Democrazia diretta. Da chi?

Democrazia: non essendosi potuto fare in modo che quel che è giusto fosse forte, si è fatto in modo che quel che è forte fosse giusto.

Blaise Pascal

Questo post apre un nuovo importante argomento per Hic Rhodus: quello della Democrazia. Tema sempre attuale, sempre da vigilare e approfondire, e comunque molto presente nel dibattito odierno in Italia: dal problema della forma di Stato migliore e più efficiente (e conseguenti riforme costituzionali) a quello della riforma elettorale, il tema è proposto, a volte strillato, a tratti equivocato, sui quotidiani, sui social media e perfino fra le forze politiche. Alludo al fatto che troppo spesso usiamo parole (e ci riferiamo a concetti) che non sono chiare per niente, che riproponiamo in maniera stereotipata alludendo a concetti vaghi e mal digeriti; ciò vale anche per |Democrazia|, e facile sarebbe mostrare come siano definite “democratiche” forme di governo assai diverse e inconciliabili con la nostra idea (come nel caso della Repubblica Popolare Democratica di [Nord] Corea), mentre andrebbe rivisitato il cliché dell’Atene democratica di Socrate e Platone. Ma di questo e altro ancora tratteremo in post futuri e voglio parlare, qui, di un tema ristretto e attuale che mi permetterà di segnalare il pericolo del pensiero politico veloce e privo di riflessività; cioè della possibilità di una qualche forma di democrazia diretta, che sembra tanto ispirare alcune forze politiche (non alludo solo al M5S; basta vedere alcune delle ragioni critiche che inducono a invocare le preferenze nella nuova proposta di legge elettorale; o che ispirano i NO-TAV e altri comitati locali).

La democrazia diretta è da intendere come alternativa alla democrazia rappresentativa. Nella seconda (che ispira, con differenze, la totalità dei Paesi democratici) i cittadini partecipano in prima persona solo (o principalmente) per eleggere dei loro rappresentanti i quali fanno le leggi. Nella democrazia diretta invece i cittadini discutono fra loro e decidono direttamente – senza intermediazioni e rappresentanze – le leggi che vogliono. So bene che è tutto più complesso ma il sugo è questo, almeno ai fini di questo post; i più raffinati protesteranno che il vero problema è quello delle garanzie: chi deve obbedire alle regole? E quindi: in che modo tutelare chi è minoranza penalizzata da quelle regole? E infine: come distribuire i poteri (le responsabilità ma anche i doveri) fra chi decide e chi subisce la decisione? Il dibattito sulla democrazia, e l’eventuale proposta di forme di democrazia diretta, nascono da quesiti di questo tipo che esulano dagli obiettivi di questo breve post. Ovviamente ci sono forme e momenti di democrazia diretta in molte democrazie rappresentative (la Svizzera è molto citata, ci torno più avanti): in Italia l’istituto referendario è uno strumento di democrazia diretta che ha vissuto un’intensa stagione fra gli anni ’70 e gli ’00 di questo secolo con oltre 60 referendum. Ma a molti questo appare poco, sporadico e non sufficientemente significativo per una reale e diretta partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica. Ma… è possibile una vera e totale democrazia diretta?

Intesa in senso stretto, come partecipazione diretta dei cittadini alla formulazione e approvazione delle leggi no, la democrazia diretta non è realistica. Pur evitando il caso estremo della deliberazione popolare su tutte le leggi che avrebbe anche difficoltà pratiche insormontabili, la partecipazione diretta ad alcune leggi avrebbe almeno questi problemi:

  • chi decide quali iniziative legislative siano da sottoporre a decisione popolare? Presumo gruppi di azione quali partiti, sindacati, gruppi civici… Appare chiaro qui che chi è più organizzato e forte riuscirebbe a condizionare il Paese con la proposta di leggi (e la loro approvazione) che gruppi più piccoli e giovani non riuscirebbero a presentare all’opinione pubblica, riproducendo in senso peggiorativo – ma in maniera farraginosa e camuffata – quel che già avviene oggi in Parlamento dove comunque si possono cercare convergenze e mediazioni;
  • in che modo si ritiene di informare correttamente i cittadini sulle questioni da deliberare? In una forma di governo in cui sono i cittadini – tutti i cittadini – a votare, è chiaro che occorre informarli bene. Come? Se dovessimo votare una legge per le centrali nucleari (tanto per fare un esempio) voteremmo con competenze tecniche di ingegneria, fisica nucleare, trattati internazionali in materia, smaltimento scorie, regolamentazione di questo tipo di lavoro, conseguenze sulla bilancia energetica nazionale etc. etc., o semplicemente col timore dell’uomo della strada dopo Chernobyl e Fukushima? Il problema, teoricamente (= non pensando alle miserie italiane), è diverso per parlamentari dedicati, nelle varie commissioni, allo studio dei diversi problemi sostenuti anche da esperti;
  • anche supponendo risolvibile il problema precedente, in che modo consideriamo l’asimmetria intellettiva, culturale, formativa e morale delle persone? Vale a dire: il suffragio universale azzera tutte le differenze fra i cittadini nella scelta dei rappresentanti sulla base di istanze generali proposte da costoro (politiche liberiste oppure inclusive, accogliere o respingere gli stranieri, stare nell’Euro o uscirne…) senza entrare nel merito diretto e tecnico del cosa fare in ogni circostanza e come farlo; in questo modo gli stupidi e i farabutti fanno pochi danni; ma in una democrazia diretta il danno sarebbe rilevante; nessun cittadino può essere esperto di tutto, essere civicamente appassionato di tutto, avere tempo e modo per informarsi su tutto;
  • infine: ammesso di superare questi problemi riconducendo la democrazia diretta a espressione di volontà su poche questioni fondamentali, istruendo percorsi informativi corretti per una popolazione civilissima, attenzione alla sciocchezza della democrazia basata sul voto via Internet; pericolosissimo per l’oscuro controllo e manipolazione che si può avere di accessi e risultati e con accesso limitato a chi sa stare davanti a un computer.

I cittadini devono quindi essere estromessi per forza dalla decisione, lasciata così a politici professionisti? No di certo. Ma ci sono altre soluzioni compatibili con la democrazia rappresentativa. Innanzitutto occorre ricordare con forza che nei sistemi democratici occidentali, Italia compresa, sono già previste ampie modalità di partecipazione diretta dei cittadini alla costruzione della decisione pubblica. Essere attivi nel sindacato e nei partiti, nei comitati civici e di quartiere, nelle associazioni culturali e di volontariato, e tramite questi farsi gruppo di pressione, propositivo, per i vari livelli di governo, è già una realtà; anzi, è l’anima della democrazia. Indubbiamente la partecipazione attiva così intesa è assai più faticosa che votare con un click in Rete ma essendo io di vecchia scuola tendo a diffidare delle cose troppe comode e ritengo che la Democrazia sia anche sacrificio e fatica. Esistono poi esperienze sempre più dirette di democrazia deliberativa (specie nel Nord Europa) in cui la decisione pubblica viene costruita in forma partecipata attraverso assemblee in cui si costruiscono concretamente strategie e decisioni; in forma non solo compatibile con la democrazia rappresentativa, ma proprio come emanazione di questa, che si fa garante delle regole.

partecipazionedj6zi.jpgQueste idee – in particolare la democrazia deliberativa – si scontrano con un potente cliché che impera nel dibattito politico attuale: quello del dualismo fra un popolo virtuoso e buono e dei governanti corrotti o quanto meno inetti; e indubbiamente nell’Italia contemporanea questo cliché ha avuto modo di sostanziarsi in troppi casi concreti che hanno esasperato l’opinione pubblica. L’idea del popolo virtuoso contrapposto ai potenti corrotti – che rappresenta il cuore autentico di quello che si definisce |populismo| – è falsa per una quantità di ragioni che dovrò necessariamente distribuire in più post futuri, ma limitandomi a una visione complessiva del problema dirò solo che non è possibile che una società complessa e articolata possa autoregolarsi: non funziona la “mano invisibile del mercato”, non esiste un’omeostasi sociale che, se lasciata a se stessa, ci renderebbe felici, le variabili che intervengono sui processi sociali (culturali, economici…) sono molteplici, indeterminabili e a volte caotiche. Se aggiungete quanto scritto sopra sulle asimmetrie cognitive, culturali e informative fra i singoli membri di una collettività, capite facilmente come si possa solo tremare all’idea di un “popolo” che vota (semmai in Rete) su più o meno tutto lasciando a lontani “portavoce” la mera esecuzione della deliberazione di maggioranza.

La democrazia diretta non è meno manipolabile di quella rappresentativa. Anzi, forse il contrario. Senza reale partecipazione alla costruzione delle idee e delle proposte non c’è quel confronto che consente di soppesare i pro e i contro di opzioni alternative. Senza incontro, confronto e semmai scontro con portatori di altre idee, altri interessi, altre agende di priorità, tutti sufficientemente informati da pluralità di fonti (anche tecniche), ciascuno finisce col votare l’idea standard proposta dal proprio leader, dal proprio partito: perché le questioni sono complesse, non si ha avuto tempo di capire, gli slogan e le parole d’ordine usuali sono già note e accettate, perché ci si fida “dei nostri”…

La democrazia diretta, nella forma della democrazia deliberativa descritta sopra, ha poi ampio spazio e prospettive di successo solo a livello locale. Non a caso gli esempi adducibili anche a livello internazionale riguardano elementi specifici e pratici di piccole e medie comunità; gli esempi che vengono indicati con questo nome hanno inoltre a monte e a valle fortissime democrazie rappresentative che definiscono il quadro delle decisioni che così vengono prese. Anche l’esempio svizzero, usualmente portato come caso esemplare (sostanzialmente unico) di Paese a democrazia diretta, è in realtà una democrazia rappresentativa, a ordinamento federale, con alcune decisioni deliberate a livello cantonale. Nelle decisioni che riguardano la vita dei cittadini nei comuni, nelle province, nelle regioni italiane è possibile vedere margini di possibilità per lo sviluppo di forme di democrazia deliberativa (informazione, partecipazione, discussione, confronto e quindi decisione). Ma non credo che questa sia praticabile sulle molteplici, continue e complicate questioni che riguardano uno Stato moderno.

Risorse minime:

Luigi Bobbio, Democrazia dei cittadini e democrazia deliberativa, Cosmopolis, 11 set 2013;

Gianfranco Pasquino, La democrazia diretta, Enciclopedia Treccani.

Questo post ha goduto di una lettura preliminare, e quindi dei consigli, di Carlo Pennisi (@crlpennisi) e Manrico Tropea (@magistro42). Tutti i difetti restano ovviamente miei.