Lui non ha colpa

La considerazione nasce dall’osservazione di un bambino, in questi giorni. Avrà sui 12 anni e tutto di lui dice che è infelice: grassoccio, cammina un po’ gobbo, ma specialmente fa il bullo coi più piccoli, incluso il fratellino, è prepotente ed è un mentitore seriale. Sostanzialmente dice balle in continuazione e, tramite queste fandonie, cerca di manipolare gli altri bambini, tenerli sulla corda con la sua “amicizia”, salvo poi – se smascherato – ripetere “Stavo scherzando!”, per poi ricominciare. Ha anche atteggiamenti da piccolo persecutore, insistente, sempre presente quando meno te l’aspetti.

Mia moglie – decenni di esperienze in servizi sociali e socioassistenziali, psichiatrici inclusi – dice che gli fa una pena enorme; “Lui non ha colpa”, dice saggiamente, perché non è altro che il frutto di ambienti e circostanze: la madre straniera aveva già lui quando si è sposata con un italiano dal quale ha avuto un secondo figlio. Il patrigno non sembra neppure guardarlo, la madre ha sempre da fare… Indizi raccolti, vi assicuro, casualmente – l’ambiente è piccolo, la gente chiacchiera – parlano di visite mediche ripetute (lui dice che il padre lo porta alle giostre), di nessun amico, di solitudine. Sono assolutamente convinto che lui abbia, certamente, meno colpe di quelle che gli si potrebbero attribuire superficialmente. Diamine! Ha 12 anni! La sua è l’infelicità generata da educazioni infelici; è il percorso di menzogne come scudo a difesa dal mondo ostile; è l’aggressività di chi viene aggredito, forse bullizzato, per divenire bullo a sua volta. Lui ha solo 12 anni, non possiamo incolparlo di non avere quella profonda consapevolezza, cultura, autocoscienza freudiana da fargli elaborare il lutto familiare, la consapevolezza del Sè e del suo corpo sgraziato, la mappa delle relazioni, dell’essere e del dover essere eccheccazzo, ha solo 12 anni!

E così crescerà senza amici, ché tutti lo scansano dopo pochi giorni, stanchi del suo modo di fare; crescerà con poco amore e con tanti risentimenti; probabilmente farà l’operaio come suo padre (patrigno), si sposerà una ragazza timorosa che maltratterà, farà figli che non saprà amare, e tutto si ripeterà.

Perché generazioni di infelici hanno generato miriadi di altri infelici. Numeri incalcolabili di gesti d’amore mancati hanno lasciato nell’ignoranza dell’amore miliardi di individui. Atti violenti, come violento può essere semplicemente uno sguardo mancato dal padre, produrranno dozzine dei nuovi atti violenti, che possono anche diventare sanguinosi. E non sarà colpa loro.

O forse sì?

Quali meccanismi psicologici, incontri fortuiti, banali casualità, interrompono queste catene infinite e riescono a emancipare un individuo, farlo uscire dal ghetto meschino di un’anima ristretta e sofferente? Io non so rispondere.

Però alzo lo sguardo. Oltre il bambino dodicenne casualmente incontrato in questi giorni. Alzo lo sguardo e vedo eserciti di questi bambini, e ragazzini, e uomini che sono stati questi ragazzini: una folla sterminata di sofferenze fattesi persone, che stanno attorno a noi, che vediamo vivere fra noi, e in realtà vivono – ciascuno – dentro l’orrendo buco nero della solitudine e della mancanza di amore nella quale sono cresciuti. E che quindi sono violenti, o bugiardi, profittatori, bulli, pavidi e vili, ladri, invidiosi, disperati, incapaci di relazione, totalmente all’oscuro di essere una parte sociale in relazione, perché eccessivamente oppressi dal peso che portano dentro, che non gli fa vedere e capire il mondo.

Ecco. Noi ci crediamo liberi e maturi e consapevoli, ma ognuno di noi ha il suo piccolo mostro al centro del petto, il suo peso, il suo macigno. Ognuno di noi è il gesto d’amore non ricevuto, è il torto che ha subito, la paura non affrontata.

Ognuno, solo col proprio mostro. Ma non è colpa nostra.

(Foto di copertina di Claudio Bezzi)