiamo commemorato da poco la strage di Ustica…
Il problema, lo ricordo a tutti noi, è che in Italia si è compiuta una frattura mai sanata fra politica e popolo, fra Istituzioni e Paese, e quella frattura si chiamò “mani pulite”. Indipendentemente dalle ragioni giudiziarie di quella vicenda complessa, successe una cosa molto chiara: la politica – come nota fino all’epoca – semplicemente fu cancellata. La Magistratura, nella sua peggiore anima populista, assunse una visibilità e un potere (e una compiacenza) smisurati surrogando la politica, e anzi sovrapponendosi in maniere che definire improprie e non istituzionali significa essere moderati nel lessico. I sindacati, nell’epoca funesta della concertazione, si sostituirono nella definizione delle politiche economiche e del lavoro. I giornali e i nuovi media si sostituirono nella formazione della pubblica opinione. E il partito-azienda di Berlusconi ebbe partita facile ad affermarsi distruggendo in un battere di ciglia le logiche della corretta politica: argomentazione, programmazione, mediazione, che già faticavano a imporsi nella cultura italiana. Il giro di boa da una politica reale (con tutte le sue storture e, sì, ruberie, per favore non lasciatevi distrarre) a un nuovo corso populista, inizia con Berlusconi, padre spirituale del populismo grillino (quello salviniano ha una matrice a mio avviso diversa): approssimazione, trionfalismo immotivato, falsa costruzione della realtà e menzogna seriale, edonismo come modello, linguaggio impolitico…
Populismo politico, populismo della magistratura, dei giornali, dei sindacati. Costruzione continua, per alcuni decenni, di una cultura della diffamazione, del trasformismo che Arditti si è dimenticato, dell’appellarsi al popolo (un’invenzione berlusconiana) e dei salotti televisivi, degli argomenti futili, della programmazione mancata, dei salvataggi dell’Alitalia come modello economico e del pasto gratis come promessa, ovviamente mai mantenuta.
Con Craxi, con Andreotti, con una classe politica che ha annoverato Berlinguer, Moro, La Malfa, Zanone (epoche e ruoli diversi, lo so) non se ne sono andate le ruberie e le raccomandazioni, né il nepotismo, ne la demagogia, che certamente caratterizzavano in una qualche maniera anche quell’epoca e, vistosamente, alcuni personaggi; non se ne sono andate ma sono state codificate, esplicitate, rese normali.
Il partito azienda ha insegnato a mettere propri stipendiati nei posti di potere. Sodali, correi, legati a doppio filo al capo nel bene e nel male, altro che mancanza del vincolo di mandato! Con le barzellette Berlusconi ha insegnato a una successiva generazione di populisti a irridere gli avversari, diminuirli, consegnarli a una dimensione impolitica evitando così i confronti veri. Berlusconi ha trasformato la politica estera in un teatrino a suo beneficio, e le menzogne continue in ipotesi plausibili di realtà. Questo è stato possibile, dall’oggi al domani, per l’azzeramento della vecchia politica, malata, insoddisfacente, anche ladra se volete per forza battere su questo tasto (che fu all’origine di “mani pulite”) ma che aveva alcune qualità che questi, venuti dopo, si sognano: una visione, innanzitutto, dalla quale far discendere delle politiche; il senso delle Istituzioni, mai tradito; la competenza diffusa e alimentata da anni di esperienza politica, di gavetta in provincia, di discussioni nelle sezioni di partito, di confronto con le piazze.
Dopo, grazie al viatico di Berlusconi, a sua volta favorito dallo scompaginamento istituzionale dovuto a Mani Pulite, il nulla. I pochi politici di razza, i pochi intellettuali e tecnici prestati alla politica, via via macinati e sputati con disprezzo da una categoria che è, da allora, e sempre, la peggiore di sempre.