In (quasi) morte di Silvio

All’età di quasi 87 anni, il senatore Silvio Berlusconi pare avere una leucemia ed è ricoverato in condizioni definite “delicate”. Umanamente: forza Berlusconi, stringi i denti che ce la puoi fare, punto.

E a capo.

Berlusconi, qualora non ce la dovesse fare, non morirebbe giovane, né in circostanze tragiche, né povero e solo; ha avuto una grande vita, ma grande davvero: successi industriali, politici, affettivi, una vita ricca di soldi, di viaggi, di donne, di cronisti in cerca dell’ultima barzelletta volgarotta. Voglio dire: una vita piena, densa di soddisfazioni e – come per tutti – di qualche delusione e dispiacere. Non c’è quindi ragione di compatirlo oltre allo stretto necessario, rappresentato dal naturale riserbo e contegno che chiunque ha, deve avere, di fronte alla morte di un suo simile.

Tutto ciò premesso, non avendo io – di fronte alla morte di chicchessia – altro atteggiamento che una compunta sobrietà, vorrei mettere le mani avanti rispetto a quell’altro atteggiamento, vòlto a elogiare il defunto anche se non è propriamente stato uno stinco di santo. Dei morti – non ho mai capito perché – non si deve parlar male; credo che all’origine ci sia la paura della morte, e il tentativo di ingraziarsi le anime dell’Aldilà…

In questo blog abbiamo sempre scritto criticamente a proposito di Berlusconi; molto spesso alle origini della nostra storia, poi sempre di meno man mano che il declino dell’Uomo, e il suo allontanamento dalla politica, ha reso necessario distribuire i nostri strali su altri personaggi pubblici. Ma certamente, e inequivocabilmente, Hic Rhodus non è mai stato tenero con lui. Come sempre, le nostre critiche hanno cercato di non essere ideologiche, di parte (oddio, forse un pochino sì…) ma basate sulla constatazione, suffragata da ogni genere di dati, che il ventennio berlusconiano ha fatto ingenti danni al Paese.

Leggo, per esempio:

più passa il tempo, più viene naturale mettere a fuoco un aspetto della vita di Berlusconi poco considerato: il suo essere, da sempre, un argine contro gli estremismi. E’ stato un argine, da imprenditore, contro il pensiero unico conformista veicolato dalla tv unica dello stato, portando concorrenza e offrendo alternative. E’ stato un argine, ovviamente, all’estremismo di una sinistra giustizialista, anti mercatista e poco atlantista, che ha cominciato a rinnovare se stessa solo quando ha accettato di considerare il Cav.  un avversario da battere e non  un nemico da abbattere. E’ stato un argine, evidentemente, all’Italia del corporativismo, del consociativismo, del potere immobile e chiodato dei sindacati, desiderosi di aggiungere ostacoli su ostacoli a ogni tentativo di onorare l’articolo della Costituzione che definisce un dovere dello stato promuovere la libera iniziativa economica privata. (Claudio Cerasa, Il Foglio)

Solitamente apprezzo Cerasa ma, no, Berlusconi è stato l’opposto di questa descrizione; lui è stato esattamente un estremista, anche se in senso particolare: ha polarizzato il dibattito politico italiano, si è posto come sovrano di una tribù (Forza Italia non ha mai fatto un congresso per eleggere la segreteria) che voleva contendere, al sistema democratico vigente, una primazia condotta a colpi di leggi ad personam, illiberali (Berlusconi è – fra le tante cose – artefice della distruzione del pensiero liberale in Italia – ne scrissi già nel 2014) e stataliste (altro che libero mercato!), basti pensare all’emblematica vicenda dell’Alitalia, che è la principale e più eclatante fra molte (e intanto, sotto i suoi governi, il debito pubblico si impennava).

In queste ore riflessioni come quella di Cerasa sono rare, ma credetemi: nelle redazioni dei quotidiani è tutto un corri corri per preparare i testi da pubblicare un minuto dopo l’annuncio della sua morte (che – ripeto – non è detto sia imminente, e lungi da me non augurargli una pronta guarigione), e vedrete che, anche saltando a pie’ pari i quotidiani più legati, per una ragione o l’altra, all’ex Cavaliere, tutti si affanneranno, fra una mezza critica e l’altra, a sostenere che pure lui, alla fin fine, ha fatto cose buone.
E questo è il supremo epitaffio italico: “Ha fatto anche cose buone”, come si dice per Mussolini se non si sa andare oltre un cliché scemo; “Amava i cani”, come Hitler; “Ha sconfitto i comunisti” (non è vero, i comunisti si sono sconfitti da soli) come Stalin batté l’invasione tedesca; e via di sciocchezzuole. Tutti hanno fatto qualche cosa di buono nella vita, perché non Berlusconi?

Fuori da queste frasi fatte politicamente corrette, qui a Hic Rhodus pensiamo invece che Berlusconi, nella sua vita pubblica, politica, sia stata una disgrazia senza pari per l’Italia. Non solo, come ho già accennato, non verrà ricordato per lo sviluppo economico del Paese, che non è mai stato suo interesse, ma in prospettiva storica il suo contributo sarà menzionato come un potente freno a quello che viene chiamato “sistema Paese”: niente sviluppo industriale, né ricerca e sviluppo; affossamento di scuola e Università; marginalizzazione nella Nato e in seno all’UE, con punte irripetibili di discredito e inimicizia (Merkel “culona inchiavabile” resterà per sempre la sineddoche del suo pensiero diplomatico).

Ma al di là di ciò che ha fatto o non ha fatto (scelte economiche sbagliate, leggi discutibili…) il male di Berlusconi è rappresentato da quell’orrida creatura che chiamiamo berlusconismo: un misto di populismo, verticismo, menefreghismo, opportunismo sfacciato (i senatori comperati per abbattere il governo Prodi, epitome della strategia politica di Silvio, che per fortuna di pochi c’è), goliardia grassa. Il berlusconismo come cultura (incultura) che così bene si attaglia allo spirito italiano, già di suo antropologicamente cinico e fancazzista, furbo e amorale.

Gli italiani, all’epoca tragica del finire del secondo millennio, avevano un disperato bisogno di un giullare dell’italica leggerezza, e il colpo di stato di Mani Pulite (il termine non è mio ma di Sansonetti, ripreso anche in questi giorni) glie lo fornì su un piatto d’argento. La famosa “discesa in campo” (1993, 1994) sdoganò una destra post fascista ancora piuttosto brutta; fece fallire la chance di sviluppo rappresentata dall’ingresso nell’Euro; manipolò in maniera irreversibile il sistema delle comunicazioni; varò leggi liberticide, per esempio sulle droghe e sui migranti, di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze (sempre alla faccia del suo presunto liberalismo); è stato prodromico del populismo idiota dei 5 Stelle; ha coltivato amicizie imbarazzanti (Putin…) e praticato uno stile di vita che – senza alcun moralismo, che non mi appartiene – è assolutamente inidoneo in un politico, addirittura un leader e capo di governo. Eccetera. Anzi: molti “eccetera”.

La morte di Berlusconi, quando avverrà, seppellirà lui e il suo partito personale (non saprei dire con quali ripercussioni sul governo, forse poche lì per lì) ma non seppellirà il berlusconismo, e neppure l’altrettanto esiziale anti berlusconismo, due facce di quella guerra fredda civile che si continua a combattere in Italia (una trappola nella quale, nella versione attuale che semmai non evoca più il nome di Berlusconi, la “sinistra” si è allegramente ficcata, e – con Elly Schlein – sembra altrettanto allegramente permanere), a scapito di un’idea di politica (politiche pubbliche, programmazione, valutazione, gestione, comunicazione pubblica, moral suasion, …) che Berlusconi ha irrimediabilmente calpestato.

Lunga vita all’uomo Berlusconi. Ma non c’è stato nulla di buono in ciò che ha rappresentato.

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