Guardate che la falce e il martello hanno formato un simbolo potentissimo nella loro semplicità: l’idea della comunione degli oppressi, le grandi masse rurali che vivevano di stenti e le nuove leve operaie oppresse dai padroni. E quel pugno chiuso, fallico, minaccioso, immediato… E da parte sua anche il fascismo ha adottato dei simboli potenti, a iniziare dal fascio littorio (uniti siamo forti), dalla messa in scena vitalista e giovanilista favorita dalle avanguardie artistiche dell’epoca, e quindi le canzoni esaltanti e un linguaggio spettacoloso. Il profilo del duce stilizzato nei profili delle colline, Lenin che arringa la folla col suo pizzetto, Mussolini in quelle pose tronfie che ora ci appaiono ridicole, e mentre partecipa alla trebbiatura, Mao che attraversa lo Yang Tze, Hitler davanti a migliaia di camice brune che solo l’esercito di uruk-hai di Saruman ha potuto fare meglio… Poi, in epoca meno eroica, l’edera dei repubblicani e il cappello frigio dei radicali (poi rosa nel pugno), il sole nascente dei socialisti… E Contessa di Pietrangeli, compagni dai campi e dalle officine…, e i digiuni di Pannella, gli obiettori di coscienza che affrontavano a viso aperto la galera, il rapimento di Moro, la vendita dell’Unità porta a porta la domenica… sono tutti simboli di una comunicazione politica capace di indicare, convincere, mobilitare. Per dire: Pannella coi suoi digiuni non poteva risolvere alcun problema, ma catalizzava l’opinione pubblica e imponeva un’agenda; la vendita dell’Unità, un rito di molti decenni fa, non serviva per aumentare la tiratura del quotidiano comunista, ma per palesare una testimonianza, un impegno dei comunisti. Simboli.
Da un punto di vista linguistico i simboli sono rappresentazioni semplici capaci di evocare concetti complessi: la bilancia simbolo di giustizia è tale per convenzione, e occorrerebbero diverse righe di questo testo per spiegare come da un’idea astratta di giustizia si passi alla valutazione dei meriti e delle colpe e si “pesino” gli uni e le altre per decidere secondo equità e quindi, alla fine, la bilancia. La bilancia non è la giustizia, non la rappresenta fedelmente (come nelle icone, per esempio nella maggior parte dei segnali stradali) ma la evoca. Nell’immaginario collettivo (della comunità che condivide quel codice) non servono altre spiegazioni. Probabilmente un lappone, vedendo la bilancia, pensa al mercato della frutta, mentre per un nukak la falce e il martello sono due strumenti dei bianchi, ammesso che abbia avuto contatti coi bianchi, e poco più.
Le bandiere sono simboli. Gli inni sono una specie differente di simboli ma siamo lì. Maradona è un simbolo, al di là di lui stesso, è una trasmutazione, Maradona, specie a Napoli, vuole dire calcio, napolitanità, essere per una volta vincenti, talento, amore per la maglia (fedeltà)…
Anche gli slogan sono una specie di simboli: “uno vale uno” significa pochissimo sotto il profilo strettamente linguistico, ma evoca uguaglianza, fratellanza, dignità. Evoca.
Se date un’occhiata in giro, nello specifico ambito della comunicazione politica, vedrete moltissimi simboli sapientemente utilizzati – con gradi diversi di consapevolezza – da leader importanti. La trasformazione di Santa Sofia in moschea, pretesa da Erdogan, ha una funzione simbolica potentissima; i turchi non avevano nessunissimo bisogno di un’altra moschea, e la struttura, nata basilica, poi trasformata in moschea, fu destinata a museo da laici intelligenti (Ataturk) che trovarono un’equa soluzione a un problema potenzialmente spinoso. Erdogan ha violato quella mediazione laica, e il simbolo esprime non già islamismo (anche quello, sì, ma in seconda battuta) quanto potere personale del Califfo: faccio quello che mi pare, me ne sbatto di voi cristiani, di voi occidentali, di voi comunità internazionale, nessuno mi dice quello che devo fare. Il simbolo è doppiamente efficace perché fa riferimento a una comunità (quella dei turchi islamici fedeli a Erdogan) che non sono interessati a una “risposta”; quella per esempio del Papa, per capirsi, era probabilmente doverosa ma qualunque sua risposta non può fare a meno di esaltare e confermare il gesto di Erdogan; per i suoi fedeli, ovvio. Così ai simboli del comunismo e del fascismo è quasi impossibile opporre altri simboli, o argomenti, perché fanno riferimento a sentimenti, sensi e significati con una logica chiusa, comprensibile agli appartenenti a quelle comunità (in questo caso quella logica si chiama ‘ideologia’).
Potenti comunicatori di simboli sono Trump, Putin, meno Macron, abbastanza BoJo.
Anche se i simboli sono, per definizione, delle manipolazioni, e quindi degli strumenti di consenso e dominio, pure sono anche estremamente utili. Marx non poteva pensare di mobilitare le masse coi Grundrisse, o col Capitale, ma solo con quel misero pamphlettino del Manifesto; misero filosoficamente ma potente nella retorica! Poi ci pensò Engels a fare una misera vulgata del pensiero marxiano. Così Lenin, che ha scritto un sacco di cose non certo per la sua armata di bolscevichi ma per gli intellettuali che costituivano, per lui, gli alleati o gli avversari. Idem Mussolini col patetico libretto (per la maggior parte scritto da Gentile) La dottrina del fascismo, brutto e povero di idee; non servivano tante idee al fascismo, come non ne servono al comunismo e a tutte le altre grandi idee che muovono le masse, come il suprematismo americano negli USA, il panslavismo per la Russia, il riscatto cinese per i cinesi e via discorrendo. Quindi: simboli potenti, simboli manipolatori, simboli diretti che aggreghino le masse.
Non è necessariamente sbagliato; se hai delle buonissime idee complicate, e se vuoi governare per applicarle, devi comunicarle a una grande massa di persone per convincerle a votarti, e devi semplificare, tagliare, in qualche caso banalizzare e, specialmente, avere delle bandiere, degli slogan, dei simboli evocativi.
Calenda, in una recente intervista al Corriere, si compiace di avere superato – nei sondaggi – la fatidica soglia del 3% e di guadagnare, pian piano, consensi. Di questo passo, augurandogli una lunga vita, governerà quando mio nipote andrà in pensione, e non è neppure vero perché – come abbiamo ricordato – si comunica solo entro determinate comunità, e quella di Calenda difficilmente supera, potenzialmente, il 10%. Calenda ha argomenti da vendere, ma non ha simboli da proporre, e quindi non governerà mai (se non, eventualmente, in una coalizione).
Il problema in Italia (o meglio: uno degli innumerevoli problemi) è che non abbiamo politici capaci di manipolare i simboli. Salvini (o chi per lui) è stato bravino fino al suo suicidio politico, dimostrando che i simboli sono importanti ma serve anche intelligenza e un programma e una visione, che rendano i simboli qualcosa di vivo, durevole e non effimero. Renzi ha avuto qualche remota capacità nel manipolare i simboli, con tutta evidenza non sufficiente, non incisiva e non duratura. Meloni qualcosina, ma sono simboli stanchi, vecchi, ripetuti meccanicamente e presi in prestito da altri, il sovranismo, il patriottismo…
Oggi ci servirebbe qualcuno con il carisma necessario (senza carisma i simboli non decollano) per lanciare nuove parole d’ordine, condividere nuovi simboli, aggregare su nuove visioni. Abbiamo anche le precondizioni giuste: una grande crisi, un potente declino da fronteggiare, una sfida. È la sfida che crea le motivazioni, e le motivazioni si coagulano attraverso slogan e simboli.
Chi vedete, all’orizzonte, abbastanza carismatico, con una visione potente, capace di maneggiare i simboli che ci servono per superare questo momento?
Quarant’anni fa, quando perfino io ero abbastanza giovane, c’erano giganti nella politica italiana. Qualcuno più furbo, qualcuno più malvagio forse, ma tutti con competenze politiche, carisma, linguaggio. Ognuno che sapeva maneggiare i giusti simboli per la propria comunità.
Oggi ci vediamo guidati da nani insulsi che si limitano a intervistine sui quotidiani, qualche tweet, sputacchiando slogan che durano meno della canzone per l’estate. Questi nani non riescono a creare il consenso necessario per aggregare masse capaci di affrontare sfide serie, reali.
In una parola: siamo fritti.