Simpatici o antipatici?

In questi giorni, i riflettori della politica sono tutti puntati su Matteo Renzi: sulle sue scelte, sul suo faccia a faccia con Grillo, sul suo sgambetto a Letta, sui suoi ministri in pectore.

Una controversia però singolare è quella che nelle ultime settimane ha riguardato una questione curiosa: Renzi è simpatico o antipatico?

A questo proposito, si è espresso innanzitutto Eugenio Scalfari, che, dalle consuete colonne di Repubblica, ha informato tutti gli italiani che se fino ad alcuni giorni prima Renzi gli risultava antipatico, certi proditori attacchi del Fatto Quotidiano erano “sufficienti a renderglielo simpatico”. L’indomani, naturalmente, il Fatto, nella penna di Marco Travaglio, non ha mancato di ironizzare sulla volubilità di Scalfari, mentre sulla stessa testata, pochi giorni fa, Antonio Padellaro ha aperto un suo pezzo con le parole “Matteo Renzi ci è simpatico perché non usa “ghirigori””. Negli stessi giorni, a sorte del governo Letta ormai decisa, sull’Espresso un articolo di approfondimento sulla figura di Renzi e sulle prospettive del suo Governo comincia ricordando che già nel 2011 Arturo Parisi aveva messo in guardia Renzi dai rischi di essere considerato antipatico anche solo per essere uno che dice spesso “io”.

Insomma, essere simpatico in Italia pare essere (e credo che questa sia una cosa che constatiamo tutti) una caratteristica essenziale, su cui vengono misurati persino gli aspiranti Premier. La simpatia è il toccasana che riscatta chiunque, così come l’antipatia è l’unico vero peccato mortale e irredimibile. In quale altro Paese in fondo un giornalista dell’autorevolezza di Scalfari esprimerebbe un giudizio di antipatia o di simpatia personale nei confronti di un leader politico? Ce la vedete la firma più prestigiosa del New York Times scrivere che in fondo Obama gli sta antipatico?
D’altronde, la simpatia, nel senso che le diamo correntemente, è una parola tipicamente latina, che è sostanzialmente intraducibile in inglese, mentre sympathy ha un significato diverso, più vicino ai nostri comprensione o empatia, o se vogliamo all’etimologia greca originale di συμπάϑεια. Il Dizionario Treccani spiega infatti che la simpatia è un “sentimento di inclinazione e attrazione istintiva”, e intesa come caratteristica di una persona è la “capacità innata di ispirare” questo sentimento, tanto che una delle (pur insoddisfacenti) traduzioni possibili in inglese è charm. Come spesso accade, a questa differenza linguistica corrisponde una differenza più profonda, di stile di vita e di approccio alle relazioni. In un forum di traduttori, un utente inglese a questo proposito spiega che si tratta della consonanza immediata e informale che si stabilisce anche tra due estranei, qualcosa che a suo avviso gli inglesi non conoscono e non saprebbero praticare, e pieno di nostalgia per il nostro Paese conclude che senza di essa “la vita è un lavoro duro”. Insomma, noi italiani avremmo un dono, potremmo dire, e alcuni di noi possiedono più di altri la capacità di stabilire questa consonanza positiva che “alleggerisce” il gravame dell’esistenza.


Eppure, è legittimo il sospetto che questo dono sia piuttosto una maledizione
. Sempre da un punto di vista anglosassone, lo sosteneva molto efficacemente tempo fa un articolo sull’Independent, che ovviamente descriveva il fenomeno come lo sperimenta uno straniero. La simpatia, secondo il giornalista, per quanto possa essere accattivante, “è un principio disastroso” su cui fondare le relazioni sociali. Il problema è semplice: troppo spesso, quando noi incontriamo qualcuno, o comunque ne riceviamo un’impressione, la caratteristica personale che prevale su ogni altra è la simpatia o antipatia che suscita, “cortocircuitando” considerazioni mediate da una valutazione dei fatti o dei precedenti di quella persona.

Non avrete difficoltà a riconoscerlo: troppe volte diciamo o sentiamo dire “sì, Tizio è molto competente, ma è di un’antipatia unica!” oppure “è vero, Caio è un bandito, ma è troppo simpatico!“. La simpatia è una qualità che, come dicevo sopra, rischia di compensare ai nostri occhi qualsiasi misfatto o difetto. Anche in circostanze in cui avremmo tutti i motivi per adottare altri criteri di giudizio, facciamo un’enorme fatica a ignorare questa caratteristica: io, come credo tutti, ho sentito spesso giudicare in termini di simpatia persino uno specialista interpellato per una malattia grave, o un avvocato, o un magistrato. E, purtroppo, quasi sempre usiamo la simpatia come metro di giudizio anche per i politici.

In questo blog, Bezzicante ha toccato in precedenza il complesso tema della valutazione delle politiche pubbliche, argomento essenziale per l’esercizio stesso della democrazia, e che richiede un approccio rigoroso, tanto che si voglia sviluppare un’analisi qualitativa che quantitativa; in un altro post ho invece cercato di mettere in guardia dall’uso superficiale di dati quantitativi laddove non sostenuti da una corretta analisi statistica. Tutto questo però perde significato ed efficacia se le chiavi di valutazione che noi utilizziamo nella realtà per le nostre decisioni di cittadini sono altre, più immediate e istintive, che ci rendono una persona bene o male accetta a prescindere. Se è vero che simpatia è una parola difficilmente traducibile in inglese, dall’altra parte in italiano forse non abbiamo un equivalente per fact-checking… e questo è altrettanto sintomatico.

D’altronde, qualsiasi politico di una certa esperienza sa benissimo che l’impressione immediata che susciterà nel pubblico ha un effetto che non può essere facilmente bilanciato da fatti, numeri, programmi. Il che, a mio avviso, è un ottimo motivo per dedicare la massima attenzione a fatti, numeri, programmi. Quindi, forse, quando proviamo uno spontaneo moto di simpatia o di antipatia per qualcuno, specie se si tratta di un politico abituato a gestire la propria immagine, dovremmo diffidare di noi stessi, e cercare ragioni più obiettive per valutare l’operato e le proposte di questo o quel leader. Tornando al caso di Renzi, per esempio, pur essendo giovane ha un’esperienza da amministratore alle spalle: a Firenze come sindaco ha operato bene o male? Le sue proposte politiche sono credibili e valide, o no? Queste sono le domande cui come cittadino dovrei cercare una risposta.