Ma dove sono finiti i liberali?

 

27 Ma i liberali dove sono finiti

La veloce mutazione dello scenario politico italiano mette in discussione le classiche categorie politiche del Novecento. All’epoca della Prima Repubblica avevamo destra reazionaria, cattolici, sparuti gruppi di liberali, socialisti e comunisti, con varie e complicate sfaccettature e sovrapposizioni, che potevamo, con qualche sforzo e adattamento, ricondurre a succedanei del pensiero liberale (per lo più in salsa cattolica) e socialdemocratico (in nuce, e più chiaramente distinguibile dopo Berlinguer). Poi Mani Pulite, il travaglio del sistema politico e l’avventura berlusconiana, sedicente liberale, durata complessivamente un ventennio. Oggi il berlusconismo è al tramonto e cercano di affermarsi il populismo di Grillo e il liberalsocialismo di Renzi (mi assumo la responsabilità di questa provvisoria definizione per il programma di Renzi). Mentre una fattispecie di socialdemocrazia sopravvive nel PD (anzi: molte fattispecie; troppe) mi chiedo dove siano finiti i liberali, semmai ve ne sia stato qualcuno in questi decenni. A mio avviso non ce n’è neppure uno in Forza Italia perché Berlusconi, come argomenterò qui, tutto è fuorché un liberale, e il berlusconismo ha ammazzato quel che c’era di liberalismo alle origini del movimento. Grillo rappresenta l’antitesi del pensiero liberale, e certamente non è nel M5S che troviamo i superstiti di questa nobile tradizione politica. Vuoi vedere che i sopravissuti si trovano proprio nel PD di Renzi?

Come accade spesso qui su Hic Rhodus dobbiamo sgomberare il campo da equivoci concettuali. Anche perché non basta autoproclamarsi ‘liberali’ per esserlo davvero e quindi bisogna recuperare il significato di |liberalismo| dove si conviene: Locke innanzitutto, come fondamento storico, e tutta la ricca successiva produzione di pensiero liberale che è stato pensiero filosofico, economico, sociologico e che ha avuto elementi di specificità anche negli italiani Mosca, Croce, Gobetti e non pochi altri. Nelle Risorse finali troverete alcune indicazioni fra le tante disponibili per approfondire l’argomento e, per non abusare della vostra pazienza, faccio io una possibile sintesi del pensiero liberale nella sua connotazione fondamentale e più moderna. Il liberalismo è:

  • limitazione dei poteri dello Stato in nome dei diritti individuali; idea centrale che deriva dal giusnaturalismo seicentesco e che attraversa, in forme via via più mature, tutto il pensiero liberale anche contemporaneo;

La dottrina liberale è l’espressione, in sede politica, del più maturo giusnaturalismo: essa, infatti, si appoggia sull’affermazione che esiste una legge naturale precedente e superiore allo Stato e che questa legge attribuisce diritti soggettivi, inalienabili e imprescrittibili, agli individui singoli prima del sorgere di ogni società, e quindi anche dello Stato. Di conseguenza lo Stato, che sorge per volontà degli stessi individui, non può violare questi diritti fondamentali (e se li viola diventa dispotico), e in ciò trova i suoi limiti; anzi, deve garantirne la libera esplicazione, e in ciò trova la sua funzione, che è stata detta ‘negativa’ o di semplice ‘custode (Norberto Bobbio, Liberalismo, 1957).

  • Piero Gobetti

    dal punto precedente discende una fondamentale garanzia delle libertà espressive (religiose, politiche) garantite dallo Stato e senza interferenze da questo e

  • un’altrettanto fondamentale garanzia delle libertà economiche (di commercio, di impresa, di proprietà privata);
  • tolleranza verso le diversità religiose (originariamente) e per estensione anche politiche; questo atteggiamento è storicamente collegato alla situazione inglese del ‘600 ben descritta nell’articolo di Bedeschi citato in fondo e si è nel tempo sviluppata e consolidata fino a includere anche le modalità private tramite le quali un individuo persegue il proprio ideale di felicità;
  • supremazia dell’individuo e beneficio della competizione, del dissenso e della concorrenza come elementi vitali per il progresso sociale; da ciò una sostanziale diffidenza per ogni intromissione dello Stato, considerato un male necessario da contenere entro limiti ristretti. L’estrema evoluzione di questi principi porta il pensiero liberale a diffidare della democrazia egualitarista che ha come finalità lo sviluppo dell’intera società anche a scapito della diminuzione della sfera personale di libertà degli individui. Il pensiero contemporaneo ha trovato una mediazione fra principi liberali e socialdemocratici nella promessa del cosiddetto Welfare State di garantire a tutti i cittadini le medesime basi di partenza in quanto a educazione, sanità e servizi fondamentali.
  • Infine, ma fondamentale: il rapporto del liberalismo con la democrazia, come si capisce dal punto precedente, è di tipo dialettico. La democrazia stabilisce chi governa (la maggioranza) mentre il liberalismo vorrebbe discutere come assicurarsi che tale governo sia non dispotico. Non è impossibile immaginare un “dispotismo della maggioranza”, formalmente democratico ma calpestatore dei diritti delle minoranze. E quante e quali implicazioni ciò determini è facilmente intuibile.

Tutto il resto deriva da questi pochi e fondamentali elementi. Il ‘liberismo’ è una conseguenza economica – peraltro non da tutti i liberali accettata nelle sue conseguenze neocapitaliste e monopoliste – della libertà d’impresa come il ‘libertarismo’ è una conseguenza di quella centralità non solo economica dell’individuo che lo vede interprete unico del proprio destino e libero di scegliere lo stile di vita che preferisce (che alle origini erano scelte religiose ma attualizzando possiamo includere, oltre ovviamente a quelle politiche, anche gli orientamenti sessuali, la libertà educativa e di cura etc.).

Ebbene, a leggerlo così, il liberalismo, non credo abbia trovato facilmente dimora a casa di Berlusconi e del suo movimento politico, malgrado quanto asserito come propaganda e malgrado la buona fede di diversi liberali poi traditi dai fatti. Berlusconi premier è stato acceso statalista in economia: progettazione di maxi opere pubbliche fortunatamente non sempre realizzate e accettazione del punto di vista pochissimo liberale dei partner di governo AN e Lega, aumento della spese corrente sul Pil e del debito pubblico, nessuna vera privatizzazione… È stato populista e (a parole) filo cattolico nei valori (famiglia, bioetica, …); è stato il contrario perfetto dell’uomo meritocratico come dimostra l’ossessione della legislazione ad personam e la negazione del fallimento politico ed economico; è stato dispotico, sia pure nel suo modo clownesco, nella gestione del suo partito e nel confronto sempre conflittuale con altri poteri e organismi dello Stato (Magistratura, Presidenza della Repubblica…) al limite dell’eversione. Insomma: tutto, ma proprio tutto, di Berlusconi, nega l’appartenenza alla cultura liberale.

La forza di Berlusconi è stata e continua a essere, in realtà, quella di potersi muovere a suo capriccio in un vuoto di cultura politica liberale che caratterizza metà del Paese. Troppo spesso, infatti, l’Italia di Destra è di destra solo perché è contro la Sinistra (Galli Della Loggia, vedi Risorse in fondo al post).

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Bobbio, Luporini, Capitini, Morra, Calogero e Guttuso (di spalle) nella riunione clandestina del 1939 del movimento liberalsocialista (disegno di Guttuso

Paradossalmente (?) è molto più liberale Renzi. Il campione PD andrà giudicato sulle opere concretamente realizzate (e nel governo di coalizione attuale non sarà semplice realizzare qualcosa di significativo) ma stando al suo programma e alle prime mosse vediamo molto più liberalismo. Cosa non difficile, visto che si parte da zero. Il continuo accento sulla semplificazione dello Stato (dalle Province al Senato al Titolo V), della burocrazia e del fisco sono idee ascrivibili a un orizzonte liberale, così come le idee in tema di lavoro e sviluppo imprenditoriale. Pur essendo cattolico Renzi fa mostra di sapere bene distinguere le sue credenze personali dalla necessaria laicità dell’uomo politico. Sulle libertà individuali abbiamo solo antiche dichiarazioni programmatiche e vedremo come si comporterà, come su molte altre questioni. Ma al momento la proposta renziana appare, appunto “liberalsocialista”, un’idea antica (Calogero, Capitini, Calamandrei, in parte Bobbio e vari altri) che vorrebbe unire libertà di mercato a uguaglianza sociale. Quella di Calogero e altri fu una breve parentesi intellettuale degli anni ’40 e ’50, mentre per il Renzi post comunista, non marxista, cattolico non omologato, pragmatico e “della generazione Erasmus” potrebbe anche diventare, in qualche modo, un orizzonte possibile. Se avrà il tempo di provarci.

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