Gli espatriati italiani scelgono Londra

Se è vero che la crisi di questi ultimi anni ha messo particolarmente in difficoltà le famiglie italiane, come abbiamo già discusso in precedenti post sull’impoverimento dei lavoratori della classe media e sull’incremento della disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza, non può sorprendere la notizia del rilevante aumento degli italiani che decidono di espatriare. Molti di noi, penso, conoscono persone che negli ultimi anni hanno deciso di trasferirsi all’estero, per un periodo o per sempre.

La conferma viene dai dati dell’AIRE, che gestisce l’anagrafica degli italiani residenti all’estero, e che ha rilevato un fortissimo incremento degli espatriati (+19% nel 2013). Se il fenomeno è piuttosto impressionante da un punto di vista quantitativo ma non sorprendente, analizzando i dati in maggior dettaglio emergono elementi tutt’altro che scontati e che invitano a una riflessione.

Infatti, verrebbe naturale pensare che a espatriare siano prevalentemente italiani provenienti dalle aree più economicamente depresse del nostro Paese, dove la disoccupazione, specie giovanile, è elevatissima. La realtà è diversa, però: al primo posto tra le provenienze degli espatriati c’è la Lombardia, seguita da Veneto e Lazio, che nel 2013 ha visto un incremento dei partenti addirittura del 37,9%. Si tratta di regioni che, pur avendo visto crescere il tasso di disoccupazione negli ultimi anni, non sono certamente quelle che offrono meno opportunità. Naturalmente la Lombardia è anche la regione più popolosa d’Italia, ma Veneto e Lazio sono meno popolose della Campania, che pure si trova al settimo posto di questa classifica di “emigranti”.

In realtà, l’identikit degli italiani che vanno all’estero sta modificandosi sempre più verso un profilo di giovani (la fascia under 40 ha avuto nel 2013 un incremento del 28,4%, molto più alto di quello medio complessivo) dotati di istruzione superiore. Inutile dire che questo comporta per l’Italia un duplice depauperamento: la perdita di decine di migliaia di giovani, e la dispersione delle risorse economiche che erano servite per farli studiare. Secondo l’OCSE, solo nel 2008 l’Italia ha perso l’equivalente di 170 milioni di Euro a causa del brain drain, la fuga all’estero di laureati la cui formazione universitaria costa cara alla collettività; e dal 2008, come abbiamo visto, il numero di espatriati è rapidamente cresciuto.

Anche l’analisi delle destinazioni scelte dai nostri connazionali riserva qualche sorpresa. La Germania, infatti, è stata superata come destinazione preferita dalla Gran Bretagna, con un vertiginoso aumento del 71,5% di expats in un solo anno. Eppure il tasso di disoccupazione in UK è leggermente più alto che in Germania, e la paga oraria lorda media è più alta in Germania (v. i dati Eurostat); peraltro, se è certamente vero che il fattore linguistico rende più agevole cavarsela a Londra rispetto a Berlino, questo dato certamente non è cambiato nell’arco degli ultimi anni. Forse i nostri giovani connazionali fuggono dall’Euro?

La mia opinione è diversa: credo che i nostri giovani, specialmente quelli laureati e in grado di affrontare un ambiente di lavoro internazionale, cerchino un contesto altamente meritocratico, lontano da una burocrazia statale percepita come paralizzante, e dove le opportunità di lavoro di qualità siano aperte anche a chi viene da fuori, purché adeguatamente qualificato. Non cercano welfare, che sicuramente è più garantito nell’Europa continentale, ma uno Stato “leggero”, tasse basse e competizione. Uno studio britannico dimostra che in UK un’azienda su sette è stata fondata da immigrati, e che il 17% degli immigrati ha fondato un’impresa propria, rispetto al 10,4% dei nati in UK. Insomma, in UK le barriere all’iniziativa imprenditoriale sono relativamente basse, e non discriminano gli stranieri.

Infine: da quello che abbiamo detto dobbiamo concludere che i giovani meridionali, che rispetto a qualche tempo fa “pesano” meno nel computo dell’emigrazione, se ne rimangano a casa nonostante l’iperbolico tasso di disoccupazione giovanile che affligge il Sud? No. La verità è che, come documenta l’Istat, è in forte aumento anche la migrazione interna, dal Sud al Centro-Nord, e Campania e Calabria hanno i saldi negativi di popolazione più accentuati. Lo scenario che sembra presentarsi è insomma quello in cui nel Centro-Nord si accentua notevolmente la migrazione verso l’estero, con preferenza verso la Gran Bretagna, mentre al Sud aumenta la migrazione interna verso il Centro-Nord: le città meridionali si spopolano, Napoli e Palermo tra il 2001 e il 2011 hanno perso oltre il 4% degli abitanti, e il 25% dei laureati del Sud preferisce cercare fortuna al Nord.

Trasferirsi all’estero sta insomma progressivamente diventando la scelta elettiva di persone con formazione elevata, provenienza da contesti socio-economici in cui la cultura d’impresa è tuttora viva, fiducia nelle proprie capacità professionali, desiderio di mettersi alla prova in un ambiente cosmopolita e dove vige (o si presume che viga) il fair play. I giovani del Sud spesso preferiscono l’opzione alternativa di “fermarsi” al Nord anziché lasciare l’Italia, ma anch’essi abbandonano massicciamente la loro terra. Certamente, la somma dei due fenomeni è l’eloquente fotografia delle enormi difficoltà in cui oggi si trovano i nostri giovani migliori.