Populismo, no vax e il bivio della democrazia

Loris Zanatta ha scritto un pezzo magistrale sul Foglio di oggi, 9 agosto, che mi spinge a fare un passo avanti in una riflessione che mi sta attraversando in questi mesi. Prima vi racconto cosa ha scritto Zanatta, con ampi stralci a beneficio dei lettori che non hanno accesso al Foglio; poi recupererò la mia riflessione e infine farò le mie considerazioni aggiuntive.

Zanatta descrive – a mio avviso in maniera mirabile, il senso e la natura del populismo (in particolare italiano):

Se qualcuno credeva di avere scavallato, di avere superato la stagione populista, farà bene ad armarsi di pazienza: ne vedremo ancora delle belle, ne sentiremo ancora delle grosse, le stiamo già udendo. Il populismo è tra noi, è un ingrediente della democrazia, è qui per restare. […] Ridotto all’osso, il populismo è nostalgia di assoluto, bisogno di certezza, rimpianto di un popolo puro e incontaminato che assicuri appartenenza, coesione, protezione, identità. Esprime nel mondo secolare ciò che in quello dominato dal sacro s’esprimeva nei miti religiosi, nella purezza del Giardino dell’Eden, nella radiosità della terra promessa.

[…] quale che sia l’oggetto della sua battaglia, dall’identità nazionale al ponte su uno stretto, al dibattito razionale il populismo oppone lo scontro di civiltà, alla dialettica politica la guerra di religione, la lotta a morte tra onesti e disonesti, misericordiosi e cinici, libertari e tiranni. Bene e Male, insomma. Di nuovo: la politica intesa come religione, una religione politica. […] La perdizione del mondo coincide guarda caso con lo scardinamento delle antiche certezze religiose, del senso d’assoluto che permeava il mondo sacralizzato, del comunitarismo che rassicurava e proteggeva l’individuo in una rete – una gabbia? – di credenze e consuetudini. Dei beni, insomma, di cui il populismo va disperato in cerca ovunque. Razionalismo e illuminismo, cosmopolitismo e secolarismo sono i mali che da due secoli ammorbano il mondo. La storia è male, è corruzione dello stato di natura. […] se, come essa recita, la purezza del popolo s’è perduta, la sua unità s’è frammentata, la natura s’è corrotta, la morale s’è smarrita, la cultura s’è inquinata, l’identità s’è spezzata, qualcuno dovrà averne la colpa! Ci dev’essere un capro espiatorio! Ecco così spiegato l’insopportabile vittimismo che trasuda in ogni campagna populista; ecco l’origine del cospirativismo che offre facili bersagli e comodi alibi. L’Europa cosmopolita diventa così l’assassina delle piccole patrie, l’euro il killer dello strapaese affezionato alla lira, i vaccini l’arma con cui la scienza e le multinazionali raderanno al suolo la fede dei nostri avi, le trivelle i mostruosi artefatti che distruggono l’arcadia del chilometro zero, la finanza l’orco crudele che sterminerà i bottegai sotto casa.

[…] In sintesi: dinanzi alla percezione che il nostro mondo si stia disgregando sotto i colpi di infinite cause – dal mercato all’immigrazione, dai social alla pandemia, dalla perdita della fede alla velocità di internet – il populismo offre una medicina all’apparenza portentosa: promette di proteggere l’identità minacciata, di restaurare la comunità perduta, di salvaguardare la libertà usurpata.  […] Ma non solo il populismo offre una narrazione storica: la condisce di una vera e propria epica; e lo fa semplificando al massimo la realtà, riducendola ai minimi termini del suo schema manicheo che interpreta il mondo come un’eterna lotta tra bene e male combattuta da un noi e un loro. Quale altra epica può competere con questa? Quale approccio disincantato potrà scaldare altrettanto i cuori e mobilitare le passioni? Su questo piano, il populismo non ha rivali.

I lettori che ci seguono vedranno in queste righe molte delle argomentazioni che andiamo proponendo da anni su HR: il populismo come risposta difensiva alla complessità; il particolarismo identitario come sorgente di forza e di manicheismo.

In particolare le righe conclusive del brano citato mi riconducono a una riflessione di un paio di settimane fa, quando sostenevo che è impossibile un dialogo con i no vax (ma vale per tutte le espressioni del populismo) per una ragione che veleggia fra linguistica e sociologia, vale a dire: i populisti, rispetto ai non populisti (e quindi: i no vax rispetto ai sì vax) propongono argomenti che viaggiano su un sistema segnico (semiotico) differente; per usare un termine sociologico: sono in una “provincia di significato” differente. I due gruppi parlano la stessa lingua, ma solo sul piano sintattico si incontrano (“Mi sa dire che ore sono?”; “Sì, sono le 10 e un quarto”;  “Grazie”; “Prego”), non in quella dei significati profondi, dei valori espressi. In quell’articolo feci anche questo disegnino, per indicare discorsi su rette indipendenti e diverse che sì, hanno un punto di incidenza (vaccini, green pass) che diventa inesorabilmente conflittuale perché ciascuna fazione la argomenta entro le logiche della propria provincia di significato (restando sulla propria retta, per restare all’immagine) senza poter capire e cogliere il senso argomentativo prodotto dalla fazione avversa.

Vi confesso che in realtà non sono sincero; in generale (ho molte ragioni per crederlo, ma ve le risparmio) i non populisti, i razionalisti, capiscono – almeno sommariamente – l’ignoranza, le paure, la piccolezza argomentativa dei populisti, mentre questi ultimi (proprio perché scarsamente attrezzati alla comprensione e all’argomentazione) non possono accettare – ancor prima di comprendere – le ragioni opposte. Ma lasciamo perdere.

Il passo avanti sul quale sto riflettendo in questo periodo, guarda verso la soluzione politica di questa impasse. Pensateci: caduta ogni possibilità di argomentazione, fallito il tentativo di una mediazione (non a caso Zanatta parla di populismo millenaristico), cosa resta, alla politica democratica, liberale, occidentale, che vorrebbe essere inclusiva e moderata, e convincente e tollerante, cosa resta contro i No Vax che scendono in piazza e rifiutano vaccini e green pass (o contro i No Tav che sabotano i cantieri, siamo sullo stesso piano)? Resta l’imperio, la costrizione. Così come lo Stato impone il pagamento delle tasse e vieta l’infibulazione, obbliga a fermarsi col rosso e vieta la pedopornografia. Lo Stato impone – attraverso le sue leggi e in forme democratiche – una quantità di obblighi e divieti, che raramente hanno visto proteste organizzate (qualcuna contro le tasse, nessuna contro i semafori) e che mai hanno registrato forme di resistenza parossistica come durante la questione pandemica. Sulle ragioni di questa differenza, questa volta, non mi dilungo. Ma ritengo che una minoranza ottusa (sia pure una minoranza piuttosto ampia) senza una sola ragione scientifica valida, né giuridico-costituzionale, né logica, sia, sic et simpliciter, da ridurre alla ragione con la forza, quando gli argomenti – i milioni di argomenti disponibili – vengono rigettati perché non accettati per principio. Una dittatura della maggioranza quindi, e quindi hanno ragione loro: voglio la dittatura sanitaria.

I più cauti diranno che se in questo caso si accetta una forma di obbligo repressivo, allora per qualunque futura decisione la maggioranza potrà valere, senza discussione, anche a fronte di decisioni drammatiche, e l’esempio storico più pertinente è il colossale consenso di massa verso il primo fascismo e l’incosciente accettazione del conflitto militare. In realtà la penso diversamente: nel caso presente, delle vaccinazioni, c’è uno straordinario consenso dell’intera comunità scientifica internazionale, ovvero della parte razionalista e non umorale dell’umanità. Chi ha scelto la vaccinazione, chi ritiene cosa buona il green pass, non lo fa per umore, per ideologia, per senso di appartenenza, per religione, ma per logica, ragione, evidenza scientifica, un’evidenza che non viene minimamente scalfita dall’isolato medico no-vax, o dall’oscura pubblicazione contraria.

Quando una massiccia componente razionalista incontra la politica, e la convince, allora quella politica è degna di essere sostenuta e deve imporre la soluzione più efficace anche a dispetto di un gruppo di irrazionali non disposti alla comprensione e alla mediazione.