Suicidi economici e femminicidi. Aggiorniamo i dati

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Nella nostra presunzione ci descriviamo come un blog sostanzialmente razionalista, logico e, specialmente, fondato sull’argomentazione chiara e trasparente dei nostri articoli. La parola chiave, direi preziosa, è argomentazione. Argomentare significa esporre un concetto, un’idea, una soluzione, una tesi con una serie di passaggi logici, concatenati, fondati se possibile su dati di fonte autorevole. Dove non ci sono dati statistici usiamo informazioni tratte da fonti e archivi che riteniamo solidi, accreditati, sostenuti da una comunità professionale o scientifica. Se i dati e le fonti non ci sono, così come non possiamo fare affermazioni dirimenti noi non le possono fare neppure altri.

Questa premessa perché non sarà certamente Hic Rhodus a smontare i cliché, la mala informazione, le stereotipie, le scorciatoie logiche, le frasi fatte che imperversano nella politica, nei quotidiani e massivamente nei social ma, come dire? nel nostro piccolo ci proviamo. In alcuni casi siano decisamente andati contro l’opinione pubblica mainstream, contro gli opinionisti un tanto al chilo e contro, specialmente, gli alfieri di idee demagogiche a volte animate da buona fede e nobili intenzioni e a volte, ahinoi, semplici mascalzonate volte a condizionare l’opinione pubblica per ragioni di bassa politica. Alcuni di quegli articoli iniziano a essere vecchi (i dati presentati, le evidenze portate, sono vecchi) e abbiamo deciso un piccolo aggiornamento su un paio di questioni.

I suicidi per cause economiche non sono un’emergenza e non lo sono mai stata. Ne parlammo il 28 Aprile 2014 mostrando in maniera ineccepibile che la cavalcata della stampa e dell’Unione Indignati era assolutamente fuori luogo. Il tema si è rapidamente sgonfiato da solo (evidentemente non c’era tutta questa emergenza) ma viene ogni tanto ripresa da professionisti dello scandalo; per esempio Il Fatto Quotidiano qualche mese fa denunciava la congiura dell’Istat che non rileva più questo dato (non sto a spiegarne i motivi, che sono tecnici), alludendo a un complotto governativo in merito (non scherzo, l’esilarante quotidiano arriva a questo) e citando con raccapriccio i dati forniti dall’Osservatorio sui suicidi dell’Università Link Campus di Roma. Quei dati sono da prendere con le molle per ragioni già descritte nel nostro vecchio post e ribadite in un’autodifesa dell’autore, Nicola Ferrigni, che indubbiamente può accontentare un giornalista o chi, per ragioni preconcette, vuole calcare la mano sul tema, ma che a chi – come a me – si occupa professionalmente di metodo della ricerca sociale appare solo come aria fritta; ma anche pigliandoli per buoni, cosa sosterrebbero questi dati (gli unici disponibili, fra l’altro)? Che ci sarebbero stati 560 suicidi per ragioni economiche dall’inizio del 2012 a Giugno 2015 (tre anni e mezzo, quindi in media 160 l’anno). Secondo l’impavido Ferrigni il primo semestre 2015 sarebbe stato il peggiore di sempre con 121 suicidi di questo tipo.

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Chi strilla sull’enormità di questa vergogna non si perita di capire il dato; 121, o 160, o quelli che sono veramente (meno, a mio modesto avviso, considerando il “metodo” di Ferrigni), sono molti? pochi? Vediamo le statistiche generali sul suicidio (queste sono facilmente reperibili). Secondo gli ultimi dati Istat (ahinoi, 2013) di quasi 600.000 deceduti 4.291 sono morti in seguito a suicidio: lo 0,7%. Di questo 0,7% (4.291 suicidi per qualunque causa) secondo il Ferrigni se ne sarebbero suicidati per ragioni economiche circa 160, ovvero il 3,7%. Quindi: il 3,7% dello 0,7% dei residenti italiani del 2013 (lo 0,026%) si sarebbero uccisi, ipoteticamente, per queste cause. I rimanenti 4.130 circa si sono uccisi per malattia, depressione, mal d’amore e così via ma non hanno riscosso l’interessata indignazione di quanti, su questo morbo suicidario, hanno inteso promuovere una campagna contro il governo ladro, Renzi boia, Bilderber canaglia ed Equitalia assassina. Concludo il paragrafo ricordando che i dati internazionali (WHO – 2012) sui suicidi (tutte le cause) collocano l’Italia in posizione medio-bassa o bassa: 7.6 suicidi maschili e 1,9 femminili ogni 100.000 abitanti; i dati 2011 (facilmente leggibili in una tabella riassuntiva sulla Wikipedia) ci collocano al 64° posto (su 111).

Riassumendo:

  • l’Italia è un Paese con bassa incidenza di suicidi rispetto ad altri paesi;
  • i dati sugli specifici suicidi per le sole ragioni economiche non sono disponibili da alcuni anni per difficoltà connesse al metodo, quindi è inopportuno avanzare illazioni o fare denunce gratuite; è ovvio che ogni crisi, e malessere, e condizione di difficoltà contribuisce alla depressione e, tendenzialmente, al desiderio di suicidio che solo in alcuni casi si concretizza, ma solo con difficoltà questi casi sono isolabili con certezza nella crisi suicidaria, solitamente complessa da interpretare;
  • quando i dati ufficiali (Istat) erano disponibili (fino al 2010) le cause per ragioni economiche accertate erano in percentuale davvero irrisoria;
  • prendendo per buoni i dati di Ferrigni – Link Campus, gli unici a essere strombazzati sulla stampa con una certa continuità, resta il fatto evidente che sì, certo, qualcuno si suicida per ragioni economiche, molti ma molti meno di quelli che si suicidano per altre diversissime cause.

E direi che, se non altro per rispetto dei morti, su questo tema non si dovrebbe parlare più.

(Nota finale importante per i lettori frettolosi e prevenuti – che su HR sono pochissimi: ogni suicida rappresenta il culmine di un dramma insostenibile e va pianto, compreso e compatito; ogni suicida è un suicida di troppo, qualunque sia la ragione del suo gesto, e indubbiamente ogni suicida per ragioni economiche esprime in quel modo la sua denuncia a una situazione in parte almeno causata da un sistema economico perverso e inumano. Ciò detto: speculare su queste morti è da mascalzoni).

L’altro tema che affronteremo in logica anti-mainstream è il femminicidio. Ne parlammo il 23 Giugno 2014 sostenendo semplicemente questo:

  • i dati sugli omicidi femminili (che sono un dato più ampio dei soli femminicidi) in Italia sono fra i più bassi in Europa e in calo progressivo negli anni;
  • il sottoinsieme dei femminicidi (o ‘femmicidi’), ovvero uccisioni di donne in quanto donne, come forma di potere maschile nell’ambito di una cultura dell’inferiorità e subalternità della donna, non gode di statistiche chiare e ufficiali che sono, ovviamente, non sempre discernibili;
  • i dati più noti – che utilizzano un metodo di rilevazione simile a quello di Ferrigni per i suicidi economici e che, come quelli, hanno una validità discutibile – sono prodotti da gruppi femministi, il più noto dei quali è la Casa delle donne di cui riportammo i dati 2005-2013 ai quali possiamo, oggi, aggiungere quelli 2014 (pubblicati a Novembre 2015): 115;
  • la situazione complessiva sugli omicidi di genere risulta quindi trascurabile – senza togliere nulla alla tragicità di ogni singolo omicidio – mentre (così sostenemmo nel vecchio articolo) molta attenzione occorrerebbe porre sui maltrattamenti, le percosse in famiglia, le violenze sessuali di cui riportavamo i dati impressionanti, quelli sì.

Allora: i dati della Casa delle donne, con l’aggiornamento 2014, sono questi:

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Se una decina di suicidi economici in più ha fatto strepitare contro la dilagante piaga delle morti per mano del potere economico, perché questa ventina di femminicidi in meno non fa scrivere titoli cubitali del tipo “cessata l’emergenza dei femminicidi”?

Chiunque può vedere che si tratta di numeri piccolissimi, che non hanno alcuna significatività statistica e sono sostanzialmente stabili. Nel 2013 (ultimo dato Istat disponibile) ci sono stati in totale, in Italia, 372 omicidi: 235 uomini e 137 donne. 137; già il dato 2013 della Casa delle donne consente di avere qualche dubbio: 134, quindi sostanzialmente la quasi totalità di donne ammazzate sarebbe da ricondurre a femminicidio? Solo 4 le donne vittime, che ne so? di Camorra, di rapine finite male, vendette etc.? È evidente che i due dati statistici (quello Istat e quello di Casa delle donne) sono diversi e poco comparabili, basati su metodi non riducibili l’uno all’altro. Ma non vale la pena neppure cercare di uniformarli: stiamo parlando di una causa di morte che incide per lo 0,04 ogni 10.000 abitanti!

Per tutto il resto vale esattamente quando già scritto nel vecchio post. Non esiste un’emergenza femminicidi in Italia e non c’è mai stata. Siamo uno dei posti al mondo dove vengono ammazzate meno donne. C’è invece – in Italia come in numerosi altri paesi – un problema di subalternità, sperequazione, disuguaglianza nel lavoro, molestie e molto altro ancora, problema grave, reale, che non deve essere confuso con le donne morte ammazzate.

(Ulteriore nota finale importante per i lettori frettolosi e prevenuti: ogni morto ammazzato è un morto di troppo; nello specifico ogni donna ammazzata è una donna di troppo che va denunciata come atto intollerabile. Ciò detto, additare una mattanza, una guerra di genere – così la Casa delle donne – per alimentare una psicosi inesistente, ancorché animati da buone intenzioni, a me sembra non semplicemente sbagliato ma colpevole).

Una nota finale ancora di carattere generale. Non ho voluto dire che non ci siano suicidi economici o femminicidi. Non ho neppure voluto dire che, essendo pochi (e sono pochi), ce ne dobbiamo disinteressare. Non mi voglio giustificare ulteriormente, perché se a questo punto non avete capito non capirete più, neppure aggiungendo io più parole. Il punto è semplicemente questo: se hai una tesi ideologica, un interesse politico, prendi quattro dati e li interpreti come ti fa comodo. Non hai un metodo (o, se teoricamente dovresti averlo, lo ignori), cavalchi l’onda, la stampa ignorante e alla ricerca di scandali ti fa due titoli, qualche politico cinico rilancia, l’immancabile talk show in caduta di ascolti dà spazio, l’opinione pubblica riceve passivamente. Bisogna smettere. Se abbiamo a cuore le politiche economiche del Paese dobbiamo trovare argomenti economici solidi e non additare presunte morìe di suicidi per colpa della crisi; se abbiamo a cuore il destino delle donne abbiamo miriadi di argomenti da proporre e di battaglie da intraprendere, assai più reali rispetto al femminicidio.