In un duplice senso: non occorre una diffusa intelligenza di massa affinché la democrazia si sostenga, e la democrazia non impone ai suoi cittadini un livello minimo di intelligenza sotto il quale – per dire – scatta una sanzione. Tutto questo è bellissimo, direi entusiasmante; e se non la pensassi così dovrei ricorrere a massicce dosi di antidepressivi visto quel che si è visto alle manifestazioni del 25 aprile, per dire solo l’ultima (una cronaca QUI). La democrazia (nel senso e nelle forme tipiche dell’Europa occidentale, per esempio) parte dal presupposto liberale che ciascuno ha diritto al proprio pensiero, ad esprimerlo, ad organizzarsi per diffonderlo, e a concorrere alle elezioni per affermarlo, candidandosi quindi a governare il Paese per fare e disfare sulla linea di quel pensiero. Gente, se non è libertà questa, non saprei proprio quale potrebbe esserla! E ce l’abbiamo noi, qui, in Europa Occidentale, assieme ai nordamericani, agli australiani, ai giapponesi e pochi altri popoli.
Ma che bello!
Ma la democrazia è anche ambigua; sì, ti lascia la libertà di dire e fare ciò che vuoi, ma conta sul fatto che tutte le imbecillità restino sostanzialmente contenute e marginali. Questa specie di ipocrisia aveva una ragion d’essere quando le democrazie occidentali assunsero la loro forma attuale, ovvero all’indomani del secondo conflitto mondiale (qualcuna prima, certo, è per fissare una specie di data convenzionale). A quell’epoca – secondo la famosa sintesi di Umberto Eco – gli imbecilli sproloquiavano nei bar dopo un bicchiere di vino, e semplicemente non avevano alcuna scala pubblica per arrivare a un qualunque potere (amministrativo, politico, mediatico). La cosa finiva lì, i compaesani sopportavano e semmai sghignazzavano, e all’amministrazione cittadina arrivava un galantuomo come tale conosciuto dai cittadini (qualche volta azzeccandoci, qualche volta no, ma non cavilliamo). Poi quell’amministratore, se si era fatto notare, veniva invitato dal suo partito a candidarsi alle regionali, poi alle politiche, faceva “carriera”, dava il suo contributo, mentre l’imbecille continuava con le sue sciocchezze in quel medesimo bar. Vigeva una sorta di omeostasi sociale: il consenso veniva costruito non tanto sul dire quanto su un fare coerente col detto, ed efficace in sé, visibilmente efficace per una quota consistente di beneficiari (cittadini, quindi elettori). Anche nei momenti di grave crisi democratica (per esempio gli anni di piombo, che ricordo assai bene) il dibattito politico anche fra posizioni distanti riusciva a trovare una sintesi, e le lacerazioni democratiche (tale fu l’assassinio di Moro) riuscivano a ricomporsi; con fatica, col tempo, ma si ricomponevano.
Una serie di eventi separati, alcuni tecnologici (Internet soprattutto) altri geopolitici (la fine dei blocchi) ed economici (la Cina nel WTO) hanno semplicemente cambiato il mondo in molteplici e irreversibili modi (ne parlai QUI tempo fa). Una tremenda eterogenesi dei fini che ha reso impossibile l’omeostasi necessaria alla democrazia per difendersi dall’imbecillità. Oggi vediamo legioni di imbecilli proiettate dal nulla della loro periferia (periferia culturale e sociale) al Parlamento, grazie a una manciata di voti rionali raccattati facendo due smorfie sui social; e guidati da un ometto insignificante che ha lavato le mutande a Salvini prima, a Letta poi, e si crede un leader senza saper prendere una posizione che sia una. Oggi vediamo un vignettista, che ha nel curriculum solo l’essere stato sempre un vignettista (fonte: Wikipedia; una delle biografie più desolate che ho letto sulla Wiki) che può dire in diretta TV che il capo dello Stato “non è più il garante della Costituzione” che, sia ben chiaro, è un pensiero lecito e legittimo, nelle democrazie occidentali, specie se asserito dall’imbecille di paese, al bar, dopo due bicchieri di vino; e invece Vauro – che te lo dico a fare? – è un “opinionista”, un influencer, come la Murgia, come Povia, come Puzzer, e ho a bella posta citato una scrittrice, un cantante e un (ex) scaricatore di porto che possono essere bravi e competenti nei loro ruoli professionali e artistici, ma non per questo hanno titolo a sparare dabbenaggini qualunquiste e nella sostanza antidemocratiche ai microfoni che sempre, sempre, qualche solerte giornalista gli ficca sotto la bocca.
Oggi Karl Popper, parlando del pericolo democratico dovuto agli intolleranti (ne La società aperta e i suoi nemici), credo che non si riferirebbe più ai prepotenti fisici, ai mascalzoni prevaricatori (lui scriveva nel 1945 pensando ai massimalismi comunista e fascista) ma agli imbecilli. Nelle democrazie occidentali i rigurgiti della prepotenza fisica sono sempre più rari (oddio, Capitol Hill è recentissimo…) mentre pervasivi, estesi, diuturni, permeabili, inevitabili sono i quotidiani miasmi dell’imbecillità. Abbiamo quotidiani interamente scritti da imbecilli e a loro dedicati, e anche quelli più pluralisti si riservano comunque una certa dose di cretineria. La televisione è un Vietnam di trappole e imboscate degli imbecilli, che per fare uno share più elevato – rappresentando costoro una quota interessante di telespettatori – vengono sempre invitati. I social, poi, sono la cloaca del pensiero imbecille. Attenti: oltre agli imbecilli integrali, che probabilmente non sono compresi nella lista dei vostri “amici” Facebook (o Twitter…), ognuno di noi scrive, prima o poi, una sciocchezza; fa un commento inadeguato; si lascia scappare un pensiero stanco. Ecco: le dieci cose intelligenti che avete scritto su Facebook cadono nel vuoto, salvo i like d’ordinanza che alcuni amici e parenti si sentono in obbligo di concedervi; ma quella boiata, quella frase veloce e scarsamente riflettuta, quella battuta pungente, accidenti quanto girano, vengono condivise, ottengono cuoricini! È così vera questa constatazione, che ne è nata una professione: Yuotuber, Tiktoker, Instagrammer e altri protagonisti dei social più diffusi diventati ricchi avendo capito come scatenare il peggio che alberga nell’anima e nel cervello della gente, che clicca, condivide, apprezza le peggiori stronzate.
È bellissimo che qualcuno pensi che la guerra in Ucraina sia sbagliata perché sbaglia Zelensky a resistere e se si arrendesse sarebbe meglio. Perché mai non dovremmo accettare questo pensiero? Che qualcuno non apprezzi Mattarella è giusto, ovvio e vorrei dire “sano”. Che sopravvivano dei comunisti nel terzo millennio è bizzarro ma corretto, diamine, è pluralismo, se ci sono i terrapiattisti possono ben esserci anche i comunisti! Che un ex comico bollito, con alcuni scappati di casa ignoti ai più, sparino boiate sesquipedali autonominandosi “eretici guerrieri” fa ridere, sì, ma dai… c’è spazio anche per loro. Che si fischino le brigate ebraiche al corteo del 25 aprile è scandaloso, ovvio, ma sappiamo che la storia è ignota, l’ideologia potente, la cretineria dilaga quando si è in gruppo e ci si sente spalleggiati, ma sì, sopportiamo anche questo…
Ma tutti insieme, questi imbecilli e molti altri, attenzione: tutti insieme possono far vincere la destra fascista alle prossime elezioni politiche; possono far fallire il PNRR; possono bloccare pezzi di Italia; possono impedire riforme essenziali e favorirne di idiote (la riforma della giustizia di Bonafede, come caso esemplare). Tutti insieme, vociando le loro imbecillità, non formano un coro ma una cacofonia assordante che è forte in tutto il mondo occidentale; in Francia l’abbiamo scampata; in Slovenia pure. E in Italia?