In redazione ci siamo chiesti: “Ma non è che scriveremo troppi post su Draghi?”; e ci siamo risposti: “Sì, decisamente tanti, ma non troppi!”. Non troppi perché stiamo assistendo a qualcosa di diverso dal solito teatrino (scusate l’uso di questo cliché, ma qui ci va a pennello). Se fossimo in corsa verso un Conte 3 credo francamente che a stento avremmo scritto un post; e anche un modesto altro governo “tradizionale”, con un qualunque Fico, un qualunquissimo Zingaretti, incaricato della bisogna, ci avrebbe avvilito abbastanza da tenerci lontani dalla tastiera. Ma oggi assistiamo a un’altra cosa, che scaturisce da Draghi, sì, ma lo riguarda come riflesso, e che ci permetterete di definire – con un’enfasi forse eccessiva – come un “cambio di paradigma” politico.
La mossa geniale di Mattarella – ultimo in ordine cronologico di Capi dello Stato che hanno salvato il Paese, da Ciampi in poi, ripetutamente – ha scompaginato completamente il muffito contesto politico, ormai sclerotizzato in stereotipie compulsive esiziali: la destra “al voto al voto!”; il M5S “questo no e quello neppure!”; Renzi: “non si può andare avanti così!”; Zingaretti: … No, Zingaretti no, è l’unico senza stereotipie; a meno che fingersi morto non sia una sottile forma particolare di quel genere.
Ecco: uno pseudo-dibattito politico invischiato in un vuoto assoluto di idee, e scandito da ritualità insopportabili, veti incrociati, personalismi esasperanti. E il Paese a precipizio, attonito.
Come già scritto da me e da Ottonieri in questi giorni, Renzi ha scompaginato i giochi pigliandosi dei rischi enormi (e facendoli prendere al Paese, come ha sottolineato Ottonieri), forse perché vede più lontano di tutti noi, forse perché è un pokerista eccezionale, o semplicemente perché agisce all’insegna della va o la spacca, chi può dirlo? Renzi – dicevo – ha scompaginato i giochi, ma Mattarella ha fatto la mossa del cavallo sbalordendo e scompigliando il quadro politico.
Le conseguenze le stiamo vedendo tutti, in diretta, ora dopo ora, che non guardo neppure più le serie Netflix ché, al confronto, sono noiose e scontate:
- i 5 Stelle sono spaccati, spaccatissimi, e solo questo risultato, per un cinico impietoso come me, è bastevole a giustificare la crisi; sui loro blog (quello “delle Stelle” e quello di Beppe Grillo) al momento in cui scrivo non c’è una sola riga sulla crisi e sulla posizione da tenere; Grillo deve esporsi di persona e andare a guidare la delegazione da Draghi per metterci la faccia e tutto il suo peso e fare ingoiare tutto l’ingoiabile ai grillini più intransigenti (Taverna, Di Battista), destinati alla fuoriuscita lasciando, in ciò che rimane del Movimento, il gruppo piatto, vuoto, senza spina dorsale, con poche idee, ben rappresentati da Di Maio (nota marginale: Crimi, soprannominato da tempi immemorabili “Vito lo smentito”, capo politico per finta, che si è improvvidamente affrettato a dire “No” a Draghi, con un residuo di dignità dovrebbe rinunciare al suo ruolo);
- la destra si è spaccata; abbiamo sempre saputo che la reiterata dichiarazione di unità era finta; ora è un fatto. So che alla maggioranza di lettori di Hic Rhodus Berlusconi non piace per niente, e vi assicuro che non piace neppure a noi. In anni più lontani, quando il Cavaliere ancora contava qualche cosa, abbiamo scritto dei post fortemente critici su di lui. Ciò premesso insistiamo su un argomento già in passato affrontato: l’Italia ha bisogno di una destra moderata e liberale; guardandoci attorno non vediamo più tanti moderati e liberali, e ci tocca accontentarci del materiale umano che abbiamo, che si trova in parte in Forza Italia. Questo è. Ma la destra è anche la Lega salviniana, in fortissima crisi e pressata dalla componente moderata rappresentata da Giorgetti; credo che la Lega salviniana sia il male assoluto, tanto da averci scritto un libro, firmato con nome e cognome, e avere contratto solenni impegni di attivismo politico per contrastare il pericolo che rappresentava (e ancora rappresenta) quel modo fascista di intendere la politica; vedere che le circostanze impongono alla Lega di rivedere la sua linea, eventualmente mettendo ai margini la narrazione di Salvini, è una vittoria della democrazia, una vittoria che era prevedibile fino dal conferimento dell’incarico a Draghi. Menzione a margine per Fratelli d’Italia: ai margini, com’è giusto che sia per i post-fascisti, sovranisti, antieuropeisti;
- e arriviamo alla “sinistra” (virgolette d’obbligo). Come in Italia ci sarebbe bisogno di una moderna componente liberale, non abbiamo dubbio che ne serva anche una socialdemocratica e riformista. Che non c’è più. È incredibile come il PD abbia fatto evaporare così velocemente, in un paio d’anni, un patrimonio di persone e idee e valori che hanno contributo alla storia del ‘900 (sembrano secoli fa). Zingaretti è la chiara espressione del totale vuoto di questo partito ma, peggio, del suo non avere più nulla “di sinistra”, né “di riformista”. Il PD è come la patata lessa, senza olio né sale, che consumiamo tristemente quando facciamo la dieta. Ora, con Draghi, e lo sconvolgimento nei diversi altri protagonisti, i tre neuroni superstiti di quel partito dovranno essere recuperati; Draghi non è certamente “di sinistra”, e il PD dovrà sapere negoziare punti di programma attenti alle disuguaglianze e alle povertà vecchie e nuove che flagellano l’Italia.
Cosa accadrà ora? vedremo, e non dovremo neppure aspettare troppo. Quello che registro è questo: all’iniziale sconcerto e tentativi condizionanti si va sostituendo un panico diffuso che porta molteplici partiti (sostanzialmente tutti tranne Fratelli d’Italia) a cercare una qualche mediazione; ma ovviamente, più sono i candidati e meno pressanti si faranno le condizioni ostative. Quando non si governa, per il rotto della cuffia, con pochi voti di maggioranza, i ricatti risultano inefficaci, e si deve ricorrere a un altro espediente, come l’usuramento dall’interno, la continua frizione, il malcontento seminato ad arte. Per intenderci: ciò che ha fatto nell’ultimo anno Renzi a Conte.
Se la mia opinione ha qualche fondamento, credo quindi che accadrà questo: i) Draghi farà sicuramente il governo con una maggioranza più ampia di quella che sperava Mattarella; ii) riuscirà a mettere in campo, sulla carta, un programma più ambizioso e di più ampio respiro, con qualche ministro qualificato (tecnico), e potenzialmente di fine legislatura; iii) qualcuno, non difficile da immaginare, incomincerà ad avvelenare i pozzi, forse non dal giorno dopo ma non oltre primavera; iv) a quel punto la partita si sposterà su altri tavoli, come immagino nel finale di questo post.
L’orizzonte che percepisco è il seguente: se Draghi e il suo gabinetto riusciranno a mettere in piedi, da subito, qualche misura visibile all’opinione pubblica e di una qualche efficacia, specie sui due temi chiave, pandemia ed economia, allora potrà fare ingoiare anche qualche altra misura, drastica e necessaria per la sopravvivenza della Nazione. Così facendo avrà un certo sostegno popolare, e dai partiti che si intestano la loro rappresentanza grezza, e il sostegno delle élite economiche, industriali, intellettuali. In questo caso gli inquinatori di pozzi dovranno essere cauti perché sarebbero facilmente smascherati e puniti in termini di sondaggi prima, di marginalizzazione parlamente e di elettori poi.
Se le cose andranno così potremmo avere anche una piacevole sorpresa in termini di elezione del Capo dello Stato (fra un anno), e confidare nel proseguimento di questa preziosa serie.
Chi vivrà, vedrà.