PACIFISTI PER DOGMA O PACIFICI PER CONSAPEVOLE SCELTA?

La guerra in Ucraina e le sue conseguenze sul piano internazionale hanno riportato alla luce, in Italia, tutta una serie di posizioni puramente ideologiche in materia di difesa, di forze armate e del loro ruolo, che arrivano a mettere in discussione il diritto di un paese a difendersi da una aggressione e tutte a mio parere riconducibili alla malintesa idea che l’essere pacifici coincida con l’essere fautori di un pacifismo che si affida ad una interpretazione ecumenica dell’articolo 11 della Costituzione. 

Se in nome della pace si arriva a mettere in discussione, come mi capita di sentire e leggere da più parti, il diritto a difendersi di un paese aggredito, ogni ulteriore discussione è inutile. E, lo dico subito, si tratta di una posizione che non solo non condivido ma nemmeno rispetto. A parte che la difesa e la protezione sono due delle funzioni principali e primigenie che hanno portato all’aggregazione degli essere umani in società strutturate, una tale posizione equivale a rinunciare a difendere le idee, i diritti faticosamente fatti riconoscere, il proprio modo di vivere, il futuro dei propri figli. È una posizione che non riesco a capire. Se è per non doversi sobbarcare la pena di dover rinunciare al proprio tran-tran quotidiano è stupida ed egoistica. Se si basa sulla convinzione che la forza delle idee faccia sì che l’aggressore li rispetti è semplicemente una pia illusione che rasenta la dabbenaggine. Se li rispettasse, perché (ci) avrebbe aggredito? E che rispetto ci si immagina che l’aggressore porterà a noi e ai nostri valori, visto che gli abbiamo appena dimostrato che non siamo disposti a rischiare per difenderli? Dove si fermeranno, se mai si fermeranno, le sue pretese?  E l’aggredito, soprattutto se, pur con tutti i suoi difetti, è uno stato che cerca di essere una democrazia, non deve essere aiutato? (mi verrebbe da chiedere conto, ai padri nobili del “se gli diamo le armi sosteniamo e prolunghiamo la guerra”, degli aiuti fraterni ai vari movimenti di liberazione di ispirazione marxista-leninista degli anni della loro e mia e gioventù, ma questo è un discorso che ci porterebbe lontano).

A sostegno di questo atteggiamento ho letto e sentito declamare, ancora tante volte, il mantra dell’Art. 11 della Costituzione. Ma l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa, non di difesa e se attaccata può rispondere con le armi, sia pure come ultima ratio. E quale che sia l’interpretazione che si vuole dare a quello che avevano in mente i padri costituenti, è così difficile avere quel minimo di lucidità necessaria a riconoscere che l’art. 11 della Costituzione più bella del mondo vincola solamente la Repubblica Italiana e che possono esservi (e vi sono) svariati stati ai quali tale approccio risulta supremamente indifferente, il che almeno al momento non consente, per quanto possa essere desiderabile, di cambiare le spade in aratri?  Come è possibile che una mente appena raziocinante si sconvolga per una circolare dello Stato Maggiore dell’Esercito che, visti i chiari di luna correnti, richiama comandi e reparti alla necessità di riprendere alla mano l’addestramento al combattimento, da troppo tempo trascurato per far fronte alla pletora di concorsi ad altre istituzioni dello Stato per far fronte ad esigenze alle quali i titolari delle stesse non riescono a fare fronte, dalla rimozione dell’immondizia alla guardiania di qualunque “sito” che qualcuno abbia definito “a rischio”. “L’Esercito Italiano si prepara al combattimento!” mi è capitato di leggere su svariate testate, e non era difficile percepire il tono da Vestali violate dai Galli di Brenno degli estensori dei vari articoli, e della maggioranza dei commentatori: orrore, visibilio, incredulità, disappunto… Scusatemi, ma a cosa dovrebbero servire ed a cosa dovrebbero prepararsi delle Forze Armate, pur sperando che si tratti di abilità che non debbano mai essere messe in atto e che siano di un livello tale da evitare che il primo bullo internazionale pensi di fare il proprio comodo in casa nostra?  

Certo, le forze armate costano, e delle forze armate efficienti costano tanto. E in Italia le Forze Armate sono un’istituzione generalmente osteggiata dai cittadini e dalla politica, a cui dedicare pochissima attenzione. Un’istituzione dalla quale giustamente si pretenderebbe un prodotto di qualità, in termini di efficienza ed efficacia, per il quale però non si vuole pagare il prezzo in termini di aree addestrative, di fondi per l’addestramento, di risorse per il mantenimento e per l’ammodernamento: e questo mi pare meno giusto. Se si parla di nuovi mezzi ed equipaggiamenti si scatena subito un putiferio. E allora si tace anche sulla manutenzione dei materiali che si degradano per mancanza di parti di ricambio e sul mantenimento delle caserme che offrono uno spettacolo desolante. Si glissa sul rinnovo periodico degli equipaggiamenti individuali, a partire dal vestiario, ed è una cosa umiliante. Per paura di suscitare alzate di scudi di quella variegata area che si proclama pacifista ma che francamente appare animata più da virulento e viscerale antimilitarismo che da adesione ai principi della non-violenza, si sorvola sull’addestramento ridotto al lumicino appunto per mancanza di fondi e di aree addestrative. Si fa finta di ignorare che la professionalità, se non viene esercitata, inevitabilmente decade: e a tutti quelli che protestano contro le esercitazioni di cui non vedono lo scopo chiedo come si sentirebbero se, stesi su un tavolo operatorio, venissero informati che è vero che il Primario non opera da due anni, però tre mesi fa ha passato due ore a allenarsi con il gioco dell’Allegro Chirurgo. Da decenni i bilanci della Difesa hanno subito tagli concentrati pressoché esclusivamente sulle voci dell’esercizio, dell’addestramento e dell’ammodernamento e le conseguenze di questo stato di cose delineano un quadro che fa tremare i polsi a chi ancora crede che le Forze Armate debbano primariamente servire a produrre sicurezza per il Paese di cui sono al servizio.

Ma delle due, l’una: o si dice chiaramente che le Forze Armate altro non sono che un ammortizzatore sociale in cui sistemare 100.000 tizi, che altrimenti starebbero per la strada a protestare e allora va bene così, oppure si ritiene, come dicevo sopra, che non è ancora arrivato il momento in cui si potrà fare a meno delle Forze Armate, e allora bisogna intervenire prima che sia troppo tardi, perché siamo pericolosamente vicini al momento in cui l’unica cosa da fare sarà chiudere tutto, e ricominciare da capo, e ricominciare da capo non è né facile, né economico. Altrimenti, tanto varrebbe tenere in piedi una Brigata di figuranti in uniformi storiche per rendere gli onori sotto alle scalette degli aerei, il Vespucci che è la nave più bella del mondo e le Frecce Tricolori che sono un’eccellenza che il mondo ci invidia e investire in altri modi i soldi che avanzano. 

Ed è il momento di crescere, come Stato, come popolo e come Nazione, e di avere il coraggio di riconoscere che se da un lato, non fosse altro perché la guerra è un metodo forse efficace ma senz’altro estremamente inefficiente di risolvere i problemi:

Gnun, d’Italia, desidera guèra

Nè massacri, nè séne d’oror

Son emblémi dla nostra Bandiera

La Speranza, la Fede, l’Amor

come dice la bella Marcia dij Cuscrit Piemonteis, dall’altro la sopraffazione del più forte sul più debole continua ad essere parte delle relazioni internazionali, i bulli (stati o persone che siano) non si dissuadono con canti, girotondi, fiaccolate e striscioni e se si vuole ragionare con loro bisogna si parlare dolcemente e con saggezza, ma portandosi dietro un grosso randello, e di ricordarsi che Iosif Stalin, a un collaboratore che gli faceva notare che una determinata azione avrebbe potuto suscitare le rimostranze della chiesa cattolica, rispose “Quante divisioni ha, il Papa?”. Riconoscere che con il crollo della sia pure perversa logica dei blocchi la complessità di cui diffusamente parla l’amico Claudio in chiave sociale si è estesa anche alle relazioni fra Stati e popoli. Riconoscere finalmente che il Papa come capo spirituale della chiesa cattolica ha tutte le ragioni di esprimere il suo dispiacere per una situazione che porta a un incremento delle spese militari, ma che in quanto tale la sua è una posizione ideologica e come tale non deve influenzare le decisioni dei governanti di uno stato laico (e che così come il governo della repubblica non si intromette nelle decisioni in materia dottrinale anche il Vaticano non dovrebbe intromettersi nella politica di uno stato sovrano). E riconoscere anche che i diritti di cui troppo spesso abusiamo in nome dell’imperante individualismo e di cui abbiamo dimenticato quanto siano costati non sono acquisiti né inalienabili e vanno protetti, sono in pericolo come non lo sono stati da molto tempo, e che nessuno, se non noi, può accollarsi il prezzo, la responsabilità, il dovere, le azioni (e le loro conseguenze) della loro protezione. Perché nessuno lo farà al posto nostro, se – Dio non voglia – dovesse essercene il bisogno.   

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