Basta Euro! è un grido che in questo periodo di campagna elettorale europea si ode risuonare da più parti; se la Lega candida nelle sue liste Claudio Borghi, che insieme ad Alberto Bagnai è tra i principali economisti sostenitori di un’uscita dall’Euro, il M5S non resta certo a guardare, e Beppe Grillo ripropone la prospettiva di un referendum popolare per decidere dell’uscita dall’Euro. Ma ci sono davvero buoni motivi per voler uscire dall’Euro? E sarebbe così semplice farlo? In questo post proveremo ad approfondire un po’. Una premessa è necessaria: anche se cercherò di esporre le cose in modo obiettivo, io ho ovviamente una mia opinione: sono favorevole all’Euro e desidero che l’Euro funzioni, con l’Italia a farne parte. Fatta questa “confessione”, entriamo nel merito.
Innanzitutto, cominciamo col dire che praticamente tutti gli osservatori sono d’accordo nel dire che l’Euro presenta dei problemi “strutturali”. Il fatto è che, quando ci sono forti disomogeneità tra le economie di diversi Paesi, per riequilibrarle sarebbe necessario ridurre in termini comparati prezzi e salari dei Paesi meno competitivi, e il modo più efficiente di ottenere questo effetto sarebbe svalutarne la moneta. E’ chiaro che se i Paesi più competitivi e quelli meno competitivi condividono una stessa moneta questa svalutazione non è possibile, e questo è un serio limite alla capacità del sistema complessivo di adattarsi agli “shock”. Naturalmente chi ha pensato l’Euro non era così matto come pensano gli ultras anti-Euro: i governi europei dell’epoca progettavano un livello di integrazione nell’UE tale da facilitare la convergenza politica ed economica dei Paesi membri. Se questo non è ancora accaduto, è anche per mancanza di volontà politica, e di pressione in questa direzione da parte dell’opinione pubblica, che anzi ha sviluppato un livello di euroscetticismo allarmante per chi è solidale con quella visione originaria.
D’altra parte, la questione se l’Euro sia una buona idea o no non ha una risposta univoca: dipende dal modello economico che si ritiene più adatto e utile per il proprio Paese. L’Euro è costruito per essere una moneta forte, come lo era il Marco, la valuta di un’Europa unita in grado di costituire un player globale come gli USA e la Cina. Naturalmente, qualcuno può preferire una prospettiva diversa, e volere una moneta debole, come l’abbiamo avuta tra gli anni settanta e novanta; è un modello economico diverso. Quello che però non si può dimenticare è che l’Euro non ha portato solo svantaggi all’Italia. Vediamo il grafico qui sotto, che è piuttosto spettacolare e riporta l’andamento storico dello spread: È evidente che l’Euro ha garantito un decennio di bassi tassi di interesse sul debito a Paesi come l’Italia o la Spagna, con un differenziale che a occhio è tra il 4% e il 5% rispetto ai tassi pre-Euro (o a quelli pre-Monti). Questo significa che l’Italia ha risparmiato per 11-12 anni il 4-5% annuo su un debito che è stato in media oltre il 110% del PIL. Insomma, facendo conti molto rozzi, l’Euro ci ha fatto risparmiare almeno un buon 50% del PIL in interessi sul debito; non è un calcolo rigoroso ma rende l’idea di una cifra enorme. Sempre per rendere l’idea, un solo anno di questo spread a zero sarebbe bastato per finanziare tre volte il costo della banda ultralarga in Italia, il cui ritardo invece ci costa un miliardo di Euro al mese. Questo così, tanto per dire, e per ricordare che nessuno si straccia le vesti e organizza V-Day nelle piazze perché non si realizza l’Agenda Digitale; ma ragioniamo di oggi, e prendiamo atto che le opportunità perdute ci mettono nella condizione di sofferenza che conosciamo, nella quale effettivamente l’Euro comporta anche gli svantaggi che ho citato.
Ci sarebbero quindi dei motivi strutturali per uscire dall’Euro? Sì, anche se ovviamente ci sono altrettanti motivi per voler restare nell’Euro: il fattore principale che potrebbe motivare l’uscita è in sostanza appunto la divergenza nei “fondamentali economici” tra economie europee forti e quelle dei PIIGS e dell’Italia in particolare. L’evidenza che giustificherebbe una svalutazione monetaria per l’Italia è chiaramente rappresentata dai diagrammi qui sotto.


Abbiamo costi di produzione (relativamente) alti e produttività bassa. Abbiamo accumulato negli anni un grave ritardo in produttività rispetto soprattutto alla Germania, e questo non ha niente a che fare con l’Euro o con la politica monetaria (non ho spazio per argomentare, ma se volete approfondire sul serio leggete ad esempio qui). Sia chiaro: dire che l’Italia avrebbe bisogno di una svalutazione, equivale a dire che dovremmo ridurre i costi di produzione in Euro, a partire dai salari. In altri Paesi, come Spagna, Irlanda, Portogallo e Grecia, i salari reali sono già diminuiti. Questa è (sarebbe) la funzione della svalutazione: abbassare i prezzi e i salari italiani rispetto a quelli del resto dell’Eurozona. Questo è l’effetto che dovrebbe avere un’uscita dall’Euro, per avere senso: teniamolo a mente, perché non sono convinto che sia chiaro a tutti.
Ora, stabilito che, visti vantaggi e svantaggi, si può legittimamente pensare (io non lo penso, come dicevo) che in astratto per l’Italia sarebbe meglio una nuova valuta sovrana, chiamiamola Fiorino per non fare confusione, perché dico che uscire dall’Euro con la disinvoltura con cui lo propongono certi soggetti sarebbe un lancio senza paracadute? Perché una cosa è che il signor Borghi, o il signor Bagnai, dica che per andare da A a B preferisce il treno anziché l’aereo, e una cosa molto diversa è che, una volta a bordo dell’aereo, si rivolga a un’hostess e le chieda se per favore può aprire il portello perché vuole lanciarsi sulla stazione ferroviaria più vicina, così può prendere il treno.
Intendiamoci: ci sono casi in cui è necessario lanciarsi da un aereo, ma bisogna avere un paracadute e sapere come usarlo, altrimenti ci si rompe il collo. Proviamo quindi ad assecondare gli anti-Euro e a capire cosa bisognerebbe fare per lanciarsi senza rompersi il collo: come si uscirebbe dall’Euro? Qualcuno ha una procedura “sicura” per farlo? Non è facile dirlo. I nostri politici anti-Euro si riempiono la bocca di slogan, e sia Grillo che la Lega propongono in diversa forma un referendum sull’Euro, che è una sciocchezza sia per ragioni istituzionali che, come vedremo, per ragioni “tecniche”. Gli economisti anti-Euro sono meno sprovveduti, e Borghi nel suo “prontuario” per l’uscita dall’Euro esclude un referendum e scrive anzi che chi lo propone (ad esempio il suo partito?) “non vuol cambiare nulla”. Nello stesso documento, Borghi dice en passant che, bontà sua, “le azioni necessarie per cambiare moneta minimizzando i danni non sono semplici”, ma non le espone; per capire quindi cosa bisognerebbe fare per avere almeno qualcosa che somigli a un paracadute, farò riferimento a uno studio molto serio e accurato realizzato un po’ di tempo fa in UK per un concorso indetto da un ricco Lord euroscettico. Si tratta quindi di uno studio per definizione anti-Euro, che dice infatti che ai Paesi periferici tra cui l’Italia converrebbe uscire dall’Euro, e che la cosa è fattibile (d’altronde altrimenti l’autore non avrebbe potuto vincere il premio di 250.000 sterline); fattibile sì, ma vediamo come. Naturalmente il percorso che riassumo qui di seguito non sarebbe obbligato, e ogni fan dell’uscita dall’Euro potrebbe dire che lui ha pensato una via del tutto diversa. Penso però che nessuno abbia la pietra filosofale, e che quindi prendendo vie diverse si incontrerebbero difficoltà diverse ma non minori; consideriamo quindi questo iter come indicativo della complessità del problema.
- La decisione: certamente non si può fare un referendum, anzi, neanche un dibattito parlamentare: la decisione dovrebbe avvenire per decreto governativo (lo dice anche Borghi nel manuale citato: “L’unico modo per riconquistare la nostra sovranità monetaria è per mezzo di un governo democraticamente eletto che agisca velocemente per decreto” (e, ovviamente, che disponga di una maggioranza a prova di bomba per poi convertire in legge i decreti..). È infatti essenziale che tutti i piani sull’uscita siano predisposti in segreto e che il segreto venga mantenuto il più a lungo possibile, per evitare speculazioni, fughe di capitali, ecc. Inoltre, bisognerebbe imporre misure restrittive sui movimenti di capitali prima di avviare la transizione.
- La conversione dei debiti: questo è un punto cruciale vista l’entità del nostro debito pubblico (e non solo). La grande maggioranza dei nostri titoli di debito pubblico potrebbero essere convertiti in Fiorini con una notevole riduzione del loro valore (visto dai creditori esteri: per lo Stato e gli italiani invece il valore dei debiti e il costo per ripagarli resterebbe uguale). Non altrettanto potrebbero fare le grandi aziende che hanno emesso Bond o ottenuto crediti sul mercato internazionale, perché tipicamente quei titoli sono soggetti alla legge britannica. Quelle aziende, che incasserebbero Fiorini “deboli” e avrebbero debiti in Euro “forti”, sarebbero costrette di fatto a fallire o a rinegoziare i debiti. Un articolo del Sole 24Ore sottolinea che 50 tra grandi aziende, banche ed enti locali si troverebbero in queste condizioni. Ne seguirebbero certamente spinosi e costosi strascichi legali (basti pensare che l’Argentina è ancora impelagata in complesse cause legali tredici anni dopo aver dato default); lo studio citato raccomanda di adottare una strategia concordata, almeno con i partner dell’EU, ma questo ovviamente avrebbe un costo addizionale (loro stimano il 4% del PIL, non proprio noccioline).
- La transizione valutaria: sarebbe certamente opportuno fissare un cambio iniziale 1-1 tra Euro e Fiorino. Molti ricorderanno i complessi e costosi interventi che nel 2000 furono realizzati sui sistemi informatici delle aziende per predisporre il passaggio dalla Lira all’Euro: vista anche la necessità di segretezza, sarebbe necessario semplificare al massimo la transizione (ma sarebbe comunque necessario adeguare i sistemi informatici con costi non insignificanti, ritengo). Per emettere banconote e monete in Fiorini, però, ci vorrebbero diciamo quattro-sei mesi, e nel frattempo? I vecchi Euro sarebbero ancora validi come tali, perché ovviamente il resto dell’Eurozona continuerebbe a usarli, e quindi chi li possedesse tenderebbe a conservarli per guadagnare sul cambio; per evitare una corsa agli sportelli bancari per ritirare i depositi in Euro prima che siano disponibili i Fiorini, sarebbe necessario bloccare i prelievi da tutti i conti. La transizione dovrebbe insomma avvenire senza preavviso in un weekend, bloccando tutte le transazioni. Inutile dire che se qualcuno ne fosse informato in anticipo potrebbe convertire i suoi soldi in titoli esteri, quindi l’onestà e la riservatezza del Governo e delle altre parti a conoscenza del piano sarebbero decisive per la sua riuscita.
Lo studio citato suggerisce che per qualche mese si potrebbe in sostanza fare a meno dei contanti in tutte le transazioni tra aziende e in molti casi anche negli acquisti fatti dai privati, che userebbero bancomat o carte di credito (conti correnti e stipendi sarebbero ovviamente convertiti subito in Fiorini). Gli Euro residui potrebbero essere usati come “valuta parallela” come lo sono i dollari in certi Paesi del terzo mondo. È facile immaginare il caos e l’indignazione che ci sarebbero in Italia se per alcuni mesi non ci fosse denaro contante a corso legale, o ci fossero solo Euro come valuta “estera” usata dai fortunati che ne hanno. Soluzioni meno tranchant e più complesse potrebbero forse esistere, ma con costi e complessità aggiuntivi. - La svalutazione e l’inflazione: lo scopo di tutta questa faccenda sarebbe svalutare, ma quale sarebbe l’entità della svalutazione? Lo studio dice che il Fiorino dovrebbe a regime svalutare del 30%, ma è chiaro che subito dopo la conversione ci sarebbe un attacco speculativo che porterebbe a una perdita di valore temporaneamente superiore, diciamo tra il 40% e il 50%. Il costo delle nostre importazioni di tecnologia, energia, materie prime salirebbe corrispondentemente.
E l’inflazione? L’inflazione certamente salirebbe, ma altrettanto certamente molto meno della svalutazione. Sempre secondo il “nostro” studio, l’inflazione salirebbe del 5% (rispetto a quella bassissima attuale) per due anni, conducendo a un aumento dei prezzi interni in Fiorini del 10%. Molto o poco? Onestamente, io sarei più pessimista, ma crediamoci. In ogni caso, sarebbe una riduzione del potere di acquisto di lavoratori a reddito fisso e pensionati. Inoltre, ricorderei che molti beni teoricamente Made in Italy sono in realtà prodotti all’estero, e quelli aumenterebbero di prezzo molto di più. Naturalmente certe categorie di prodotti importati diventerebbero pressoché inaccessibili, e così pure viaggi e vacanze all’estero: l’Italia diventerebbe un Paese molto più chiuso e autarchico, come d’altronde era quando aveva una moneta debole.
Ci sarebbe ancora molto da dire, ma mi pare che basti per delineare il panorama che si creerebbe con un’uscita dall’Euro, fermo restando che nessuno può sapere davvero cosa accadrebbe. Chi ha studiato seriamente la questione in un’ottica favorevole all’uscita, indica un percorso complesso e delicatissimo, che richiederebbe di essere gestito in segretezza e con mano fermissima da un Governo autorevole e integerrimo, dotato di una solida maggioranza e una forte credibilità verso il popolo e verso i partner internazionali. Dopo una difficile transizione che impoverirebbe soprattutto i redditi fissi, l’economia potrebbe ripartire grazie alla domanda estera stimolata dai prezzi più bassi. Infatti, secondo lo studio che ho preso come guida “non politicizzata”, “per far funzionare la svalutazione, sarebbe vitale che gli stipendi [nominali] non crescessero per compensare [l’inflazione]”. Nonostante la svalutazione, potrebbe essere necessario comunque dichiarare default su parte del debito pubblico, perché, dato che le entrate dello Stato sarebbero in Fiorini, non sarebbe comunque semplice pagare il debito, a meno di non stampare valanghe di cartamoneta con effetti inflattivi pesantissimi. Il nostro “stratega” britannico ritiene che l’Italia dovrebbe dichiarare default sul debito, il che avrebbe effetti sui creditori esteri, ma anche e soprattutto sui molti italiani che detengono titoli di Stato.
Infine, cambierebbe il profilo del nostro Paese. Gli italiani comprerebbero meno beni di importazione (inclusi quelli tecnologici), dovrebbero risparmiare molto di più sul consumo di energia, viaggerebbero meno all’estero (mandare un figlio a studiare fuori sarebbe una cosa da ricchissimi), e i loro patrimoni sarebbero più o meno temporaneamente bloccati per impedire una “fuga” di capitali. Saremmo un Paese più autarchico, meta probabilmente di un turismo più numeroso anche da Paesi di media prosperità, ma incapace di “giocare in Serie A” in un mondo in cui la “Serie B” è ferocemente competitiva. Viene da chiedersi: ma davvero qualcuno vuole sperimentare questo paracadute mai usato da nessuno, e “disegnato e cucito” da un Governo “all’italiana”? Davvero ha senso impegnare per un paio d’anni l’intero Paese in un tour de force simile, che non incide su nessuna delle cause reali delle nostre difficoltà economiche? Davvero è impossibile impegnare le nostre energie nella ricerca di efficienza, nelle riforme, nel negoziare con l’Europa non un nostro default ma una maggiore integrazione politica ed economica?
Infine: tutt’altri ragionamenti si dovrebbero fare di fronte a uno scenario di “Euro a due velocità”, che però non sembra tra le possibilità sul terreno.
Risorse:
Ci sono moltissime pubblicazioni e anche molti siti su Internet che discutono questi temi. Ne indico solo alcuni, tra quelli che ho trovato più informativi, senza pretesa di completezza.
Tra gli autori “anti-Euro” o comunque favorevoli all’uscita dell’Italia dall’Euro:
– il blog di Alberto Bagnai, tra i primi e più qualificati oppositori dell’Euro: http://goofynomics.blogspot.it/
– il sito di Claudio Borghi, da me ampiamente citato e forse il più “vocal” tra gli anti-Euro: http://www.claudioborghi.com/
– un blog (in inglese) che spiega piuttosto bene alcune delle dinamiche economiche che giustificherebbero un’uscita: http://www.scoop.it/t/italy-and-the-euro-exit
La maggioranza dei quotidiani di opinione e dei siti specializzati che conosco si è espressa contro un’uscita dall’Euro. Alcuni tra quelli che giudico più validi hanno pubblicato veri e propri dossier sull’argomento, presentando posizioni anche articolate:
– lavoce.info, uno dei siti più validi in campo economico e di analisi politica, ha pubblicato molti interventi: http://www.lavoce.info/tag/euro/
– noisefromamerika, su cui scrivono economisti di orientamento prevalentemente liberista e spesso critici verso le politiche economiche “europee”, ha pubblicato diversi post molto strutturati sul tema Euro, prevalentemente di confutazione delle argomentazioni “Anti-Euro” v. http://noisefromamerika.org/keywords/euro
– tra i quotidiani, il Sole 24Ore ha pubblicato un dossier dalla parte “pro-Euro”: http://www.ilsole24ore.com/dossier/notizie/2014/ragioni-euro//
Infine ci sono alcune voci intermedie. Tra quelle complessivamente critiche verso l’ “istituzione-Euro” segnalo quella dell’economista Luigi Zingales, che non minimizza i difetti dell’Euro né l’avventurosità di un’uscita unilaterale e mal preparata dell’Italia. Vi suggerisco una sua conferenza (in inglese): https://bfi.uchicago.edu/video/luigi-zingales-future-euro e un articolo del Foglio che parla di un suo saggio sull’argomento: http://www.ilfoglio.it/soloqui/23026