Parliamo di omicidi, di femminicidi e di come il loro calo sia indigesto a chi vive di ideologie

È uscito da pochissimi giorni il rapporto dal sintetico titolo Omicidi volontari pubblicato dal servizio analisi criminale del Dipartimento della sicurezza pubblica del Ministero dell’Interno. Riportiamo subito qualche dato saliente, per proporre poi una riflessione scomoda.

Riporta il testo: 

La tabella sottostante evidenzia come, analogamente agli anni precedenti, anche nell’anno appena trascorso vi sia stata in Italia una costante diminuzione degli omicidi volontari. In particolare si è passati dai 315 eventi delittuosi dell’anno 2019 ai 271 del 2020, con una riduzione pari al 14%. Fanno registrare un lieve aumento le vittime di sesso femminile (da 111 del 2019 a 112 del 2020) e quelle uccise in ambito familiare affettivo (da 94 a 98). Diverso l’andamento degli omicidi in ambito familiare affettivo che da 151 del 2019 si riducono nel 2020 (142) e delle donne uccise da partner o ex partner, che da 68 del OMICIDI VOLONTARI X 2019 diventano 66 nel 2020; la relativa incidenza si attesta infatti al 67% nel 2020 a fronte del 72% dell’anno precedente. 

E ecco la tabella citata: 

Il resto del rapporto è poco interessante, mentre possiamo rivolgerci alle serie storiche dell’Istat per dare sostanza alla dichiarazione delle diminuzione degli omicidi volontari in Italia, non solo negli ultimi 4 anni ma lungo lo scorrere dei decenni.

Gli omicidi volontari consumati sono variati dai circa 5-600 negli anni ’50, ai circa 1.500 fra la metà degli anni ’70 ai primi anni ’90 (con punte prossime ai 2.000) per poi scendere, con un trend abbastanza costante, ai 700 circa a cavallo del millennio e infine ai 500 circa nella prima metà del decennio scorso; la tabella sopra mostra il trend in ulteriore ribasso.

Questi valori assoluti hanno maggiormente senso se rapportati alla popolazione italiana, che ovviamente è cresciuta in questi 70 anni. Il tasso di omicidi volontari per 100.000 abitanti variava fra l’1,1 e l’1,4 negli anni ’50 (pochi omicidi in assoluto ma su una popolazione molto inferiore), al 3 (su 100.000) negli anni ’70-90, per scendere poi costantemente sotto l’1 verso il 2010, 0,8 nel 2014 e circa 0,5 nel 2020.

Per i confronti internazionali evitiamo lunghi giri di parole; per tutti i rapporti internazionali (QUI quello dell’ONU del 2019) l’Europa è uno dei continenti più sicuri del pianeta e, in Europa, l’Italia è uno dei Paesi più sicuri.

Conclusione: anche se il peana sulla sicurezza sociale è di molto diminuito, in questi ultimi anni, ogni tanto rigurgita, in particolare in seguito a qualche delitto efferato. I dati dicono, incontrovertibilmente, che chiunque invochi repressione contro i malvagi a causa del pericolo esistente, mente, e lo fa consapevolmente fidando sul fatto che la grande massa della popolazione non va a cercarsi i dati Istat per vedere come stanno veramente le cose.

Ma c’è un elemento più controverso, che riguarda i femminicidi. Il tema è serio, è grave e – stiamo per dimostrare – sostanzialmente ideologico, tanto da essere filtrato anche nel rapporto visto sopra che non segnala, in evidenza, i delitti su minori, su immigrati o su ragionieri, ma sulle donne. Intanto il dato fornito è presentato in forma sciocca e (volutamente?) orientante la pubblica opinione, nel senso che le donne uccise non sono tutte vittime di femminicidio, che è una forma particolare di delitto (insomma: la donna vittima casuale di una rapina è una donna assassinata, ma non una vittima di femminicidio); altra forma di grave sciocchezza, che tende a orientare ideologicamente il lettore: numeri così irrisori dal punto di vista statistico non possono essere oggetto di asserti definitivi come quelli forniti;  si vede bene come nei 4 anni il valore cresca un po’ e poi cali un po’, senza che ciò significhi assolutamente nulla.

Anche qui occorre guardare serie storiche più lunghe che a suo tempo mostrammo attingendo niente di meno che a dati della Casa delle Donne che ha un osservatorio metodologicamente discutibile ma, va bene, partiamo da lì lo stesso; come potete leggere con maggiore dovizia in quel vecchio articolo del 2014, fra il 2005 e il 2014 i femminicidi (come tali classificati dalla casa delle donne), passarono da 82 a 134; effettivamente aumentati, quindi, di valori percentualmente infinitesimali; pochi anni dopo aggiornammo i dati e constatammo che l’oscillazione era tornata al ribasso, portando il valore, nel 2014, a 115 (QUI la tabella complessiva).

Nella tabella ministeriale riportata all’inizio potremmo con qualche ragione considerare gli omicidi della quarta riga come probabili femminicidi (donne uccise in ambito familiare e affettivo): i valori oscillano fra 94 e 111.

Conclusione: più o meno ogni anno muoiono circa 100/120 donne causa femminicidio. Per quanto ci riguarda sono 100/120 di troppo, e il nostro totale disprezzo verso gli uomini autori di questi vilissimi delitti si accompagna senza alcuna vergogna alla richiesta di pene esemplari (ma anche di sostegno psicologico alle donne maltrattate – questo sì un reale problema; ma anche di tutela dei minori; eccetera).

La riflessione finale è che attorno al femminicidio c’è una potente lobby, politicamente corretta, fortemente moralistica, sonoramente sostenuta, che assieme al meritorio lavoro di advocacy e di denuncia ha anche bisogno di alimentare l’allarme e i sensazionalismo attorno a un fenomeno che – nella sua brutalità e inaccettabilità – è statisticamente irrisorio e come per il dato generale sugli omicidi, colloca l’Italia agli ultimi posti nel mondo (in senso positivo); molti articoli di stampa usciti in questi giorni, a metà fra basilari ignoranze statistiche e moralismo post femminista, hanno insistito sul femminicidio come se fosse un’emergenza italiana, a partire da una distorta interpretazione da quei pochi dati non interpretabili. Non lo è. E’ probabilmente un’emergenza in India e in altri paesi asiatici e africani, ma già nei moderni ed emancipati Stati Uniti è assai più emergenziale (inclusi gli stupri, inclusi i maltrattamenti) dell’Italia.

Soffiare sul fuoco del pericolo, del disagio, quando il pericolo e il disagio non c’è (a livello statistico, di massa, di Paese, non certo per ogni singola povera vittima) non è né stupido né scorretto: è un crimine di disonestà intellettuale.