Disastrosa apparizione governativa a Cutro; poi, tutti a festeggiare i cinquant’anni di Salvini col Karaoke (Meloni che canta De Andrè, capite?), e quindi video del giornalista Porro su quella festa e conseguente indignazione planetaria. Ma come? urlano gli indignati (su twitter) non avete neppure voluto incontrare i parenti delle vittime a Cutro, poi siete andati tutti a fare uno stupido karaoke? Ma cosa vi dice il cuore? Ma anche – come scrive Pietro Salvatori – cosa vi dice la testa:
Ma la noncuranza con la quale in quella festa e in quel contesto nessuno si sia preoccupato di mettere in chiaro che va bene brindare, ma che nessuno si sognasse di diffondere immagini e video se non previa autorizzazione, oltre alla totale mancanza di empatia segnala anche il problema politico relativo alla consapevolezza e alla gestione del proprio ruolo istituzionale e della propria immagine pubblica da parte di chi più di ogni altro nel paese dovrebbe farne una priorità.
Io credo che Meloni, e Salvini, e gli altri, possano stare tranquilli. Così come le stupidate quotidiane durano lo spazio di un flame su Facebook, di un topic trend su Twitter, o di qualche altro anglicismo su qualche altra piattaforma, così le indignazioni, che – come nota Guia Soncini – essendo diventate sempre più iperboliche, si sono consegnate al rapido consumo, all’ondata di cuoricini, di pollici alzati, di faccine arrabbiate quante ne può contenere un’oretta o poco più di interesse social.
Tutto questo – scrive Stefano Folli – non è casuale. Dipende dall’incapacità di uscire dal giorno per giorno, cioè dall’emergenza che incalza chi governa, se questi non è in grado di sottrarsi all’abbraccio soffocante. […] l’esecutivo naviga tra gli scogli della quotidianità senza riuscire a sollevare il capo. Da Cutro alla vicenda Cospito ad altri incidenti di percorso, il cammino ricalca quello di altri governi del passato, di diverso colore ma altrettanto prigionieri del contingente. Per cui alla fine svettano gli esecutivi “tecnici”: nascono proprio per affrontare l’emergenza e nessuno chiede loro di più; anzi, ricevono l’onore delle armi perché hanno saputo svolgere il loro compito.
Ma, come conclude sempre Folli, questa miopia organica non è solo del governo, della destra (perché noi di sinistra, ovviamente, avremmo fatto tutt’altro, e tutto meglio):
Del resto, questo limitarsi all’emergenza, o ai temi dell’eterno presente in cui viviamo, è tipico anche dell’opposizione. Non stupisce tra i Cinque Stelle, ma dalla nuova stagione del Pd con Elly Schlein sarebbe lecito attendersi di più: la volontà di guardare lontano. Non si discutono le battaglie sui diritti, ma da una forza di sinistra che voglia tornare ad essere ascoltata ci si aspetta che metta al centro il tema del lavoro. Il lavoro perso e da ritrovare, dentro un’analisi convincente della società che cambia. E non in un capoverso dell’ultima intervista, bensì come cardine di un progetto a media scadenza. Restare ancorati al quotidiano disintegra invece la credibilità: a destra e a sinistra senza troppe distinzioni.
Poiché lo scriviamo da anni, qui su HR, siamo dolenti della nostra monotonia, ma fieri di essere fra i pochi (evidentemente siamo pochi) che non sono sedotti dall’improvvisazione narcisistica, dalla conta dei cuoricini per l’arguzia su Twitter, la gioia per la crescita dei follower per il video scemo su TikTok… Non sono i politici a essere così, sia chiaro: è l’ottanta per cento della popolazione, inclusi i politici. E un altrettanto percento dei quotidiani, che inseguono le notiziole sceme perché voglio i vostri clik. E si crea così un circolo vizioso di informazione banale o banalizzata, corsa al sensazionale, frenesia per una comunicazione immediata, che significa sentirsi in dovere di commentare tutto senza avere cognizione di ciò che si scrive e si dice, e quindi costruire un mondo – attorno a noi – fatto di fumo, che evapora subito per lasciare il posto ad altre fumoserie. E cosa importa del karaoke di Meloni, domani è un’altro giorno, avremo altro su cui indignarci.
Il punto cruciale è (sarebbe) capire ciò che conta veramente, e ciò che non conta nulla ma ci (vi?) fanno credere che sia fondamentale. Ecco: mi pare che le prime pagine dei giornali siano dominate da quello che non conta un fico secco, e che tale insulsaggine sia pastrugnata, masturbata, rigirata all’infinito, in una sorta di universo parallelo dove tutti sono (sembrano essere) interessati alle paturnie di Fedez, al corretto uso degli asterischi nelle declinazioni di genere, alla patente a 17 anni, ai bambini che dicono di sentirsi fluidi, e ai genitori che invece che due ceffoni ne parlano su Facebook, di Meloni che sì, certo, è una leader, ma peccato che c’è Piantedosi-quello-che-non-capisce-una-cippa, e non si parla più del dramma dei migranti e delle politiche per affrontare il fenomeno ma di Piantedosi e di come Meloni possa renderlo innocuo, e i commenti dei commentatori sul sesso degli angeli, e il mondo che gira vorticosamente nell’indifferenza – così mi pare – dei più.
Allora: cosa conta, veramente? Pensiamoci assieme e facciamo un’operazione a ritroso.
Poiché la cosa fondamentale è vivere (in salute e in pace, ma diventa ridondante), dobbiamo capire cosa ci serva allo scopo. Ci provo:
- un reddito;
- la salute;
- la cultura.
Rifiuto di spiegare la mia scelta.
“Reddito” significa lavoro (se siete ricchi di famiglia bene per voi), ma non un lavoro qualunque, sottopagato e umiliante; un lavoro che garantisca di poter sfamare la famiglia e qualcosina di più; quindi parliamo di sviluppo industriale, di formazione continua dei lavoratori, di lotta all’inflazione, contenimento del debito, ma anche di ricerca e sviluppo, diritti sindacali, certezza previdenziale etc.
“Salute” significa investire nel sistema pubblico sanitario che è l’esatto contrario di quello che si sta facendo in questi anni, costi standard, qualità minima delle prestazioni, liste di attesa, sostegno ai deboli (anziani, disabili…), tutte cose che qualche anno fa erano garantite e oggi sempre meno. Ancora una volta significa investire in ricerca e sviluppo, significa valutazione delle performance, significa sottrarre il bilancio sanitario agli appetiti dei politici e da quello delle baronie accademiche (moltiplicazioni dei primariati…).
“Cultura” significa investire massicciamente in scuola e università, con un piano serio per evitare la catastrofe, insegnanti ben pagati e valutati, sostegno agli studenti meritevoli, focalizzazione sul merito, ricerca e sviluppo (ancora, sempre), premio alle eccellenze etc., poi sistema museale e bibliotecario, investimenti sull’educazione informale e molto altro.
Affinché questi punti cruciali siano sostenibili occorre un bilancio pubblico curato e senza sprechi, il perseguimento di relazioni internazionali intelligenti e virtuose e una serie di riforme strutturali importanti: giustizia e pubblica amministrazione per prima cosa.
Ecco: in un mondo immaginario, i politici sarebbero occupati in queste cose. Come incrementare il lavoro di qualità, in un sistema industriale competitivo? Come garantire una sanità e una previdenza universali, eque, di ottimo livello, senza sprechi? Come avere una giustizia giusta, veloce, non punitiva, con la certezza della pena ma senza eccessi né populismi, con magistrati che fanno il loro lavoro senza dare spazio a Ego ipertrofici? Come contare davvero a livello europeo, ed essere protagonisti nello sviluppo del nostro continente?
Per capire il mio malumore aprite un quotidiano qualunque e date una scorsa ai titoli. Scommetto che difficilmente troverete segni che vanno nella direzione che ho indicata.
Di questo possibile dibattito non vedo nulla; non lo vedo a destra impegnata nel karaoke e non lo vedo a sinistra impegnata a commentare il karaoke. Meloni ha già fatto mirabili capriole rispetto al suo destrissimo programma elettorale (per fortuna), schiacciata da una realtà che all’opposizione poteva fingere di ignorare (anche questo: possibile che se all’opposizione dici tutto l’indicibile, poi arrivi al governo e noleggi la prima faccia di tolla disponibile?), ma anche a “sinistra”, diomio! Schlein è appena arrivata, sì, diamole tempo (ma su questa faccenda di dover “dare tempo” a chi fa politica per professione avrei qualcosa da ridire…), ma le prime avvisaglie non annunciano il sorgere del sol dell’avvenire.
In tutto questo, io personalmente mi sento senza rappresentanza politica, in balia delle onde su una barca col timoniere perso dentro una storia Instagram che non guarda gli scogli verso i quali maldestramente dirige. E mi viene una discreta ansia, se proprio lo devo dire, guardando attorno me gran parte dei passeggeri che anziché urlare al timoniere, commentano a capo chino sullo smartphone i suoi stessi Instagram.
Oh mio Dio, voi mi terrorizzate con la vostra incomprensione! (Fëdor Michajlovič Dostoevskij, I fratelli Karamazov)