Una grande occasione tutta da perdere

Da pochi giorni, ho terminato la lettura del libro Un mondo senza lavoro, di Daniel Susskind, appena pubblicato in versione italiana (ma quella originale è del gennaio 2020). Si tratta di un saggio lineare, preciso e impietoso, che rinuncia al wishful thinking di tante analisi degli economisti ortodossi e indica chiaramente l’elefante nella stanza: a partire dall’immediato futuro, a causa dell’automazione favorita dai nuovi sistemi di intelligenza artificiale, ci sarà una forte, progressiva e irreversibile riduzione dei posti di lavoro.

Qui su Hic Rhodus ne abbiamo parlato diverse volte: ci troviamo in una situazione singolare se non paradossale; da un lato, la maggioranza degli economisti affermano che è vero che i sistemi di Robotic Process Automation prenderanno in carico nei prossimi decenni circa la metà delle attività che oggi sono svolte da esseri umani (ne abbiamo parlato ad esempio qui), ma che i posti di lavoro per questi ultimi non diminuiranno, grazie alla creazione di lavori nuovi e oggi sostanzialmente sconosciuti, oltre alla crescita della domanda di quelli hi-tech. Inutile dire che chi prevede la creazione di milioni di posti di lavoro di cui non è in grado di indicare neanche in che potranno consistere fa essenzialmente una scommessa alla cieca, ragionando per analogia rispetto agli effetti delle diverse ondate di automazione che si sono verificate in passato.
E, quindi, cosa c’è di singolare e paradossale in queste previsioni? Il fatto che, a differenza appunto da quanto accaduto nel passato, i tecnocrati che sono oggi contemporaneamente i principali esperti e gli imprenditori alla guida di questo processo di automazione la pensano diversamente (trovate alcune loro opinioni nello stesso articolo che ho citato prima), e avvertono: siamo di fronte a una fase completamente nuova, in cui i nuovi sistemi di intelligenza artificiale non sostituiranno i lavoratori meno qualificati, ma molti di quelli che a noi sembrano più qualificati; non ci sarà una significativa creazione di nuovi posti di lavoro, perché questi sistemi saranno sostanzialmente autonomi. La disoccupazione crescerà in modo strutturale e irreversibile.

Questo è anche il punto di vista sposato da Susskind, e chi ci legge sa che è quello che, nei limiti delle nostre conoscenze, pensiamo anche noi. Susskind pensa che gli economisti “ottimisti” non abbiano la capacità di cogliere gli elementi di discontinuità che l’automazione “intelligente” presenta rispetto al passato, e che essi abbiano elevato a legge immutabile quello che è un semplice fatto contingente, ossia il modo in cui finora si è sviluppata l’automazione del lavoro.

A mio avviso, la prospettiva della “fine del lavoro” (come recitava il titolo di un altro libro, di Jeremy Rifkin) è reale, e bene fa Susskind a sottolineare che essa rappresenta una rivoluzione per i nostri sistemi sociali, politici ed economici. Il lavoro è infatti al centro dei principali meccanismi di distribuzione della ricchezza, non solo, ovviamente, sotto forma diretta (salari e onorari professionali), ma anche indiretta, viste le diverse forme di welfare che hanno come destinatari i “lavoratori” (erogazioni fiscali, previdenziali, eccetera). Occorre adottare una prospettiva, appunto, rivoluzionaria: quella per cui la condizione di normalità sarà quella in cui una fetta rilevante e crescente di persone, anche istruite, non lavoreranno. Permanentemente.

Ma, attenzione, questo non significa che ci sarà una riduzione della produzione. Anzi: l’automazione è la chiave per un aumento della produzione, solo che questo avverrà senza lavoratori, e quindi, se non facciamo niente, la ricchezza prodotta finirà tutta nelle tasche degli imprenditori e dei fornitori dei sistemi di intelligenza artificiale, in buona misura i soliti Google, Microsoft, & C. Evitare che questa transizione provochi un disastro sociale è il primo dei problemi che avremo nei prossimi, diciamo, vent’anni.

Il secondo problema, che è particolarmente forte in Europa e fortissimo in Italia, è quello demografico. Mentre sindacati e governo discutono di come addolcire le regole della cattivissima Elsa Fornero (alla quale tutti gli italiani dovrebbero accendere un cero ogni mese), nel mondo reale il nostro sistema pensionistico e in generale di welfare è uno dei più fragili al mondo (l’ultimo nostro articolo sull’argomento, con un po’ di dati se ce ne fosse bisogno, è questo), e l’effetto contemporaneo della contrazione della natalità e della fuga all’estero dei giovani più qualificati è, e sarà sempre più, devastante per le entrate fiscali e previdenziali. Inutile dire che su questo, che è il vero problema (mentre le paturnie di noi ultrasessantenni che vorremmo andare in pensione non sono un problema e andrebbero semplicemente ignorate), il silenzio della politica è totale.

Infine, non dimentichiamo il compito per cui, in fondo, è nato il governo Draghi: gestire efficacemente i fondi del PNRR. Dal momento che una parte di questi fondi va ad accrescere il nostro debito pubblico, è necessario che essi siano impiegati in modi che producano un “ritorno sull’investimento” superiore al costo del debito, e questa è una cosa di cui considero la nostra classe politica strutturalmente incapace, essendo essa costituita in media da persone di cultura, integrità e qualità intellettuali assolutamente mediocri. Trasformare il PNRR in un’ulteriore occasione di incrementare la spesa pubblica per l’Italia sarebbe a medio termine un suicidio, eppure, volendo giudicare obiettivamente, questo è l’esito più probabile.

Ebbene, ironicamente, la contemporanea presenza di questi tre problemi molto complessi costituisce un’occasione quale l’Italia probabilmente non ha mai avuto, e vediamo perché.
L’automazione basata sull’Intelligenza Artificiale, che da un lato offre enormi ritorni in termini di produttività ed efficienza, ha come controindicazione la riduzione drastica della forza lavoro necessaria. Ma questo è quanto in Italia accadrà comunque, a causa della crisi demografica: le prossime coorti di lavoratori saranno sempre meno numerose, e noi ci troveremo nella drammatica difficoltà di mantenere il livello della produzione di ricchezza con una progressiva diminuzione della forza lavoro, ossia esattamente il problema simmetrico a quello che provoca l’automazione; l’una cosa può, in una certa misura, compensare l’altra. Inoltre, mentre invertire l’andamento della fertilità è difficile e lungo, potenziare l’innovazione tecnologica a livello di sistema-paese potrebbe aumentare l’attrattività dell’Italia per i giovani, sia per gli italiani che oggi vanno all’estero che per gli stranieri che oggi evitano il nostro paese. Investire in innovazione, se per i motivi che abbiamo visto comporta a medio termine una perdita di posti di lavoro, significa invece, a breve termine, aumentare i posti di lavoro “pregiati”, facilitando quindi l’inevitabile fase di transizione.
Ma come fare per dare questo violento impulso all’innovazione in un paese come l’Italia, in cui le imprese sono restie o non hanno i capitali per investire? La risposta, ovviamente, è il PNRR. A suo tempo, in un articolo ben anteriore all’insediamento del governo Draghi, avevamo scritto che «esiste un solo modo buono di spendere i soldi del Recovery Fund, ed è investirli in grandi iniziative ad alto moltiplicatore». Ecco, quindi, la risposta: i soldi del PNRR devono essere spesi in larghissima parte per innovare tecnologicamente il paese, e in particolare per le infrastrutture digitali e per digitalizzare tutti i processi della P.A. In questo modo, si incontrerebbe l’esigenza di creare le condizioni per una massiccia automazione e quella di spendere i fondi del PNRR in poche iniziative ad alto valore aggiunto. Questa combinazione è raffigurata nel diagramma qui sotto, dove la M nell’intersezione dei tre problemi indica che lì si potrebbe compiere il Miracolo, grazie al quale ciascun problema sarebbe risolto dagli altri due.

Dopo di che, non illudiamoci: appunto un miracolo ci vorrebbe, perché la classe politica e quella dirigente in Italia e in Europa si accorgessero di questa irripetibile occasione e decidessero di fare tutto quello che occorre per coglierla. Per capirci, occorrerebbero come minimo tre azioni difficili e politicamente rischiose in termini di consenso:

  1. Definire un piano serio e ambiziosissimo di digitalizzazione e automazione, guidato dalla Pubblica Amministrazione.
  2. Assegnare a questo piano la maggior parte dei fondi del PNRR, almeno i due terzi, scontentando gli appetiti di tutte le clientele (e le mafie vere e proprie).
  3. Ridisegnare il finanziamento del welfare, sostituendo le tasse e i contributi sul lavoro (che non ci sarebbe più a sufficienza) con altre forme di imposizione, ad esempio tassando il valore aggiunto prodotto.

C’è qualcuno, incluso Draghi, che abbia la lungimiranza, la volontà politica e il potere per fare contemporaneamente tutte e tre queste cose (come abbiamo visto, farne solo una o due non basta)? Non credo proprio.

Quindi, l’ipotesi più probabile è che saremo schiacciati separatamente dai tre problemi che non avremo saputo riunire in un’unica soluzione. E si dirà, di volta in volta, che la colpa è della tecnologia, o dell’Europa, o dell’egoismo di chi non fa figli. Allegria!