No alla violenza contro le donne

36 No alla violenza contro le donne

[I dati qui presentati sono stati aggiornati con un post del 27 Gennaio 2016 e con uno successivo del 21 Marzo 2018]

Troppo di frequente piangiamo donne uccise da mariti gelosi, fidanzati abbandonati, padri-padroni che non accettano l’indipendenza della figlia, e chiamiamo questo “femminicidio”, come nel recente caso di Motta Visconti, ultimo di una serie destinata a durare. Il problema è emerso a livello di coscienza collettiva da pochi anni, tanto che il legislatore è dovuto intervenire col decreto legge 14 Agosto 2013, n° 93 convertito con modifiche dalla Legge 15 Ottobre 2013, n° 119; la legge interviene sostanzialmente sul Codice penale con ampliamento dell’intervento dell’autorità, della casistica oggetto di tutela e inasprimento delle pene; nell’incipit del DL si può leggere:

Il Presidente della Repubblica

Ritenuto che il susseguirsi di eventi di gravissima efferatezza in danno di donne e il conseguente allarme sociale che ne è derivato rendono necessari interventi urgenti volti a inasprire, per finalità dissuasive, il trattamento punitivo degli autori di tali fatti, introducendo, in determinati casi, misure di prevenzione finalizzate alla anticipata tutela delle donne e di ogni vittima di violenza domestica;

Considerato, altresì, necessario affiancare con urgenza ai predetti interventi misure di carattere preventivo da realizzare mediante la predisposizione di un piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, che contenga azioni strutturate e condivise, in ambito sociale, educativo, formativo e informativo per garantire una maggiore e piena tutela alle vittime […];

emana il seguente decreto-legge.

Anche se quindi c’è una dichiarata volontà di tutela delle donne, appare ovvio che il testo di legge riguardi poi “il coniuge”, “la parte offesa” etc. con l’introduzione di norme originali e indispensabili sulla violenza anche psicologica, agita anche fra persone genericamente legate da relazione affettiva, con intervento dell’autorità anche in assenza di querela. Tutte norme corrette che però non aiutano a identificare cosa esattamente sia il “femminicidio”.

Eppure dobbiamo partire da qui perché si tratta, chiaramente, di un concetto ambiguo, un neologismo che ha carattere più sociologico che giuridico; in quali casi si tratta di “generico” omicidio di una donna e in quali invece un omicidio si caratterizza come femminicidio? Poiché si è scritta una legge, poiché la sensibilità sociale è diventata così acuta e specialmente perché il tema è diventato politico, occorre capire cosa sia, esattamente, il |femminicidio|. Per comprendere il concetto possiamo utilizzare quanto scritto nel Disegno di Legge 724 presentato al Senato il 29 Maggio 2013 (in preparazione del DL già menzionato) dove nella relazione si legge:

Già nel 1995, la IV Conferenza mondiale delle Nazioni Unite definì la violenza di genere come il manifestarsi delle relazioni di potere storicamente ineguali fra donne e uomini. L’elaborazione teorica accademica utilizza il concetto di femminicidio per identificare le violenze fisiche e psicologiche contro le donne che avvengono in (e a causa di) un contesto sociale e culturale che contribuisce a una sostanziale impunità sociale di tali atti, relegando la donna, in quanto donna, a un ruolo subordinato e negandole, di fatto, il godimento del diritti fondamentali. Il termine è il frutto della collaborazione tra istituzioni accademiche, enti non governativi e movimenti in difesa del diritti delle donne, da questa congiuntura di idee e competenze nasce una nuova prassi e un fondamentale sviluppo concettuale.

Il concetto di femminicidio comprende, infatti, non solo l’uccisione di una donna in quanto donna (femmicidio), ma ogni atto violento o minaccia di violenza esercitato nel confronti di una donna in quanto donna, in ambito pubblico o privato, che provochi o possa provocare un danno fisico, sessuale o psicologico o sofferenza alla donna. L’uccisione della donna è quindi solo una delle sue estreme conseguenze, l’espressione più drammatica della diseguaglianza esistente nella nostra società.

L’antropologa messicana Marcela Lagarde, fra le teoriche del concetto di femminicidio, sottolinea il carattere strutturale del problema evidenziando come “La cultura in mille modi rafforza la concezione per cui la violenza maschile sulle donne è un qualcosa di naturale, attraverso una proiezione permanente di immagini, dossier, spiegazioni che legittimano la violenza, siamo davanti a una violenza illegale ma legittima, questo è uno dei punti chiave del femminicidio”. È, infatti, proprio il contesto culturale ad implicare la sostanziale impunità sociale e la “normalizzazione” del fenomeno che legittimano il femminicidio, soprattutto quando le istituzioni si mostrano inadeguate ad affrontarne la drammaticità e specificità.

Al di là della distinzione fra “femmicidio” e “femminicidio” (?) mi permetto questa sintesi: è femmicidio/femminicidio (distingueremo più avanti, ora parlo di uccisioni) quando una donna è uccisa in quanto donna, in dispregio del suo genere, all’interno di una disparità di potere fra uomo e donna. Una donna uccisa nel corso di una rapina non è oggetto di femminicidio, non più di quanto un africano ucciso in tali circostanze sarebbe vittima di razzismo. Una donna uccisa perché ha lasciato il fidanzato, uccisa perché di ostacolo a una diversa relazione dell’uomo, uccisa dal padre-padrone che non ne tollera i comportamenti, uccisa perché non accetta un rapporto sessuale, questa donna è uccisa in un contesto di femminicidio perché ritenuta inferiore, sacrificabile, accessoria dentro un quadro culturale e di potere a totale supremazia maschile; l’uomo-bruto ritiene di essere di più elevato status in quanto maschio, e ritiene la violenza sulla donna una correzione, una giusta punizione, un legittimo arbitrio della sua maestà. Si comprende cosa sia femminicidio ricordando che ci sono anche donne che uccidono a volte i compagni per le stesse ragioni, ma non ci verrebbe in mente di invocare un “maschicidio”; la donna che uccide così l’uomo è una donna assassina, forse malata in quanto singolo individuo, ma il maschio che uccide si comprende che lo fa entro una concezione culturale distorta dei rapporti di genere, e quindi uccide in quanto genere, non solo in quanto individuo.

È facile capire come diventi difficile procurarsi dei dati certi. Essendo un concetto complesso, manifestabile con comportamenti e in contesti differenti, non è sempre agevole stabilire se un omicidio di donna sia un “semplice” omicidio o un femminicidio. Se girate per Internet trovate molte pagine, ma le fonti sono spesso non ufficiali e quindi non dirimenti. Per esempio l’encomiabile Casa delle donne per non subire violenza è meritoria e bene intenzionata, ma è evidentemente un soggetto coinvolto, parte in causa, e non terzo. La sua indagine annuale si basa sull’analisi della stampa che non è sempre detto che sia una fonte attendibile, e con limiti metodologici che rendono incerta la serie storica prodotta. Guardiamo comunque i dati:

2005: 82 casi

2006: 101

2007: 107

2008: 113

2009: 119

2010: 127

2011: 129

2012: 126

2013: 134

Al sito http://www.stopfemminicidio.it/applicazione.html i dati sono riportati in una mappa interattiva.

Prendiamo momentaneamente per buoni questi dati e traiamone alcune prime riflessioni:

1) effettivamente i dati sono in crescita; la crescita è evidente specie fra il 2005 e il 2008, dopodiché registra un andamento quasi stabile che si impenna nuovamente nel 2013;

2) sono tanti; 125-130 femminicidi l’anno significa circa una donna uccisa per motivi di genere ogni tre giorni. Questa forma di violenza è così abbietta che probabilmente avrei scritto “sono molti” anche se fossero stati la metà. Questo accade perché ho una particolare sensibilità su questo tema, la violenza contro le donne, contro i bambini… Ma probabilmente dobbiamo ragionare – per capire – senza slanci umorali e solo ragionando sulle fredde evidenze.

Inquadriamo allora questi dati su quelli generali e ufficiali (perché questi li abbiamo) degli omicidi in Italia. Fra il 1992 e il 2006 (dati Ministero dell’Interno) gli omicidi totali sono scesi da 1.441 a 621 (precedentemente erano in numero ancora maggiore); in questo periodo le vittime di sesso femminile sono percentualmente aumentate passando dal 15 al 22% (su un totale in calo, quindi sono calate anche le vittime donne, anche se leggermente meno degli uomini, e ciò dipende dai picchi di delitti “maschili” – principalmente per mafia e camorra – degli anni ‘90). In confronto con altri Paesi, l’Italia parte da una situazione abbastanza più grave negli anni ’70 e ’80 per scemare poi progressivamente fino a livelli in linea, o più bassi, degli altri Paesi europei. Ma qui ci interessano le donne, e i dati del Ministero (questa volte di fonte OMS) ci dicono che dal 1982 al 2001 le donne uccise (qualunque movente, quindi non solo femminicidi) hanno costantemente oscillato fra 0,5 e 0,7 donne uccise ogni 100.000 abitanti, con un tasso stabile sullo 0,5 dal 1997 al 2001 (uomini dal 2 all’1,5 in questi cinque anni); fra i più bassi in Europa. Insomma, non pare che ci ammazziamo moltissimo, in Italia.

I dati Istat più recenti di quelli presentati sopra indicano un’ulteriore diminuzione degli omicidi volontari, che dai 621 del 2006 sono scesi ai 528 del 2012 (ultimo dato disponibile); le donne vittime (in generale, non solo femminicidi) sono state 150 nel 2007, 148 nel 2008, 176 nel 2009, 158 nel 2010 e 161 nel 2011, non modificando se non nei decimali il tasso già visto di bassa percentuale di donne uccise (ripeto: in totale; di queste poi solo una parte per cause imputabili al femminicidio).

E allora? I dati di Casa delle donne sono sbagliati? Forse sì. Il metodo fa decisamente acqua come alcuni osservatori indicano e in generale il problema si mostra analogo a quello già visto a proposito dei presunti suicidi per cause economiche di cui abbiamo già parlato. Il meccanismo è simile: una serie di fatti oggettivamente gravi sono portati all’attenzione dell’opinione pubblica come emergenziali, catastrofistici (il rapporto 2007 di Casa delle donne si intitola, per esempio La mattanza) in crescita esponenziale: la stampa fa da amplificatore e l’opinione pubblica, dormiente fino a poco prima, si agita, si indigna e innesta il loop (più indignazione → più amplificazione sulla stampa di ogni singolo caso → più indignazione…). Dopodiché c’è sempre qualche dato che pare confermare l’emergenza, semplicemente perché i cittadini (assieme ai giornalisti) non sanno inquadrarli nel contesto più ampio di dati ufficiali; per i suicidi erano imprenditori a soffiare sul fuoco, e alcuni partiti politici ad approfittarne, qui sono i movimenti delle donne, ma il risultato è uguale: la sopravvalutazione di un fenomeno in realtà senza alcun connotato catastrofico.

Tutto sbagliato quindi? Non c’è alcun femminicidio strisciante? No, non è così. A differenza della storia dei suicidi qui c’è una morale assai diversa e specialmente una prospettiva da approfondire. La morale diversa è che comunque, dati esagerati o no, si è arrivati a una giusta coscienza pubblica e a una legge a maggior tutela delle donne, e questo è bene in sé. La prospettiva diversa ha a che fare con quegli orrendi neologismi, femmicidio e femminicidio, per cui il primo è l’omicidio e il secondo è la più ampia violenza fisica o psicologica o sessuale. La prospettiva diversa che suggerisco è di abbandonare il solo conteggio dei femmicidi (donne uccise) per prestare maggiore attenzione ai femminicidi (donne offese, ferite, stuprate…). Le donne uccise fanno scalpore e orrore ma, specialmente, arrivano ai telegiornali; ci inquietano ma – come abbiamo visto – sono poche (fortunatamente) e rientrano nella norma (sì, una norma orrenda e sono sempre troppe, non equivocate quello che intendo, per favore); mentre le donne picchiate, molestate etc. sono milioni e sfuggono generalmente all’attenzione e alla considerazione dell’opinione pubblica. Nel Rapporto del Ministero citato sopra c’è un’ampia e drammatica rappresentazione di questo universo, così diffuso attorno a noi; cito:

  • sono 6 milioni 743.000, pari al 31,9% della classe di età considerata, le donne tra i 16 e i 70 anni che hanno subito almeno una violenza fisica o sessuale nel corso della vita;
  • complessivamente, circa 1 milione di donne (il 4,8%) ha subito stupri o tentati stupri;
  • la violenza subita nella coppia è soprattutto fisica: le donne vittime di violenza fisica nel corso della vita sono il 12% mentre le vittime di violenza sessuale, sempre dal partner, sono il 6,1%. Il 2,4% delle donne ha subito stupri o tentati stupri dal partner;
  • l’analisi per tipologia di violenze mostra come le violenze fisiche siano state commesse dal partner nel 62,4% dei casi, le violenze sessuali, senza considerare la molestia, nel 68,3% dei casi e gli stupri nel 69,7% dei casi. I partner sono dunque responsabili della quota più elevata di tutte le forme di violenza fisica e delle forme più gravi di violenza sessuale;
  • la violenza psicologica, nelle sue diverse forme, appare particolarmente diffusa nel nostro Paese: ne sono vittime, sempre, spesso o qualche volta, 7 milioni 134.000 donne, il 43,2% delle donne attualmente sposate, conviventi o fidanzate;
  • 2 milioni 77.000 donne, il 18,8% delle donne che hanno avuto un partner in passato e che si sono separate da lui, al momento della separazione e/o dopo di essa hanno subito forme di persecuzione che le hanno particolarmente spaventate.

Mi fermo qui, invitandovi a leggere il Rapporto, e a riflettere su quante persone “normali” e “per bene”, nostri vicini e conoscenti, interpretano in realtà il ruolo di aguzzino-maschio e di vittima-femmina. E non lo sappiamo.

Sarebbe estremamente utile approfondire l’argomento, e cercare di spiegare a chi non si occupa di queste cose come sia mai possibile che un incontro d’amore si trasformi in un inferno; il perché di tante donne che soffrono per una vita intera sevizie e umiliazioni semmai ritenendo di tutelare i figli (e invece è vero il contrario, purtroppo), o non avendo alternative (pensiamo al ricatto economico). E quanti uomini simpatici e perbene siano invece aguzzini, non di rado con la complicità della propria famiglia, della propria madre (capite che montagna dovremmo scalare per approfondire questo tema?). Allora, in conclusione, voglio dire che sì, in effetti non è così vero che in Italia ci sia un’emergenza riguardo l’uccisione delle donne, ma in generale (non certo solo in Italia) una diffusa cultura maschilista (assorbita anche da tante madri fiere dei loro maschietti) produce una distorsione perversa nei rapporti fra uomini e donne, rapporti che invece che essere fondati sulla reciprocità del riconoscimento (questo è l’amore) si perdono nella supremazia del soggetto forte (solitamente il maschio) che disconosce l’altro da sé e si pasce del suo annientamento.

E quindi anch’io, anche Hic Rhodus e spero anche i nostri lettori diciamo BASTA VIOLENZA CONTRO LE DONNE!