Il reddito di cittadinanza e il senso della politica

Il giorno in cui Conte mostra i denti e dichiara che “il reddito di cittadinanza non si tocca”, escono due ottimi rapporti che ci aiutano a capire qualcosa sulla povertà in Italia e sulla capacità del nostro Paese di contrastarla. I rapporti (il primo dell’Inapp e il secondo di Caritas), sono assai più ampi del discorso che qui affronto e vi invito almeno a sfogliarli.

Sulla povertà il rapporto Inapp 2021 ci ricorda innanzitutto che 

Tra il 2007 ed il 2013 in Italia il numero di famiglie in povertà assoluta è raddoppiato, passando da 830mila a 1,6 milioni. Il 2019 è stato il primo anno dalla crisi economico-finanziaria del 2008-2014 in cui l’indicatore è diminuito rispetto all’anno precedente (dal 7% al 6,4%).

L’anno della svolta (se svolta fosse stata, o semplice casualità, non lo sapremo mai) è stato travolto dal Covid, che ha notoriamente aumentato la crisi economica e di conseguenza la disoccupazione e la diminuzione generalizzata del reddito. In Italia ci sono stati più interventi a sostegno del reddito; prima il ReI (Reddito di Inclusione, poco noto) per poco più di un anno, poi travolto dalla gran cassa mediatica del Reddito di Cittadinanza (RdC, dal marzo 2019). Ebbene, entrambi questi aiuti hanno avuto un’efficacia dimezzata – rispetto ad analoghe misure europee – sia in quanto ad incidenza sulla povertà sia nella sua intensità (pagg. 228-229 del Rapporto). Rinvio al Rapporto per una interessantissima analisi delle varie misure di contrasto alla povertà e delle distorsioni provocate dal RdC rispetto al ReI, e arrivo al sodo, saltando al rapporto della Caritas.

Il rapporto Caritas illumina innanzitutto su una scelta di fondo del RdC che può essere sfuggita ai più: la misura è stata programmata per contrastare la povertà relativa e non quella assoluta (per non annoiare i lettori rimando alle pagg. 20-22 del Rapporto; se non conoscete questi termini, e volete approfondire, potete accomodarvi). Scrive la Caritas:

Una misura di reddito minimo dovrebbe avere come obiettivo naturale e prioritario quello di contrastare la povertà assoluta, non quella relativa. Posto che esista questo schema di reddito minimo contro la povertà assoluta, altri sono infatti gli strumenti a cui fare ricorso contro la povertà relativa, ad esempio gli ammortizzatori sociali, l’imposta sul reddito, i trasferimenti associati ai minori, i servizi educativi e sanitari. Non si può pensare infatti di risolvere un fenomeno così ampio come la povertà relativa con un semplice trasferimento monetario, che tra l’altro avrebbe un costo di decine di miliardi di euro. A titolo indicativo, per colmare l’intero gap tra la soglia di povertà relativa al 60% del reddito equivalente mediano (criterio Eurostat) e il reddito disponibile delle famiglie italiane servirebbero circa 32 miliardi di euro all’anno. (pp. 21-22)

Quanti poveri hanno realmente beneficiato del RdC, considerando che in Italia (2019) ci sono circa 5,5 milioni di famiglie povere relative e 2 milioni di famiglie povere assolute (oltre 6 volte il numero di assegni distribuiti dal RdC)? Purtroppo non ci sono dati certi e accurati (p. 22), un segno del fatto che in Italia si varano politiche ma ci si guarda bene dal valutarle; Caritas ha fatto una simulazione, affidabile come lo può essere una simulazione per quanto ben fatta, realizzata su dati pre-pandemia (ovviamente il Covid 19 ha scombinato le cose). Adesso vi mostro i dati Caritas, davvero interessanti, avvertendovi che dovete armarvi di un po’ di pazienza.

La prossima tabella è da leggere così: le famiglie italiane sono suddivise in cinque categorie: a) nucleo povero ma non percettore del RdC; b) nucleo povero che riceve il RdC, ma rimane povero nonostante il beneficio; c) nucleo povero che riceve il RdC e fuoriesce dalla povertà grazie al beneficio; d) nucleo percettore del RdC ma non povero; e) nucleo né povero né percettore RdC. 

Ecco la tabella (poi la commentiamo):

L’uscita del nucleo percettore dalla condizione di povertà è valutata aggiungendo il beneficio economico RdC al reddito familiare e verificando se la loro somma supera la soglia di povertà adottata. Non si tiene pertanto conto di eventuali impatti del RdC sull’offerta di lavoro dei nuclei percettori (e non percettori).

La terzultima colonna (Tasso di copertura) mostra l’efficienza del RdC, indicando che solo il 44% delle famiglie in povertà assoluta lo riceve; questo valore è peraltro sbilanciato territorialmente; scendendo con lo sguardo lungo quella colonna vedete che per esempio al Nord la copertura è del 35%, vale a dire: una famiglia povera su tre riceve il RdC, contro il 52% del Mezzogiorno (questa disparità è rilevata anche dal Rapporto Inapp, che segnala come la scelta del legislatore è andata verso la quantità di poveri, maggiore certamente al Sud, e non verso l’intensità della povertà).

La penultima colonna (Tasso di efficacia) indica quanto il RdC è stato in grado di far superare, al percettore, la soglia di povertà: siamo al 57% su base nazionale con disuguaglianze macroregionali ancora più vistose; l’ultima colonna (Falsi positivi) potremmo chiamarla “Tasso di inefficienza plateale” del RdC perché è maggiore dove il sussidio viene distribuito a persone e famiglie non bisognose.

 Certo, posso comprendere il punto di vista della Caritas, che di fronte a dati così desolanti si rallegra comunque che “quasi il 60% dei percettori poveri riuscirebbe a oltrepassare la soglia di povertà assoluta” (p. 28) e che “malgrado un tasso di copertura non molto elevato, il RdC ha comunque un effetto significativo sulla povertà e sulla diseguaglianza” (p. 30).

Rimandiamo anche qui al Rapporto ricchissimo di molte e più diverse informazioni per una riflessione molto specifica che torna alla politica e alle dichiarazioni di Conte.

Il Reddito di Cittadinanza, nella sua evidenza, ha fallito. Ha fallito completamente nella sua parte di inserimento lavorativo, di navigator e di carico per i Centri dell’Impiego; ha largamente fallito come sostegno al reddito, perché ha colto solo parzialmente i bisogni dei poveri assoluti, ha disperso ingenti risorse verso persone non bisognose e, specialmente, non ha messo in campo nessuna forma di controllo, verifica, monitoraggio e valutazione, lasciando alla cronaca giudiziaria il continuo smascheramento di lavoratori in nero o altri percettori di reddito beneficiari indebiti e truffaldini del RdC.

Ricordiamo il trionfalismo dei pentastellati sull’abolizione della povertà…

Tutto questo rappresenta plasticamente il pensiero pre-politico: c’è la povertà? Diamo soldi (pubblici) ai poveri e il problema è bell’e risolto! Ci può essere una critica all’elargizione senza qualche assicurazione in cambio? Vincoliamoli al lavoro che gli offrirà il CpI! I CpI non sono in grado di trovare un lavoro a nessuno? Creiamo la figura dei navigator! I navigator non si sa cosa debbano fare? Ci pensa Parisi, messo a capo dell’ANPAL da Di Maio, e lì si ferma la catena. Adesso Parisi è stato cacciato, altro professore che in cambio di un bel mucchietto di soldoni ci ha messo la faccia e il di dietro, i navigator finiranno assorbiti nei CpI (quindi a carico dei cittadini), e quanto al RdC chi ha avuto, ha avuto, ha avuto, chi ha dato, ha dato, ha dato, scurdammoce ‘o passato…

Ecco l’inaccettabilità dei Di Maio ieri e dei Conte oggi. Per quanto dismessa la grisaglia barricadiera e fanculista, i populisti restano pre-politici e non hanno le competenze, l’intelligenza, il pudore, la volontà di fare il passo fondamentale verso la politica vera, che è razionalità, logica, analisi puntuale dei bisogni e risposte condivise e poi sempre verificate, visto che si parla di danaro pubblico, di politiche collettive, di persone in carne e ossa che avranno, o non avranno, benefici e servizi essenziali alla sopravvivenza, oppure avranno, o non avranno, benefici e servizi indebiti, non dovuti, che sottraggono risorse a chi ne ha veramente bisogno.

Conte probabilmente non ha un’idea di questa logica, non capisce un acca di questo approccio politico volto all’efficacia dell’azione pubblica. Spero, almeno, che non ne abbia un’idea, perché se invece ce l’ha, e parla e straparla solo per interessi di bottega, allora non si tratta di qualità intellettive mancanti, ma di qualità etiche.

Una nazione moderna che ha a cuore i suoi cittadini cerca delle risposte alla povertà assoluta e relativa; con servizi innanzitutto, poi con sussidi, certamente. Ma le politiche di previdenza (incluse le pensioni), di sostegno al reddito, del lavoro vanno pensate organicamente e in maniera strutturale: la quantità di soldi erogata, a vario titolo, in Italia, è ingentissima e in parte costituisce uno scandaloso spreco. Mettere mano a una materia così complessa è difficile ma non impossibile, e sarebbe il ruolo di una politica che non si limiti a mettere bandierine.