Sto guardando le olimpiadi e sono stupito dalla quantità di atlete e atleti con la pelle di un colore diverso, coi cognomi strani, o con cognomi italiani che poi, quando lo/la inquadrano, capisci che è nato/a in tutt’altre latitudini, e parla comunque con cadenze padane, o napoletane, o quello che è, segno comunque che questi giovani sono nati qui, o ci vivono comunque sin da bambini, e lo sport è stato un contenitore di differenze dove hanno potuto esprimersi, crescere, eccellere e finire a rappresentare l’Italia, e ne sono fieri.
E poi ci sono gli/le omosessuali. Il coming out di Lucilla Boari (bronzo nell’arco) è stato così semplice e spontaneo, così banale, così rapidamente finito in fondo alle pagine dei giornali, ed è stato preceduto da così tanti altri atleti e atlete, che è difficile pensare, ormai, che ci sia un forte stigma nel Comitato Olimpico, nelle squadre di appartenenza; Egonu, fortissima schiacciatrice della nazionale di pallavolo, che dichiarò la sua omosessualità un po’ di tempo fa, è un pilastro della squadra ed è stata insignita dell’onore di portare la bandiera olimpica durante la cerimonia inaugurale.
Evidentemente sono molte di più le cose che ignoro rispetto a quelle poche che so. È possibile che Egonu, Boari e altri ricevano schifosi messaggi sui social; ma a quanto pare questo è il prezzo che si paga nella merdosa realtà dei social media. Ricevo schifosi messaggi io, che sono un banale bianco, italiano, di classe media, figuriamoci se non ne riceve chiunque – sottolineo: chiunque – si alzi appena appena dalla mediocrità dilagante. Hai successo? Ti attaccheranno sul piano personale. Se hai il naso grosso ti attaccheranno per il nasone, se vesti in modo eccentrico ti attaccheranno per come vesti, ed evidentemente se hai la pelle nera o sei omosessuale sei un invito a nozze per i decerebrati egocentrici che esprimono il loro malessere su Facebook o Twitter.
Ma al di là di questa deriva, a me pare che la quantità degli atleti e delle atlete di origine straniera, e la semplicità con la quale si può dichiarare la propria omosessualità, siano indicatori di inclusione.
La spettacolare vetrina olimpica sta mostrando, agli italiani, come funziona una società competitiva e meritocratica (cosa c’è di più competitivo e meritocratico dello sport?) e, assieme, inclusiva e multiculturale, aperta e tollerante. Nello sport, nelle Olimpiadi, a caccia di medaglie, non interessa a nessuno se hai la pelle bianca o nera e se vai a letto con chi ti pare; conta se corri forte, se salti in alto, se lanci lontano l’attrezzo, se fai un canestro o un muro vincente. Il resto sono banalità lasciate agli imbecilli.
Vorrei tanto che questa osservazione non riguardasse un contesto avanzato (lo sport) rispetto all’insieme della nostra società. Voglio pensare che il contesto sportivo sia l’esatto specchio della società italiana. Le società sportive – immagino – sono pieni di piccoli africani, arabi e cinesi, che parlano i dialetti italiani, mangiano gli spaghetti con la forchetta, vanno bene a scuola e saranno i cittadini di domani.
Evviva.