Legge 194. Un diritto ipocritamente negato

Capita ogni tanto di leggere, come un po’ di giorni fa, che c’è un’emergenza aborti in un ospedale (chi scrive un titolo così merita di essere radiato dall’albo dei giornalisti), che una donna viene abbandonata in corsia e altre drammatiche spiacevolezze legate all’inapplicazione della Legge 194/1978 che, giusto per essere chiari, si chiama Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza ed ha uno splendido art. 5 che vi propongo integralmente:

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La legge ha più di 35 anni. Il clima era diversissimo e la conquista laica e libertaria dell’interruzione volontaria della gravidanza (IVG) una sorta di miracolo nel clima cattolico che si respirava in Parlamento, e dobbiamo ringraziarne Pannella e i radicali che alla fine votarono contro perché ritenevano la legge troppo limitata e restrittiva.

Ciò che forse non si sa sufficientemente è la limitata possibilità di applicazione della 194 a causa dell’obiezione di coscienza che il personale sanitario e ausiliario può invocare a norma dell’art. 9. Impensabile all’epoca non introdurre possibilità di questo genere, ma la sproporzionata e spesso strumentale “obiezione” sono causa di disagio, discriminazione sociale, mancata tutela della salute della donna, ricerca di soluzioni terze a volte illegali e – fortunatamente in casi rari – morte. Diamo un’occhiata da vicino. La più recente “Relazione annuale del Ministro della Salute” sull’applicazione della 194 riporta dati definitivi del 2011 e provvisori del 2012 (Relazione non sempre esente da critiche sull’affidabilità dei dati). Innanzitutto apprendiamo che, dopo un picco di IVG negli anni immediatamente successivi all’entrata in vigore della legge (con l’emersione nella legalità di tantissimi aborti prima praticati illegalmente e senza sicurezza), dai primi anni ’80 il fenomeno è in costante diminuzione (all’epoca gli antiabortisti profetizzavano il contrario):

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inoltre l’Italia presenta un tasso di abortività sostanzialmente basso in confronto agli altri Paesi europei:

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La Relazione è molto completa e se vi interessa la potete scaricare; qui salto al paragrafo finale sull’obiezione di coscienza dal quale estrapolo:

Dopo un aumento degli ultimi anni, nel 2011 si evince una stabilizzazione della percentuale degli obiettori di coscienza che, specie fra i ginecologi, mantiene livelli elevati (più di due su tre). […] Fin dai primi anni di attuazione della Legge 194 il personale sanitario ha esercitato in percentuali elevate il diritto all’obiezione di coscienza (pagg.40 e 41).

Vediamo i dati:

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In Italia abbiamo 2 obiettori su 3 (nel complesso del personale addetto, e con differenze interne fra ginecologi, anestesisti etc.) ma soprattutto una disparità territoriale impressionante. Mentre in poche Regioni gli obiettori sono calati, mantenendosi comunque su livelli considerevoli (Valle d’Aosta a parte), in molte del Sud sono cresciuti fino ad arrivare ad oltre l’80% (quasi 90 in Campania) provocando, fra l’altro, il fenomeno della migrazione per aborto da Regioni in cui è quasi impraticabile ad altre con strutture disponibili.

Nel complesso, la Relazione può concludere che

Il numero globale dei ginecologi che non esercita il diritto all‟odc è quindi sempre stato congruo al numero degli interventi di IVG complessivo

e rimarca come

Eventuali difficoltà nell’accesso ai servizi, quindi, sono probabilmente da ricondursi a una distribuzione non adeguata degli operatori fra le strutture sanitarie, all’interno di ciascuna regione. A tale proposito si ricorda che l’art.9 della Legge 194/78 dispone che: “Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure previste dall’art.7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5,7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale”.

Tutto ciò premesso questa situazione non mi sembra garantire adeguatamente, in tutta Italia, in tutte le strutture pubbliche, un diritto sanitario sancito da una legge dello Stato anche perché c’è più di un sospetto che i dati reali siano molto più drammatici di quelli rilasciati dal Ministero, almeno a dar retta alla LAIGA, l’associazione dei ginecologi non obiettori, che riferendosi alla precedente relazione dichiara, rivolgendosi al Ministro:

Nella Sua relazione Lei ci parla di una stabilizzazione generale del fenomeno dell’obiezione di coscienza, che nel 2010 è stata sollevata dal 69,3% dei ginecologi italiani; i dati in nostro possesso, nati dalla necessità di verificare la sensazione dell’esistenza di uno “scollamento” fra i dati ufficiali e quelli reali, fotografano una situazione molto più grave: la percentuale di obiettori nel Lazio è pari al 91,3% del totale dei ginecologi delle strutture ospedaliere pubbliche; sempre nel Lazio, su 31 strutture pubbliche, ben 9 non dispongono di un servizio di pianificazione familiare e non praticano aborti, e in ben tre provincie del Lazio non si eseguono aborti terapeutici, in assoluta inadempienza proprio di quell’art.9 della legge che disciplina la possibilità di sollevare obiezione di coscienza (Fonte).

Quali sono le cause dell’obiezione di coscienza all’IVG? Semplificando ne vedo solo due: la prima può apparire in qualche modo giustificabile (ma leggendo più avanti comprenderete che non la ritengo tale) mentre la seconda è spregevole. La prima riguarda un reale conflitto di coscienza, per esempio da parte di ginecologi cattolici; occorre ricordare che la Chiesa è sempre stata intransigente, e anche Papa Francesco, tanto innovativo sul piano della comunicazione e della politica interna della Chiesa, ha definito “abominevole” l’aborto. Ma anche un bambino capisce che questa è una ragione profonda per pochi, e una scusa opportunistica per molti. I cattolici praticanti e inclini ad accettare integralmente i dogmi della Chiesa non sono, in Italia, il 69% (percentuale degli obiettori come scritto precedentemente) ma molti, moltissimi di meno: secondo una recente indagine i cattolici praticanti in Italia sono il 44% ma, leggendo i dati analitici (li trovate riassunti QUI) capite che sono in numero inferiore quelli che partecipano ai riti, pregano tutti i giorni e così via e quindi, presumibilmente, sono sensibili in maniera stretta alle parole del Papa e obbedienti agli insegnamenti della Chiesa. D’altronde, malgrado la possente mobilitazione cattolica, il referendum del 1981 che voleva abrogare l’aborto fu perso con il 68% di votanti (votò il 79% degli aventi diritto) che si dichiarò favorevole al mantenimento della legge; ed era il 1981. Insomma: o si trova una spiegazione antropologica della ragione che vede i cattolici osservanti in così esagerata sovrarappresentazione fra i ginecologi, oppure la verità è in larga parte un’altra: l’opportunismo. Quello di non fare un lavoro ritenuto sgradevole e squalificante, quello di compiacere gerarchie accademiche che altrimenti non fanno fare carriera, quella semmai di veicolare pazienti in altre strutture compiacenti. Queste cose sono poco scritte e documentate ma ben conosciute da chi lavora nel settore.

Perché l’obiezione di coscienza non è accettabile:

  1. molte professioni implicano elementi spiacevoli per chi le pratica; ciò non di meno vi è un diritto generale che impone al tassista di prendere a bordo anche una persona antipatica, al giornalaio di vendere giornali che non gli piacciono, a tutti i dipendenti pubblici di applicare norme che non approvano o al militare di sparare sui nemici senza appellarsi a “obiezioni”. Se quindi l’obiezione aveva senso, nel 1978, per chi era già nel Servizio Sanitario Nazionale, non dovrebbe averne per chi decide ex novo di intraprendere la carriera medica alla luce delle leggi dello Stato cui sa di doversi adeguare;
  2. il Comitato Europeo dei Diritti Sociali ha recentemente accolto un esposto dell’IPPF EN (International Planned Parenthood Federation European Network) contro l’Italia per una violazione dell’art. 11 della Carta Sociale Europea per mancata garanzia dell’accesso al’interruzione di gravidanza dovuta appunto all’enorme numero di obiettori;
  3. l’obiezione di coscienza non può estendersi alla cosiddetta “pillola del giorno dopo” e i medici che rifiutano di prescriverla possono essere denunciati; l’argomento è pertinente perché si tratta di casi sporadici ma reali che riflettono un atteggiamento prevaricatore, oltre che illegale, che ci introduce al paragrafo finale di questo articolo.

La tutela delle minoranze in uno Stato laico. Sto pensando alla minoranza dei cattolici strettamente praticanti e rigorosamente osservanti la dottrina sociale e familiare della Chiesa. Che siano minoranza è certo e qualche dato l’ho fornito sopra, e vanno indiscutibilmente tutelati. Ma la divisione necessaria e imprescindibile fra Stato e Chiesa impone una visione laica del mondo e una gestione liberale delle norme che tutelano i cittadini. Mentre l’obiezione di coscienza limita, in certi casi drammaticamente, la libera scelta delle donne, la 194 non limita in nessun caso la concezione cattolica di tutela della vita e il rifiuto dell’aborto come scelta personale delle donne cattoliche. È storia vecchia, e nota, e fin troppo ribadita: una legislazione laica, aperta, tollerante (divorzio, aborto, ma anche matrimoni gay e fecondazione eterologa) non impone ma, semplicemente, consente. I cattolici integralisti, soggettivamente custodi di una Verità rivelata, sentono come dovere quello di imporla a tutti, per la salvezza eterna delle persone e maggior gloria di Dio. Ma questa è una concezione violenta di religione, antistorica e perdente, non dialogica e intollerante. La strada dei diritti civili individuali non può essere limitata da dogmi obsoleti e minoritari.