L’ha detto Flavio Insinna, conduttore del programma televisivo L’eredità. Io che sono animalista sottoscrivo, ovviamente, ma questo non c’entra. Scrivo di questa notiziola di terz’ordine (in ritardo perché avevamo argomenti più importanti, qui sul blog) per fare una brevissima riflessione sui processi culturali che cambiano, sulla società che è cambiata e cambia vorticosamente, e su coloro che non se ne accorgono, che non lo capiscono proprio. Perché i cacciatori si sono risentiti di questa battuta (ignoro in quale contesto e per quali motivi Insinna l’abbia fatta) minacciando tremende vendette. Massimo Buconi, presidente nazionale di Federcaccia, annuncia il boicottaggio del programma:
Consapevoli di quelle che sono le “regole dello spettacolo” e consci che una trasmissione come quella in oggetto e chi la conduce valgono per quanta economia generano e pubblicità portano nelle casse del canale, sarà nostra cura invitare tutti i nostri iscritti e i cacciatori italiani e le loro famiglie – un bacino potenziale di qualche milione di spettatori – a non seguire più “L’Eredità” e a preferire altre marche rispetto a quelle pubblicizzate prima, durante e immediatamente dopo il gioco.
Povero Buconi! Dirige una categoria residuale, stanco lascito di tempi antichi, quando i cacciatori erano una corporazione che spostava voti ed era lusingata dalle forze politiche. Secondo i dati ufficiali che ho trovato nei siti specializzati, dopo un repentino declino nei decenni passati oggi i cacciatori (andrebbero meglio definiti, diciamo: coloro che hanno porto di fucile per uso di caccia) si aggirano – anno più, anno meno – sui 700.000 (fonte), quasi tutti anziani, diversi dei quali a caccia non ci vanno neppure più.
Io personalmente non ho nulla contro il boicottaggio, che è una forma spontanea di gradimento/avversione verso prodotti, marchi, aziende; se a me Insinna mi disturba, e mi sento offeso da questa sua dichiarazione, faccio solo bene a cambiare canale, ci mancherebbe! Così come non leggo Libero, non guardo Rete 4, non mangio il Nesquik, non ascolto le canzoni dei Volo, così posso decidere anche di non guardare Insinna. Ora: supponiamo che la Federcaccia sia così pervasiva e persuasiva che riesca a far crescere la rabbia in tutti quei 700.000 cacciatori che decidono – anche a dispetto del parere avverso di coniugi e discendenti – di far piombare l’apparecchio televisivo, con le conseguenze dichiarate da Buconi: costoro non sono soggetti alle pubblicità, non compreranno più quei prodotti e così via. Un danno per la Rai e per le aziende?
Per niente. Quando si scontenta qualcuno, spesso, si accontenta qualcun altro, e Insinna sicuramente avrà avuto successo e consenso presso i non cacciatori (tutta la popolazione adulta italiana meno i 700.000) e, in particolare, presso animalisti di varie gradazioni, non necessariamente i più fanatici.
Da dati non recentissimi (gennaio 2020) apprendo, per esempio, che in Italia i vegetariani sono il 6,7% della popolazione, ai quali dobbiamo aggiungere il 2,2% di vegani (fonte), con dati in crescita. Ovviamente “vegetariani” e “vegani” sono parte di un concetto differente da “cacciatori” o “animalisti”, ma possiamo a buona ragione pensare che una larghissima maggioranza di veg non si limiti a rifiutare di mangiare carne, ma abbia una visione del rapporto uomo-animale opposto a quella dei cacciatori. Quel quasi 9% di veg, ai quali indubbiamente aggiungere moltissime altre persone che mangiano carne ma sono sensibili alle sofferenze degli animali, rappresenta oltre 5 milioni di italiani; almeno 4 dei quali adulti. Un calcolo al ribasso, ché gli interessati saranno assai di più, di persone che avranno udito con piacere la frase di Insinna e che guarderanno con più piacere il suo programma, che non boicotteranno per niente i prodotti ivi pubblicizzati etc. Non per niente Insinna ha ricevuto le congratulazioni di Enpa, Greenpeace e di migliaia di persone che l’hanno acclamato sui social, facendo diventare trend l’hashtag #iostoconflavioinsinna.
E ovviamente la polemichetta dei cacciatori – regola banale della comunicazione – non ha fatto che rilanciare il messaggio che la caccia non è uno sport, che Insinna è un brav’uomo che difende gli animali e che i cacciatori sono dei puzzoni.
Mentre scrivo questo pezzetto, ridacchiando fra me e me, penso alla modernità che travolge uomini e cose a loro insaputa. Senza che mi metta a fare il sociologo, è di questo che si tratta: scomparsa la caccia come necessità per la sopravvivenza, e dopo la breve parentesi della caccia come sport, oggi non ha più nessunissimo senso quest’attività; intendo dire: a chi piace la faccia, ma a livello sociale, collettivo, come rappresentazione culturale di qualche cosa, come espressione di stili di vita, culture, concezioni del posto dell’uomo nell’universo e via discorrendo, non significa più un accidenti di niente, e i 700.000 sono destinati a vedere ancor più assottigliate le fila nei prossimi decenni, a fronte anche – ma non è solo questo – di una crescente cultura ecologica.
La modernità ha travolto e travolge i cacciatori.
Come anche gli amanti dei cinema d’essai, i comunisti (celebreremo fra pochi mesi il centenario del PCd’I e non sappiamo se ci sarà qualcuno a festeggiare), le ricamatrici, l’arrotino, i venditori di cartocci di baccalà fritto, gli zampognari… Esistono ancora, pochi, sempre meno, cartoline viventi del Novecento scomparso per sempre.