Ne ho parlato cento volte. Cos’altro aggiungere? So già che una parte dei nostri lettori capirà e sarà d’accordo, mentre un’altra parte proprio non riuscirà a capire, perché il velo dell’ideologia (che qui intendo in senso piuttosto esteso, ma va bene così) glie lo impedirà.
In una buona trasmissione televisiva, considerata dai più corretta, attenta, rispettosa di minoranze e di tematiche sociali, che si chiama Propaganda Live, viene invitata la giornalista Rula Jebreal, italo palestinese, notissima, per parlare del conflitto israelo-palestinese; Jebreal si vede annunciata, unica donna del programma, e rifiuta l’invito con questa motivazione:
Sette ospiti, solo una donna! Con rammarico devo declinare l’invito. Come scelta professionale non partecipo a nessun evento che non implementa la parità e l’inclusione.
E ribadendo ulteriormente, su Twitter:

Il conduttore del programma, Diego Bianchi (noto anche come Zoro), spiegherà poi in diretta cos’è successo; se volete sentire tutto il suo punto di vista (8 minuti) potete cliccare QUI, altrimenti vi accontentate di questo stralcio da noi estrapolato:
Come potete immaginare io la penso esattamente come Diego Bianchi, e l’ho scritto decine di volte e, specialmente, ho cercato di metterlo in pratica tutta la vita (non sta a me dire se ci sono effettivamente riuscito): si scelgono persone in base alle loro qualità, non generi sessuali in base alle loro vagine. Bianchi aveva scelto Jebreal perché esperta della questione palestinese, non per soddisfare una quota rosa; Jebreal ha rifiutato l’invito perché (a suo avviso) non erano rispettate le quote rosa, non perché il programma non trattasse dei giusti temi.
So benissimo che una grossa fetta di mondo, dominante e maschilista, discrimina le donne per pregiudizi odiosi, perché poi fanno figli e diventano improduttive, perché ritenute a torto meno capaci eccetera; so che quella grossa fetta di mondo tratta le donne come “femmine”, oggetti sessuali, o peggio. Quello che anche so è che in quella grossa fetta di mondo ci sono tantissime donne, ma tante davvero; e so anche che c’è un’altra fetta di mondo, non so dire se grossa o piccola, ma so per certo che è velocemente in crescita, che non tratta le donne come “femmine”, così come non tratta gli omosessuali da froci e gli africani da negri.
So anche un’altra cosa: più le donne (ma vale per qualunque altra categoria sociale che subisce ingiustizie, come per le minoranze) erigono steccati antagonisti, più la loro battaglia ne soffrirà. Anzi: erigere steccati a difesa del “noi” è sostanzialmente equivalente alle odiose stereotipie maschiliste del “voi” (voi donne che capite poco, voi donne che dovete stare in cucina con la bocca chiusa…). Non mi pare che occorra avere evolute capacità sociologiche per capirlo: se la battaglia per i diritti diventa antagonismo fondato sulla separazione, sull’identità, sull’antitesi, più tale battaglia è destinata a radicalizzarsi, con esiti assai incerti; incerti forse non per le donne, che potrebbero avere più concessioni simboliche (dalle quote rose sempre e ovunque al linguaggio politicamente corretto con la declinazione al femminile di ogni stupido vocabolo) ma solo formali, stereotipate; oppure con una distorsione sistematica delle più comuni forme di convivenza fra persone, che sarebbe poi il pericolo maggiore.
Devo dire che questa piega che stanno prendendo le cose, assieme alla cancel culture, l’attenzione asfissiante per il politicamente corretto, l’omologazione di massa, mi crea una profonda inquietudine. Mi dispiace terribilmente, ma in generale tutte le persone che incarnano queste nuove tendenze culturali, cosa volete che vi dica? a me sembrano meno intelligenti di quello che si pensa e mi creano, sì, un pregiudizio negativo.