Pensioni: tagli e regali

Sono d’accordo con il giudizio di Ottonieri sulla spending review pubblicato qui. Nel complesso, il lavoro di Cottarelli è deludente. Anche a un lettore distratto dei quotidiani è evidente che, dopo la riforma Fornero del 2011, negli ultimi venti anni le spese pubbliche (e le imposte) sono lievitate anzitutto tra gli enti locali. Lì doveva anzitutto dirigersi l’analisi e la proposta di riduzione della spesa pubblica.

Per quanto riguarda le pensioni, Ottonieri afferma che non si tratta di un taglio di spesa, ma di una nuova imposta. Concordo. E’ la proposta di un’imposta selettiva, addossata cioè solo a uno specifico gruppo di contribuenti. Costoro non sono degli evasori;  pagano già tutte le imposte dovute, pur se salate. In altri paesi le pensioni sono tassate più lievemente.

La proposta di Cottarelli è abnorme e ingiustificata per molte ragioni:

a) essa viola anzitutto in modo patente il principio della progressività, sancito nella costituzione italiana (art. 53: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”).

Se si vuole aumentare le imposte, la misura va estesa a tutti contribuenti e non solo a quei pensionati che percepiscono una somma superiore a un certo importo. Lo stesso vale per le riduzioni di imposte: ridurle solo per i lavoratori dipendenti e non per i lavoratori autonomi e i pensionati — come ha proposto il Presidente del Consiglio Renzi — è  una mossa preelettorale per molti versi astuta, ma chiaramente anticostituzionale.

La prevalenza accordata alla legislazione particolare, diretta a gruppi specifici di cittadini e non ad altri; l’attribuzione di oneri imputati opacamente e indirettamente ai secondi, sono caratteri tipici di uno Stato premoderno; non di quello, storicamente successivo, di diritto. In quest’ultimo prevalgono le norme generali, erga omnes. Le leggi particolari creano privilegi, cioè vantaggi sanciti dalla forza della legge solo a certi gruppi o categorie di persone. Di questa pasta è stata fatta la minuta legislazione pensionistica, e non solo,  negli ultimi cinquant’anni in Italia.

b) L’osservazione di Cottarelli secondo cui i pensionati andrebbero tassati perché risparmiano di più è a dir poco bizzarra. Non solo la Costituzione tutela il risparmio (che subisce peraltro già imposte patrimoniali, recentemente aumentate), ma queste somme servono anche al funzionamento dello Stato italiano. Come si potrebbe infatti pagare pensioni e stipendi pubblici senza la sottoscrizione di circa 400 miliardi annui di nuovi titoli di debito pubblico emessi dal Ministero del Tesoro?

c) Mentre Cottarelli propone nuove imposte sulle pensioni, il Parlamento prepara modifiche della legge Fornero del dicembre 2011: una legge necessaria e utile, più volte ingiustamente e arbitrariamente vituperata. Le proposte riguardano per ora circa 4000 insegnanti (che non sono riusciti ad andare in pensione nel 2011 — a un’età relativamente giovane — con le vecchie norme, a causa dell’entrata in vigore della legge Fornero) e i cosiddetti esodati, ma puntano alla reintroduzione delle pensioni di anzianità. Se si da retta alle dichiarazioni della ministra Madia, sembra che il governo Renzi la stia prendendo seriamente in considerazione, per quel che riguarda la pubblica amministrazione. Un ripristino anche circoscritto delle pensioni di anzianità sarebbe una decisione avventata e rischiosa, non solo per i  suoi costi, ma anche perché innescherebbe con ogni probabilità una serie di rivendicazioni a catena da parte dei gruppi esclusi. Quel che serve alla pubblica amministrazione è una riorganizzazione, non misure estemporanee.

La lobby dei capelli grigi è fortissima nei sindacati, specie nella CGIL, ed egregiamente rappresentata in Parlamento.  La regola aurea di queste misure sul sistema pensionistico, passate e future, è semplice: vantaggi e privilegi attribuiti a pochi, costi spalmati sulla maggioranza dei cittadini mediante l’aumento di contributi e imposte. E, se non bastasse, del debito pubblico. Il governo Renzi farebbe bene, anche solo per mantenere la sua credibilità, a non intraprendere questa vecchia strada.

Iniquità e diseguaglianze ingiustificate: una breve storia delle pensioni in Italia

Tutti conoscono le ripetute deviazioni e storture — rispetto ai calcoli attuariali — introdotte dal Parlamento italiano negli ultimi cinquant’anni nella legislazione pensionistica. Si cominciò con le pensioni ai braccianti agricoli in Sicilia negli anni ’60; si continuò con le pensioni di anzianità negli anni ’60 e nei primi anni ’70; si raggiunse il culmine con l’introduzione delle cosiddette baby pensioni nell’amministrazione pubblica (14 anni 6 mesi e 1 giorno di contributi, incluso l’eventuale riscatto della laurea, furono per quasi vent’anni sufficienti al pensionamento delle donne; meno di 20 anni per gli uomini); si arrivò a trasferire al fondo pensione dei lavoratori dipendenti i contributi destinati all’erogazione degli assegni familiari; nel 2007 si realizzò l’abolizione del cosiddetto “scalone Maroni”, auspice l’allora ministro del lavoro Cesare Damiano: 7,35 miliardi di euro regalati a circa 100.000  baldi cinquantenni (73.500 euro in media a testa), oltre a favori elargiti ad altri gruppi, per un totale di 35 miliardi di euro. Il tutto fatto pagare — con l’aumento dei contributi e con la fiscalità generale — ai lavoratori attivi (in particolare parasubordinati) e in prospettiva ai bambini e ai non ancora nati.

Pochi sanno che la maggior parte del debito pubblico italiano deriva dai deficit cumulati in decenni dal sistema pensionistico, insomma dalle generosità elargite dal Parlamento a gruppi e categorie di elettori (lavoratori agricoli, commercianti e lavoratori autonomi, dirigenti, lavoratori dipendenti pubblici e privati e altri ancora) nel corso di un cinquantennio. Molti sanno che le diseguaglianze tra generazioni sono forti, anche se ne ignorano  l’entità. Pochi si rendono conto che le aliquote sui redditi da lavoro a carico del lavoratore e dei datori di lavoro sono tra le più alte al mondo (oltre il 33% contro il 20% in Germania). Non molti ricordano che le pensioni di invalidità costano ogni anno 16,6 milioni di euro, che riguardano 2,7 milioni di persone e che sono praticamente raddoppiate negli ultimi dieci anni. Più dettagli si trovano in un articolo del Sole 24 Ore . Questa situazione è ricordata dallo stesso rapporto Cottarelli.

Si ignora inoltre che ogni anno il sistema previdenziale ha a lungo distribuito, oltre alla massa dei contributi estratti dai lavoratori attivi, anche un 4% circa del PIL prelevato dalla fiscalità generale. Questo avviene da decenni. Pochi si rendono conto che l’INPS (fino a poco tempo fa gestito dal signor Mastrapasqua) è il più grande ente economico in Italia: amministra oltre il 10% del PIL del nostro paese. Pochi protestano per la mancanza di trasparenza di questo ente pubblico.

Pochi sanno che il debito pensionistico implicito, costituito dalla somma dei contributi versati dai lavoratori ancora attivi, è stimato per un importo di circa due volte il PIL. C’è un debito nascosto, in altri termini, maggiore di quello sovrano (superiore oggi al 130% del PIL).Si veda di O. Castellino C’è un secondo debito pubblico (più grande del primo)?, in “Moneta e Credito”, 1985, pp. 21-30. Lo trovate qui. Si osservi la data di pubblicazione. Il nostro legislatore conosceva bene già dagli anni ‘80, e anche da prima, le storture del sistema pensionistico. Questa semplice costatazione rende l’idea della cronica debolezza del nostro governo, nonché del potere di veto e di intervento sulla formazione delle leggi da parte delle corporazioni  nel nostro paese. In questo caso dei  sindacati confederali, ma non solo.

Una logica livellatrice

Di fronte a una situazione del genere, in cui molti milioni di persone hanno pagato, se va bene, due (o meno) e ricevuto tre, la logica di Cottarelli è livellatrice, partorita da una mente egualitarista. A questo funzionario non interessa il rapporto tra contributi versati, anno di pensionamento e importi pensionistici – ovvero l’essenza di ogni sistema previdenziale. Fa invece tranquillamente di ogni erba un fascio. Pensioni di 1.500 euro pagate a una persona andata in pensione a 40/50 anni potrebbero essere sproporzionate e inique; altre di 5.000 euro potrebbero invece corrispondere ai contributi versati — tenuto anche conto dell’età di pensionamento. Non tutte le pensioni calcolate con il metodo retributivo, in altri termini, sono d’oro, frutto di un furto ai danni degli altri pensionati o contribuenti. Molte pensioni inferiori a 2.000 euro sarebbero certo d’importo inferiore, se calcolate con il metodo contributivo.

Se si cerca l’equità, la sola misura accettabile sarebbe il ricalcolo di tutte le prestazioni pensionistiche, oltre un certo importo, sulla base del metodo contributivo, tenuto conto dell’età in cui l’interessato/a ha iniziato a riceverle.

Contributo scritto per Hic Rhodus da Alberto Baldissera 
Negli ultimi trent’anni ha più volte descritto il ruolo delle 
corporazioni (che lui preferisce chiamare ‘coalizioni distributive’) 
e delle loro pratiche spartitorie nel declino economico, sociale 
e civile del nostro paese.