Lo scontro di civiltà prossimo venturo, anzi già attuale

Anche se famoso come titolo, e per ciò stesso equivocato e spesso ridotto a slogan, il testo di Huntington presenta elementi di attualità importanti. In questo post non voglio fare l’esegesi di Clash of Civilizations, e i lettori interessati troveranno in coda il testo originale dell’articolo del 1993; l’idea dell’Autore ha ricevute diverse e corrette critiche a svariate semplificazioni ed errori che – secondo alcuni commentatori – non ne minano però l’apparato concettuale fondamentale. È a partire dalle intuizione di Huntington che vorrei osservare come il binario storico imboccato dalla “civiltà” (permettetemi di utilizzare il termine di Huntington, anche se discutibile) islamica sia ormai decisamente in rotta di collisione con quello Occidentale.

Il fondamento della civiltà Occidentale si sviluppa, da Platone e Lucrezio fino ad oggi, sull’idea del pensiero come fonte della ragione, e quindi sulla logica come base della relazione fra persone e fra queste e il mondo, e quindi sulla razionalità empirica come sviluppo delle scienze. Questa continuità ideale non poteva non condurre alla separazione fra sfera divina e sfera umana, e quindi, semplificando, fra Stato e Chiesa, che trova antecedenti rilevanti alla classica datazione dell’Illuminismo francese e può trovare un suo straordinario campione in Spinoza (1600). Ciò che in Occidente consideriamo “modernità”, sia in senso tecnologico che in senso sociale, deriva da questa storia millenaria. Oggi, con tutte le sue enorme contraddizioni, la persona occidentale considera normale usare uno smartphone in quanto accesso alla libera informazione; lavorare nell’ovvio rispetto della parità di genere (e sono sempre più sanzionati i comportamenti ostili alle donne); vivere in un ambiente multiculturale dove solo minoranze (per quanto rumorose) difendono antiche identità. La modernità non è quindi espressa dalle tecnologie, ma da un orizzonte di valori che, fra le altre cose, include anche l’uso delle tecnologie, ma è sostanzialmente un orizzonte plurale, progressivo e liberale in suo significato molto esteso e generale.

Qualcosa di simile accade anche in alcune delle altre civiltà tratteggiate da Huntington: quella cristiano ortodossa massicciamente presidiata dalla Russia, quella cinese, quella declinante giapponese, in parte quella indù, con contraddizioni quella diversificata latino-americana condividono, con l’occidentale, l’idea di progresso sociale, culturale e tecnologico ed elementi di liberalismo politico (dove più dove molto meno), in alcuni casi anche di liberalismo sociale e certamente di liberalismo economico. In Cina per niente liberalismo politico e in Russia poco; in India poco liberalismo sociale; ma è facile vedere rapide evoluzioni, diciamo negli ultimi due decenni, che fanno convergere, per esempio, Brasile, Cina e India verso modelli specifici, differenti, ma compatibili con quello occidentale.

Huntington-CivilizationsRestano fuori, rispetto al panorama di Huntington, Africa e Islam. Mettiamo tra parentesi la prima e concentriamo l’attenzione sull’Islam per osservare come le profonde diversità, facilmente riscontrabili, siano così rappresentabili:

  • non esiste al mondo un Paese islamico con una democrazia paragonabile a quelle occidentali; l’unica eccezione è stata per decenni la Turchia disegnata da Atatürk e sostenuta dalle baionette del suo potente esercito; ma alla lunga, malgrado l’élite intellettuale filo-europea, la Turchia è tornata al regime islamico di Erdoğan, illiberale, repressivo e progressivamente più anti-occidentale;
  • oltre la Turchia, l’esempio dell’Egitto è eclatante: per decenni regime dispotico militare, rovesciato nella cosiddetta “primavera araba” per instaurare una democrazia islamica regolarmente eletta e poi rovesciata a furor di popolo per tornare l’anno dopo, sempre con una democratica elezione, e rimettere a capo del popolo un militare che farà rimpiangere Mubarak. Sembra insomma che la strada del dialogo e della mediazione tipiche delle democrazie occidentali sia pressoché impossibile nei paesi islamici: o regimi islamisti, o regimi militari vagamente (e opportunisticamente) più filo-occidentali; o tutto-tutto, o niente-niente;
  • la ragione di questa polarizzazione è la religione; senza fare un lungo discorso sul rapporto che tutte le religioni hanno col potere, sintetizzo segnalando che le tre religioni abramitiche sono particolarmente feroci verso gli infedeli. La religione cristiana non di meno di quella islamica, se non che ha smesso con le crociate alla fine del 1200 e ha bruciato le ultime streghe nel 1600 (inizio rilevante della distinzione fra stato e chiesa, come ho scritto sopra). La religione ebraica è stata pure particolarmente feroce in passato, ma salvo residui fondamentalisti-sionisti non si può parlare di ferocia da molti secoli, grazie anche al fatto che questa religione elitaria, a differenza delle due consorelle, non ha alcuna intenzione di fare proseliti, il dio è il loro e gli altri vadano per la loro strada (il discorso che sto facendo non c’entra col conflitto israelo-palestinese in corso), mentre i cristiani, e ancor più i musulmani, non sopportano che esistano infedeli, miscredenti e apostati;
  • ragioni storiche troppo lunghe da sviluppare qui hanno condotto la civiltà occidentale verso lo sviluppo liberale e quelle islamiche verso il dispotismo teocratico; da un lato la tecnologia e dall’altro la fede; da un lato la democrazia e dall’altro il califfato, se mi passate queste iper-semplificazioni; fino alla fine dell’’800 questi due mondi si sono potuti ignorare: ora non più;
  • è accaduto che l’occidente ottuso e imperialista è dilagato anche in Nord Africa e Medio Oriente creando le premesse per un senso identitario costruito attorno all’Islam e che, con la caduta dei blocchi, ha avuto via libera di manifestarsi accumulando un risentimento fondato su presupposti medioevali ma armato da armi tecnologiche moderne.
Fonte: The Economist

Una delle critiche allo Scontro di civiltà riguarda il fatto che non esiste un Islam ma molti, e spesso ferocemente in lotta l’uno contro l’altro come vediamo in questo periodo in Siria, in Iraq e non solo; questo non è meno vero nelle altre religioni, cristiana in primis (ma, anche qui; i cristiani al massimo a colpi di scomunica, gli islamici a colpi di mortaio) ma come ha osservato, per esempio, Stefano Magni, c’è sempre la compattazione di tutti gli arabi contro le offese occidentali:

la guerra in Cecenia (tutto il mondo musulmano ha solidarizzato con i ceceni contro la Russia), la Primavera Araba (vittoria di partiti islamici e anti-occidentali liberamente eletti dai popoli locali), le proteste arabe contro vere o presunte “offese” occidentali (la lezione a Ratisbona di Papa Benedetto XVI, le vignette su Maometto e il video amatoriale che sbeffeggia il Profeta).

Ciò accade – per inciso – all’interno di ognuna delle “civiltà in funzione delle altre, e Magni ne fa diversi esempi e a lui rimando.

L’insieme delle condizioni molto sommariamente rammentate sopra trova sintesi, in questi ultimissimi anni e mesi, nel crollo di diverse nazioni islamiche (Libia, Siria, Iraq) e nella forte crisi di altre (Egitto, Turchia); il vuoto viene riempito da frange estremiste jihadiste che sono insieme concausa ed esito delle crisi. La recente proclamazione del califfato dell’Iraq e del Levante si annuncia come nuovo livello di tensione fra le frange islamiche della zona ma anche, in prospettiva, come modello preoccupante del precipitare di tutte le crisi mediorientali nel buco nero jiahidista. Se questo avvenisse lo stato di Israele conoscerebbe un conflitto minaccioso per la sua sopravvivenza; ciò renderebbe inevitabile l’intervento occidentale che non può perdere quel presidio nello scacchiere; e la spirale arriverebbe all’inevitabile epilogo di sostanziare con le armi almeno un pezzo rilevante di quello scontro di civiltà descritto da Huntington.

Va infine rilevato come molte delle altre civiltà abbiano analoghi problemi. Il blocco cristiano ortodosso, pur diffidente verso quello cristiano, ha un fortissimo problema con gli islamisti ceceni; la Cina ha un crescente problema con la minoranza islamica Uiguri; gli indiani coi Pakistani e le minoranze islamiche interne. Quello che si può intravedere, nell’inasprirsi del conflitto jihadista, è un’alleanza, o un supporto, o una reciproca tolleranza nell’eventuale scontro armato anti-islamista.

Non ho trattato dell’Africa. A me pare che l’infezione jihadista qui trovi un terreno fertile per una rapidissima espansione; nel disinteresse generale l’Africa è attualmente attraversata da guerre, conflitti armati e bande terroristiche in ben ventiquattro stati con 147 milizie coinvolte (QUI l’elenco dettagliato); una gran parte di questi conflitti hanno una matrice islamista e la diffusione delle zone coinvolte è rapidissima e apparentemente inarrestabile.

A questo punto occorre solo sperare che le élite moderate dei paesi islamici riescano a imporre la ragione sopra le frammentate fazioni estremiste, e che il processo verso una modernità qualunque (non il modello occidentale, una modernità islamica) sia assolutamente più rapido di quanto al momento non appaia; ma ad essere sinceri dubito fortemente che ciò possa accadere. L’epoca delle avventure militari è fortunatamente finita (viste anche le conseguenze nefaste) e né gli Stati Uniti né altre potenze oggi possono pensare di affrontare rischi, costi e conseguenze di un intervento in Siria, in Iraq o in Nigeria. Ciò che accadrà sarà ciò che accadrà; l’occidente guarda (vende un po’ di armi) e aspetta l’epilogo che sembra, ineluttabilmente, dare ragione a Huntington .

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