Noi italiani siamo ancora immersi in questa drammatica e piuttosto claustrofobica emergenza sanitaria, e in Europa altri paesi, al primo posto la Spagna, cominciano a sentire il morso dell’epidemia, mentre praticamente tutti hanno stabilito delle misure restrittive per tenere il più possibile la popolazione in casa. La produzione di beni e servizi è ovunque ridotta al lumicino, sia pure con differenze tra i diversi paesi, e le immagini dei centri storici delle capitali europee deserti e struggentemente belli si contendono gli schermi dei nostri PC con le immagini dei musei virtuali da visitare.
Eppure, non possiamo permetterci di non pensare alla nostra economia. Come ha scritto Claudio Bezzi, i danni che si stanno accumulando sono enormi, e, indipendentemente dal fatto che questo lockdown abbia dei motivi validi, il nostro già claudicante sistema economico uscirà devastato da questa fase come da una guerra. Già oggi, milioni di persone sono prive di reddito, e possono contare solo sui propri risparmi e sulle prime provvidenze pubbliche che stanno arrivando, e che (come al solito) sono indirizzate a categorie, e non alla generalità della popolazione. Non basta, e non potrà bastare.
Dobbiamo dirci molto chiaramente che se vogliamo che l’Italia possa conservare il suo sistema produttivo di beni e servizi lo Stato dovrà spendere una valanga di soldi. Centinaia di miliardi, che non devono finire a ricapitalizzare le banche che ovviamente si troveranno decine di miliardi di Euro di prestiti che aziende e privati non saranno in grado di restituire, ma appunto alle aziende e ai privati. Lo Stato deve rimborsare chi, non per propria scelta ma per motivi di salute pubblica, ha perso mesi di entrate, ha il magazzino pieno di merci invendibili, ha perso clienti che non torneranno. Non è ammissibile, e deve essere impedito a ogni costo, che anche una sola azienda debba fallire per via del lockdown, che bar e ristoranti debbano chiudere, che giovani professionisti debbano rinunciare all’attività. E non basta.
Non basta, perché ci sono milioni di altre persone, precari, stagionali, anche lavoratori in nero o grigio, che in condizioni normali “si arrangiano” e che non possono essere lasciati a se stessi solo perché non avevano un contratto al momento del lockdown. Di tutti deve farsi carico lo Stato. Questo non è un punto negoziabile: o si fa così o l’Italia chiude, ma chiude sul serio.
E i soldi? L’Italia ha i soldi per un simile programma di spesa pubblica? La risposta, facile, è no. No, all’interno dei parametri di bilancio ordinari; quindi, i parametri di bilancio ordinari devono essere ignorati. Facile a dirsi, vero? Il problema è che, dato l’astronomico debito pubblico italiano, qualunque Euro lo Stato debba spendere deve essere ottenuto in prestito da qualcuno. Ed ecco che arriviamo al tema centrale di questo articolo: da chi dobbiamo farci prestare i soldi?
Risposta facile: dall’Europa. Questa crisi è probabilmente la più grave che l’intera Europa abbia vissuto dal dopoguerra, investe pesantemente almeno due dei quattro più grandi paesi dell’Unione, comporta dolorose perdite umane. Insomma, è il perfetto esempio di una situazione in cui la solidarietà tra stati e le risorse dell’Unione possono e devono essere messe a disposizione per risollevare i paesi più colpiti. Se l’UE non serve a questo, non serve a niente. E infatti abbiamo visto i vari leader europei almeno formalmente concordare tutti sulla necessità di un’iniziativa comune.
Ma la domanda difficile è: con quale strumento devono essere finanziati gli interventi? Prima di tentare di rispondere, vorrei riepilogare che tipo di intervento, secondo me, va realizzato (e quindi finanziato):
1) Si tratta di un intervento da diverse centinaia di miliardi, solo per l’Italia. Inutile girarci intorno: secondo me alla fine saranno anche più dei 350 miliardi che sono “attivati” (non so cosa significhi, ma Conte ha detto così) dal decreto Cura Italia.
2) Si tratta di distribuire, rapidamente, soldi direttamente nelle tasche degli italiani. Misure come sgravi fiscali, agevolazioni e simili non servono a nulla, perché se un’azienda o un professionista fallisce non paga le tasse. Devono essere soldi veri.
3) Si tratta di erogare sovvenzioni a fondo perduto, non prestiti. I redditi che gli italiani hanno perduto non torneranno mai; quindi, i soldi che lo Stato erogherà ai cittadini non potranno né dovranno mai essere restituiti.
4) Si tratta di individuare soluzioni per evitare che i soldi vadano ad approfittatori, o peggio a organizzazioni criminali. Perché è inutile nasconderlo: quando in Italia si muovono molti soldi, le mafie fanno sempre in modo di ritagliarsene una bella fetta. E in Italia non si sono mai visti muovere tanti soldi quanti ne sto ipotizzando.
Quindi, se si è d’accordo che questi sono i connotati del piano che serve in Italia e probabilmente non solo, una specie di nuovo Piano Marshall, a questo punto torniamo alla domanda precedente: quale strumento può essere usato per mettere l’Italia in grado di realizzarlo? Su questo c’è disaccordo tra gli stati dell’Unione Europea, e gli schieramenti ricalcano quelli già visti in altre occasioni:
– un gruppo di paesi (in prima fila Italia e Spagna, con l’appoggio un po’ tiepido della Francia e di altri, come Portogallo, Irlanda, Belgio, Grecia, Lussemburgo, Slovenia) hanno chiesto in una lettera alla Presidenza del Consiglio d’Europa l’istituzione di Coronabond, ossia titoli garantiti solidalmente da tutta l’Eurozona che dovrebbero servire a finanziarie le politiche necessarie in ciascun paese per risollevare l’economia e rafforzare le capacità dei servizi sanitari di affrontare questo tipo di emergenza.
– i paesi “rigoristi”, ossia innanzitutto Germania e Olanda, con l’Austria e altri, sono decisamente contrari a uno strumento simile, che comporterebbe la condivisione tra tutti i paesi del debito da contrarre. Di fatto, si tratta di una posizione in continuità con il rifiuto sempre opposto da Germania & C. a ogni ipotesi di condividere il peso del debito dei paesi finanziariamente più deboli, come il nostro. Questi paesi propongono invece l’impiego del MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità, che potrebbe appunto erogare i prestiti necessari ai singoli paesi che ne hanno necessità.
La differenza tra queste due ipotesi è ovviamente tecnica, ma in sintesi si può dire che:
- I Coronabond sarebbero uno strumento completamente nuovo. Come tale, richiederebbe di essere discusso, istituito, regolamentato. Se, come sarebbe logico, a comprare i Coronabonds fosse la BCE, di fatto il loro utilizzo equivarrebbe a “stampare moneta”, in quanto la BCE comprerebbe dai singoli stati le loro emissioni pagandole in Euro, e questi titoli dovrebbero avere scadenze lontanissime e rendimenti minimi, e quindi non sarebbero destinati al mercato ordinario. Una proposta molto chiara su come questo potrebbe funzionare la trovate in un articolo di Francesco Giavazzi e Guido Tabellini su lavoce.info, proposta che personalmente sottoscrivo al 100%, parola per parola. Va detto che la BCE ha già annunciato un nuovo Quantitative Easing per 750 milioni di Euro.
- L’ESM ha certamente il vantaggio di esistere già, anche se il suo capitale è ovviamente largamente insufficiente per una simile operazione (la cui dimensione inevitabilmente sarà dell’ordine dei mille miliardi di Euro). Inoltre, agli occhi di chi lo propone, ha l’ulteriore vantaggio di poter entrare nel merito di come i prestiti vengono spesi, perché è chiaro che tedeschi e olandesi non desiderano tirar fuori soldi per finanziare la “solita” spesa pubblica italiana. Tuttavia, l’ESM ha tutt’altro scopo; i suoi prestiti sono finalizzati a sostenere “la realizzazione di programmi di riforme macroeconomiche preparati dalla Commissione Europea” o la ricapitalizzazione di banche in difficoltà, e un criterio per accedere ai prestiti è che il debito sia considerato sostenibile.
Ora, bisogna essere chiari: questi soldi non saranno mai restituiti, punto e basta, quale che sia lo strumento che si deciderà di usare. L’Italia (e la Spagna, e…) non ha bisogno di un prestito ordinario: ha bisogno di soldi da regalare ai cittadini che hanno perso le loro capacità di sostentamento a causa di un’emergenza nazionale di cui né essi, né lo Stato italiano hanno colpa. Quindi, gli altri paesi dovrebbero regalarci dei soldi? Non proprio. Dei Coronabond come quelli descritti sopra non sarebbero in realtà mai rimborsati da nessuno, proprio come le banconote che usiamo ogni giorno. L’unico rischio che teoricamente c’è nello “stampare moneta” è una crescita dell’inflazione; e dato che semmai in vista c’è una pesantissima recessione, questo rischio in questo momento è inesistente. Chi ci segue sa che siamo da sempre ferocemente contrari all’espansione della spesa pubblica; ma quando si verifica un evento avverso di portata storica, e questo lo è, lo Stato deve poter fare ciò che ordinariamente è da evitare. E oggi, appunto, quello che serve è proprio “stampare moneta”, perché è il modo più efficace ed economico per fornire a tutti gli Stati i mezzi di cui hanno bisogno.
Eppure, “stampare moneta” è qualcosa che provoca violente convulsioni in Germania e Olanda, dove purtroppo l’idea che qualcuno possa spendere soldi che non ha senza doverli restituire è inconcepibile. Inoltre (e questa invece è una preoccupazione più che ragionevole) sicuramente i nostri partner temono che un’apertura di credito praticamente gratuito verrebbe usata dai politici italiani per spese inefficaci, inefficienti e clientelari, un po’ come è accaduto in certe ricostruzioni dopo un terremoto. Credo che i tedeschi sappiano benissimo che il MES non è lo strumento “giusto” per quello che serve, ma che vogliano usarlo per avere degli strumenti di controllo sul reale utilizzo dei fondi. Peccato che usare il MES garantisca tassi di interesse bassi, ma comporti comunque la creazione di debito aggiuntivo, che ovviamente per il nostro paese costituirebbe un ulteriore elemento di fragilità nei confronti dei mercati. Sarebbe quanto meno necessario istituire una linea di credito a lunghissimo termine, anche più lunghe di quelle tipicamente offerte dal MES.
E, pure, l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è un muro contro muro. Se, anche per i nostri precedenti non esattamente affidabili, i nostri partner non sono disposti a farci regali (anche se a loro quei regali costerebbero quasi niente), prendiamone pragmaticamente atto, troviamo un punto di accordo, e mettiamo in moto questo processo, perché perdere tempo in questo momento sarebbe un suicidio. Magari leghiamoci pure al dito (anche) questa limitata disponibilità, e teniamola anche come monito: chi si mette in una condizione di fragilità, chi è governato in modo non serio, poi può trovarsi a pagarne il prezzo, che a volte è molto salato. Lo scrivevo, con toni un po’ più brutali, qualche settimana fa, all’inizio della fase calda dell’epidemia, e non è certo finita qui.