Le trappole cognitive e come evitarle

Premessa: qui parliamo degli “intellettuali” smarriti, a partire da uno degli esempi  recenti, quello della professoressa Di Cesare che insiste col negazionismo dell’intervento russo in Ucraina; ultima uscita di costei un vergognoso tweet che riproduco.

Non parlerò di lei in particolare, un’ottima riflessione l’ha proposta Sofia Ventura sull’HuffPost.

Una riflessione più generale la trovate su Hic Rhodus. E per la Di Cesare basta e avanza.

Qui voglio fare un discorso generale, ancora una volta. Poiché il rischio di ripetersi è facile, in un blog, procedo così: riproduco il pezzo finale del mio precedente post, che se l’avete già letto lo saltate, ma vi serve come promemoria. Poi aggiungo quello che desidero aggiungere, che costituisce l’oggetto di questa riflessione.

Ripetizione dal post precedente:

Linee guida definitive per distinguere gli intellettuali buoni e apprezzabili da quelli cattivi come il fumo negli occhi:

  1. il titolo di studio non conta; è logico aspettarsi più ingegno, sapienza, moderazione da persone istruite rispetto ai porcai, e fra tutte le persone istruite quelle che scrivono libri, e fra quelli che scrivono libri quelli che sono perfino docenti universitari; ma non è così: costoro hanno certamente più cultura, più sapienza in un campo specifico (che comunque non è trasferibile automaticamente a qualunque altro oggetto di discussione), ma non necessariamente più intelligenza, o più moderazione;
  2. chi indossa un’ideologia certamente non è un intellettuale, al più è un militante; se sei comunista non puoi essere intellettuale nel senso che vorrei indicare qui; neppure se ti autodefinisci liberale, sia chiaro; non sei un’intellettuale se ti proclami femminista, non lo sei ogni e qualunque volta la tua opinione si dichiara, a priori, schierata. Se sei un intellettuale comunista, prima di tutto sei comunista, e in quanto “intellettuale” pieghi le circostanze all’ideologia che ti comanda, e di cui tu ti fai servo (vale – come già detto – per chi si proclama in qualunque modo: fascista, populista, postcolonialista, liberista…);
  3. l’intellettuale, in ogni e qualunque caso, ha l’obbligo dell’argomentazione delle sue opinioni e tesi; poiché nessuno possiede la verità, né il porcaro né l’intellettuale, è obbligo di quest’ultimo (diversamente dal porcaro) di citare compiutamente, criticare sul filo della logica, evitare fallacie, spiegare e argomentare. Poi sbaglia ugualmente, certo, ma consente ad altri, di diverso parere, di riconoscere i concetti messi in campo e controargomentarli opportunamente, perché è da tale alternarsi di argomentazioni che nasce il senso sociale, base fondamentale per una sana opinione pubblica.

Parte nuova, un po’ difficile da esprimere ma ci provo.

Ciascuno di noi, intellettuali con o senza bollino, persone ragionevoli desiderose di capire il mondo, uomini e donne della strada che non per questo smettono di riflettere, ciascuno di noi, proprio tutti, è il prodotto della sua storia e della sua educazione, e quindi sì, ovvio, qualcuno ha elaborato valori più inclusivi, o più egocentrici, o più pacifisti o più libertari o più intolleranti, in ogni caso coerenti con una cornice generale di senso cui diamo, spesso, un’etichetta: liberale o comunista; cattolico o laico; pacifista o resistente (o guerrafondaio, ma nessuno si autodefinisce ‘guerrafondaio’); atlantista, europeista, sovranista, liberista, terzomondista, femminista, marxista, eccetera eccetera.

Bene; so per certo che qualunque etichetta vi attribuiate la ritenere la sintesi di valori positivi, buoni in sé, che sapreste argomentare e discutere con passione, così come con analoga passione sapreste argomentare, in negativo, valori e opinioni ed etichette antagonisti. Ci siamo fin qui?

Ecco, buttate via tutto. Non sarete liberi se vi autodefinite a priori. Chi si etichetta è schierato, e chi è schierato è in qualche modo servo, semmai un servo felice di servire (servire il popolo, la Causa, la Scienza, Dio…) ma sempre servo, che esprime pensieri pensati altrove e da altri. Ci si salva solo nudi, spogli, disarmati di pre-concetti, pre-asserti, pre-saperi, convincimenti, fedi, ideologie, adesioni a scuole di pensiero.

Solo se vi spogliate di tutto potete incominciare a ragionare. È così evidente! Solo se buttate via il vostro femminismo potete parlare degnamente di rapporti fra i sessi; solo se vi spogliate del vostro liberismo potete parlare sensatamente di lavoro e mercato; solo se vi spogliate del vostro marxismo potete usare le intuizioni di Marx assieme a quelle di decine di altri pensatori; solo spogliandovi di ritualismo e di scolastiche potete usare le idee, le intuizioni, le teorie di chi ci ha preceduto, senza renderle dogma, senza trasformarle in feticci.

Se siete cattolici, e non riuscite a separare quella vostra intima convinzione dall’analisi del mondo, sarete sempre gabbati dalla realtà. Se siete libertari, ma non capite che il libertarismo può essere una trappola arrogante che vieta a se medesima di interpretare il mondo, sarete presuntuosi e basta, limitati nella vostra possibilità di capire, e quindi provare a cambiare il mondo.

Bisogna spogliarsi di tutto, anche sapendo che in realtà è impossibile, perché in fondo al nostro foro interiore restiamo marxisti, cattolici, liberali. Ciò provoca una sanissima contraddizione nell’individuo che cerca; sana e dolorosa, dolorosa ma feconda. Grattarsi via tutte le incrostazioni che ci rendono ciò che siamo fa male, ci si scortica, esce il sangue, ma ci rende un pochino più liberi. Gettate via i vostri vecchi stracci ideologici, controllate continuamente l’origine delle vostre idee e siate pronti a usare la brusca per grattarvele via.

Grattando via i preconcetti cosa resta? Resta il metodo della parola. La logica; l’argomentazione prova di fallacie logiche; l’analisi delle fonti; lo scetticismo della relazione sociale; il dubbio sulle inferenze prodotte; l’acuto rifiuto per l’adesione a tesi; il pungente fastidio per le frasi fatte; l’orrore per il politicamente corretto tanto quanto la provocazione gratuita politicamente scorretta; la necessità di fermarsi a riflettere prima di controbattere; l’idea che l’altro da te non è per forza di cose uno scemo se arriva a conclusioni diverse dalle tue; l’idea che non esistono giganti sulle cui spalle infischiarsene delle evidenze; che l’argomentazione deve essere chiara principalmente per rendersi disponibile alla controargomentazione.

E questo è più o meno tutto.