Cameron ha vinto ed entro un paio d’anni manterrà la promessa del referendum per restare in Europa (non già nell’Euro dove non sono mai entrati, “semplicemente” nell’Unione Europea). Gli inglesi son fatti così, hanno una gloriosa storia di Dominion e in quest’Europa sono sempre stati stretti e l’idea di uscire dall’Unione vellica la parte più tradizionalista e conservatrice d’Oltremanica. Ma possono farlo? Intendo dire: possono stabilire d’averne abbastanza, smettere di rinnovare la tessera del club e farsi gli affari loro così, leggermente e impunemente? La risposta sembra essere “No”. L’uscita del Regno Unito dall’Unione comporterebbe problemi per chi resta (quindi anche per noi italiani) e problemi ancora più grossi per loro. Ed è veramente interessante osservare come queste analisi (di cui vi faccio breve sommario qui) non contano nulla visto che il referendum non riguarderà la testa dei britannici ma la loro pancia, come equivalenti manovre politiche italiane (promosse da Grillo o Salvini), francesi (promosse da Le Pen) e ovunque; i problemi sono sempre così complessi, interrelati fra loro, spesso specialistici, che la casalinga di Southampton non ha tempo, voglia e capacità di affrontarli e preferisce le semplificazioni: contro gli italiani che rubano il lavoro e schiamazzano fino a notte fonda, contro l’obolo europeo che sottrae risorse ai bravi sudditi della Regina (più di 8,6 Miliardi nel 2014 – 0,5% di PIL), che poi le questioni sembrano essere le medesime a tutte le latitudini.
Cosa comporterebbe invece, per i britannici, l’uscita dall’Unione Europea? Non pochi problemi secondo un serio studio di Ulrich Schoof e altri che conclude:
If the United Kingdom (UK) exits the EU in 2018, it would reduce that country’s exports and make imports more expensive. Depending on the extent of trade policy isolation, the UK’s real gross domestic product (GDP) per capita would be between 0.6 and 3.0 percent lower in the year 2030 than if the country remained in the EU. If we take into account the dynamic effects that economic integration has on investment and innovation behavior, the GDP losses could rise to 14 percent. In addition, it will bring unforeseeable political disadvantages for the EU – so from our perspective, we must avoid a Brexit.
La differenza fra un serio -0,6 e un drammatico -3,0% di perdita di PIL (entro il 2030) dipenderebbe dalle politiche più o meno isolazionistiche scelte dalla Gran Bretagna (o alle quali potrebbe essere costretta) che avrebbe effetti su tutti gli altri paesi dell’Unione: quasi altrettanto drammatico per l’Irlanda (-0,82/-2,66%), molto basso per l’Austria (-0,05/-0,18%) e in generale comunque significativo per l’Unione (-0,10/-0,36%). Anche le stime di Open Europe vanno nella medesima direzione: -1,6/-2,2% nel 2030 a seconda di scenari migliori (con accordi commerciali) o peggiori (protezionisti); infine Ottaviano e altri del Center for Financial Studies stimano la perdita fra -1,13 e -3,09% negli scenari ottimista/pessimista. Non deve stupire la differenza di valori proposti dovuti, evidentemente, ai metodi di calcolo, tutti estremamente interessanti per gli studiosi e i valutatori. In ogni caso, nel complesso dei tre studi citati, nel 2030 il Regno Unito, a causa delle conseguenze commerciali della sua uscita dall’Unione, perderebbe fra l’1% e il 2,5-3% del suo PIL. Come sottolineano Schoof e altri anche nel caso migliore la perdita non sarebbe compensata dal risparmio del contributo al budget europeo.
Oltre a questa perdita economica occorre aggiungere altri fattori meno misurabili quali l’inevitabile delocalizzazione di molte agenzie economico-finanziarie extra-europee (fonte); un crollo imprenditoriale dovuto a scelte di sviluppo che hanno puntato ai servizi non più spendibili in Europa a fronte di manifatture non più facilmente importabili (fonte); difficoltà aggiuntive nei rapporti con l’Irlanda (fonte); perdita di leadership internazionale perché oggi l’isolamento non paga, e c’è la possibilità che gli ex partner europei intendano punire l’arroganza britannica favorendo lo sviluppo degli scenari peggiori (con corrispondenti vantaggi per loro). Insomma, oltre ai calcoli commerciali occorre mettere in conto molte e diverse conseguenze che in combinato disposto potrebbero veramente assumere un rilievo importante, in negativo.
Cosa comporta per gli europei l’uscita dell’UK. Innanzitutto il pagamento aggiuntivo della parte di budget perso stimato, per l’Italia, in 1.384 milioni che non sono pochi.
Ma poi un tremendo colpo alla credibilità per il progetto europeo che perderebbe un socio strategico nonché punta di diamante diplomatica e militare. Indipendentemente da questi elementi e restando sul piano della pura economia, gli impatti dell’uscita dell’UK dall’Unione sarebbero disastrosi secondo i due terzi di 2.600 manager europei intervistati, mentre una percentuale notevolmente minore è preoccupata per l’eventuale uscita della Grecia dall’area Euro. Secondo Sacha Romanovitch
The UK has a great history of being a facilitator of trade and is a gateway into Europe and the rest of the world. For American businesses, there is nervousness about doing business in Europe, and there tends to be a trust and certainty when you come to Europe through the UK.
In conclusione, malgrado la possibilità di recesso dall’Unione contemplata dal Trattato di Lisbona (art. 50), è ovvio che la situazione, nei decenni, è maturata in una determinata maniera tale da rendere non semplice questa decisione, sia per piccoli Paesi come la Grecia (che in verità alcuni temono più della Brexit) sia, probabilmente a maggior ragione, per economie complesse come quella britannica. La casa che come europei ci siamo costruita può essere – ed è – piena di difetti, farraginosa, dispendiosa, impaludata in una burocrazia spesso ottusa, ma la scelta più razionale è andare avanti ponendo rimedio agli errori, e non tornare indietro soddisfacendo l’emotività del momento. Nella storia non si torna mai veramente indietro; l’illusione di tornare “indietro” (a tempi immaginati felici) nasconde la realtà di un “avanti” semplicemente diverso e più oscuro. Per questo i negoziati fra Cameron e UE per rimanere in seno all’Unione, sono di fatto già iniziati.