Leggendo alcuni articoli interessanti sul tema del 25 aprile, con ovvi e attuali collegamenti con l’Ucraina (in particolare Riotta e Urbinati, ma non solo), mi è venuto un pensiero che voglio condividere, e riguarda il ristretto pensiero dicotomico che affligge ciascuno di noi, e che si esemplifica ottimamente nella divisione del mondo fra Bene e Male (Amico/Nemico, Giusto/Ingiusto, Buono/Cattivo…). Discendendo tutte le dicotomie da quella medesima radice, nel dibattito in corso in questo periodo abbiamo la contrapposizione di “Pace” opposta a “Libertà”. Non è quasi mai una contrapposizione esplicita, e credo che in realtà pochi se ne accorgano. Bertinotti, che ho di recente preso a pretesto per commentare le fallacie e l’inconsistenza retorica dei pacifisti ideologici, parla di “pace” come risposta alla guerra, e non ha altre ragioni da addurre se non il senso di pace in sé, la pace in quanto valore assoluto, in un certo qual modo auto-evidente e auto-sostenuto; leggendo i sostenitori della necessità di aiuti all’Ucraina, anche in termini di armi, si scopre che ragionano in termini di “libertà”: libertà di un popolo aggredito che si difende – armi in pugno – contro l’aggressore che tale libertà nega.
Come la dicotomia Bene/Male è fuorviante e per molti versi falsa, a maggior ragione lo sono quelle a livelli minori di generalità, come Pace/Libertà.
La falsità di tale dicotomizzazione riguarda l’irriducibilità di ciascun concetto polare: la pace, per esempio, come concetto astratto, assoluto, quasi teleologico, come potrebbe essere declinato se non come “assenza di conflitto”, nessun morto, nessuna bomba, nessuna aggressione, elemento e condizione in sé di libertà? E d’altra parte, analogamente, se non abbiamo libertà (prima di tutto quella di vivere, e di vivere democraticamente, decidendo il proprio destino) a quale pace potremmo mai aspirare?
Verrebbe logico, a questo punto, pensare che “Sì, è tutto molto giusto, e quindi vogliamo entrambe, e assieme: pace e libertà”. La promessa delle democrazie liberali è proprio questa: pace e libertà, ma anche progresso, lavoro, istruzione, salute e una miriade di belle cose. Orbene: mettiamo che la promessa democratica sia spezzata da un evento esterno, subitaneo, cruento, che minaccia entrambe: l’invasione russa è appunto questo, tentativo di minare la libertà ucraina (di essere una nazione indipendente, di decidere le sue alleanze internazionali, etc.) e distruzione della pace (si spara; c’è una guerra, voluta da Putin per annullare la libertà ucraina). E’ facile osservare come ci sia una successione logica, non ugualitaria, nella compromissione dei due concetti: prima è venuta la negazione della pace (l’invasione, la guerra) per consentire la soppressione della libertà. Gli ucraini possono ancora dirsi “liberi” perché stanno decidendo, anche in questi terribili giorni, il proprio destino: resistendo. Qualora i russi prevalgano militarmente e l’Ucraina capitoli, le armi taceranno (ci sarà “la pace”) ma la libertà sarà stata uccisa.
La dicotomia Pace/Libertà è quindi asimmetrica: serve la pace per mantenere la libertà (la democrazia, il benessere, il rispetto inclusivo…), ma senza libertà la “pace” sarebbe solo assenza apparente di scontro armato; gli eserciti resterebbero nelle caserme e non pioverebbero bombe sulle città, ma le carceri sarebbero piene di dissidenti, il popolo sarebbe asservito, obbligato alla lingua e alla visione culturale del vincitore, i suoi beni sarebbero di fatto espropriati… È pace questa? O servitù? Occorre quindi tornare ai concetti e definirli con cura: ‘Pace’ non è assenza di guerra (definire un concetto come assenza di una determinata proprietà è piuttosto sterile e ingenuo), ma pre-condizione per lo sviluppo democratico. Sono in pace non solo se non sono obbligato a sparare, ma anche se posso progettare e produrre, studiare e conoscere, viaggiare e discutere, votare e criticare. In una parola: se sono libero di fare ciò che voglio e posso, nell’ambito di regole condivise (Costituzione, leggi). Ragionando così ci accorgiamo che ‘Libertà’ è concetto primario rispetto a molti altri, ‘pace’ inclusa. La pace si dà se è garantita la libertà; se la libertà viene minacciata, allora il combattere l’ostacolo è battaglia per la libertà e quindi per la pace, quella vera, quella da ricostruire.
Ci sono molte altre dicotomie che imbrogliano il nostro pensiero; per esempio Lavoro/Merito, una coppia che in Italia ha avuto ideologizzazioni arrivate alla ridicolaggine. Il lavoro deve essere garantito a tutti, sempre e comunque, è un pensiero che circola da decenni in certe parti politiche, che pensano che la bieca “meritocrazia” sia un’invenzione borghese per umiliare il popolo. Ne troverete molti articoli qui su Hic Rhodus e non voglio insistere, salvo ricordare che mentre il lavoro (dignitoso, correttamente retribuito, salubre) è un diritto costituzionale, certo, ma da declinare in ciascun distinto contesto, ‘merito’ riguarda la responsabilità, il dovere, l’impegno e il giusto premio che deve ricevere. Allora non si tratta di dare un lavoro qualunque a chiunque – per ideologico “lavorismo” populista – e aspettarsi poi che qualcuno si dia un po’ più da fare, qualcuno cerchi di tenere insieme la baracca; al contrario si tratta di offrire a tutti, incondizionatamente, le stesse possibilità (e, certo, siamo ancora lontani da questo obiettivo) e premiare i meritevoli: quelli che si assumono responsabilità, quelli che esercitano meglio le professioni, quelli capaci di sacrifici personali a beneficio della collettività. In questa coppia, quindi, l’asimmetria è a favore del merito: è il merito premiato che garantisce il lavoro equo, e non viceversa.
Analogamente nei due anni di pandemia si è scontrata la dicotomia Scienza/Libertà (di cura, di opinione, di comportamento) nel modo che abbiamo visto e più volte commentato.
È che ci piace. Ci piace essere di destra o di sinistra, romanisti o laziali, nordici o meridionali, a favore o contro qualunque cosa, discendenti tutti dai guelfi e ghibellini. Ci piace perché sentiamo il bisogno di appartenenza e identità, e tale identità, se priva di un pensiero articolato e profondo, non può che essere ideologico: ovvero strutturato, rigido, irriflessivo, irriducibile, non compromissorio.
Abbiamo bisogno di bandiere sotto cui riunirci e di un nemico da avversare. Come il povero Orsini che si auto-definisce eroico, solo contro tanti nemici, con la sua bandierina e i suoi (scomodissimi) compagni d’armi. Tanta è la piccineria e la scarsa stima di sé, che in tali infime battaglie sbagliate semanticamente, storicamente e moralmente si trova un brandellino di identità, personalità, consapevolezza di sé.
Rifuggiamo le facili dicotomie. Che più sembrano ovvie e scontate più si rivelano trappole ideologiche.