Pandemie e, più in generale, malattie infettive sono al centro dei discorsi oggi più che nel passato. Il modo in cui i media trattano l’argomento è spesso più incline al sensazionalismo che alla cronaca tanto da risultare allarmante e, a volte, grossolano. L’effetto che tutto ciò ha sulla nostra percezione del fenomeno è quello di indurci a percepire come eccezionale qualcosa che, in realtà, è assai più naturale di quanto crediamo. D’altro canto, siamo abituati a collegare il termine pandemia alla morte, in tempo breve, di un gran numero di persone. Si tratta di un’eventualità certamente terrificante, soprattutto alla luce del limitato controllo che l’uomo ha e può avere sull’insorgenza di una nuova malattia.
Cos’è una Pandemia?
|Pandemia|, dal greco pan-demos, “tutto il popolo”.
Il termine stesso suggerisce qualcosa che è in grado di diffondersi a più aree geografiche del mondo, a differenza di un’epidemia che avrebbe per sua natura diffusione limitata ad un gruppo umano omogeneo, abitante una data regione e con la stessa origine. Generalmente, una pandemia presenta un elevato numero di morti e casi gravi, si tratta di qualcosa di aggressivo o, comunque, in grado di spostarsi con facilità.
Perché si parli di pandemia non basta che ci sia un gran numero di malati. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stabilisce tre condizioni perché una patologia possa evolversi in una pandemia:
- Bisogna trovarsi dinanzi ad un nuovo agente patogeno: una nuova malattia ha più possibilità di trovare i potenziali ospiti “impreparati”. Se un patogeno non è mai stato presente in natura prima, nessuno avrà avuto modo di sviluppare anticorpi per difendere se stesso e gli altri.
- Il patogeno deve essere in grado di sviluppare una patologia grave, non un banale raffreddore per intenderci, e deve essere pericolosa per l’uomo: un concetto un po’ egoistico, ma come è logico tendiamo a preoccuparci in maniera maggiore di ciò che ci tocca da vicino.
- L’agente deve essere in grado di diffondersi per contagio e anche piuttosto rapidamente: più rapido è il contagio, più rapida sarà la diffusione della malattia prima che si riesca a trovare una soluzione.
Fermo restando la distinzione operata, per semplificare il testo e renderlo più familiare al lettore useremo i due termini (pandemia ed epidemia) come sinonimi.
Le grandi epidemie non sono un fenomeno strettamente attuale, le prime testimonianze a riguardo risalgono addirittura al 430 a.C., quando in Grecia si combatteva la Guerra del Peloponneso. Quattro anni furono sufficienti alla febbre tifoide per uccidere un quarto della popolazione ateniese, soldati inclusi.
In alcuni, e più misteriosi, casi la vera causa delle epidemie non è stata mai chiarita. Ne è un esempio la “malattia del sudore”, così chiamata per via della forte sudorazione indotta dall’infezione. Diffusasi a cavallo tra 1400 e 1500, fu talmente contagiosa e mortale da uccidere in poche ore. Falcidiò numerose vite in quel periodo per poi scomparire spontaneamente e non ripresentarsi. Ad oggi, pur conoscendone i sintomi, non abbiamo indicazioni riguardo l’agente eziologico o la via di contagio.
Nei secoli l’uomo ha ben appreso come le malattie infettive siano in grado di comparire improvvisamente, decimando intere popolazioni, per poi sparire in modo altrettanto naturale, a tratti incomprensibile, e ripresentarsi anche diversi anni dopo, magari in modo solo leggermente diverse.
Le epidemie hanno mantenuto sempre un andamento di tipo altalenante interrotto, sostanzialmente, soltanto in due momenti: tra il 18° e il 19° secolo, periodo di grande innovazione tecnologica e scientifica che ha portato allo sviluppo dei primi sistemi sanitari veri e propri, e poi alla fine del 20° secolo, in cui nuove e terribili malattie hanno fatto capolino rendendo, di fatto, insufficiente quanto realizzato fino a quel momento. Analizzando la prima discontinuità, 1700 e 1800, possiamo ricondurre l’improvvisa e progressiva riduzione delle epidemie alla nascita di importanti concetti quali l’igiene pubblica e la vaccinazione collettiva. Di fatto, le malattie infettive hanno iniziato ad essere meno frequenti e meno pericolose solo nel momento in cui si è iniziato a pensare alla salute come qualcosa di legato alla collettività e non all’individuo, un concetto a cui dovremmo prestare maggiore attenzione anche al giorno d’oggi.
Il “ritorno di fiamma” delle epidemie si è avuto, come già detto, alla fine del 20° secolo. Legittimo è domandarsi a quale grosso cambiamento sia imputabile tutto ciò. Per quanto la mente tenda a suggerirci il contrario, l’insorgenza di nuove patologie è un fenomeno del tutto naturale: così come evolvono gli organismi complessi, ad un ritmo per noi difficile da osservare, anche i patogeni sono in grado di evolvere e, grazie ai ridotti cicli vitali di cui dispongono, riescono a farlo molto più in fretta di noi. Cinicamente parlando, non siamo altro che vecchi mammiferi il cui sistema immunitario non sa stare “al passo coi tempi”. Accanto al fenomeno naturale, comunque rilevante, il cambiamento più importante avvenuto tra il 1900 ed oggi è relativo all’aumento dei collegamenti tra gli stati. Il ruolo degli spostamenti umani nella disseminazione delle malattie è noto fin da sempre, esistono trattati di storia delle pandemie che raccontano il ruolo svolto dalle carovane di pellegrini e di soldati nella disseminazione delle più svariate forme infettive. L’affermarsi del trasporto aereo, in grado di rendere brevi distanze, di fatto, immense, non ha fatto altro che amplificare questo processo.

La mappa qui sopra mostra qualcosa di impressionante: sono bastati meno di 100 anni per mettere in collegamento ogni parte del mondo. Un viaggiatore può portare con sé microrganismi, contrarre patologie all’estero per poi tornare casa durante il periodo di incubazione, accompagnato da un insolito souvenir; può anche fare l’esatto contrario, portando microrganismi endemici della madrepatria nei luoghi che intende visitare ed esponendo così le popolazioni locali a potenziali patologie che non hanno mai conosciuto prima. Se estendiamo, poi, il discorso a patologie trasmesse per mezzo di vettori, come per esempio la malaria, la situazione si complica ulteriormente: non solo il movimento dei viaggiatori può diffondere la malattia, bensì anche quello dei vettori. Ne sono un esempio lampante i casi di “malaria da aereoporto”, ossia l’infezione di persone che non si sono mai recate fisicamente in luoghi in cui è presente la malattia. Per i più curiosi, si parla di alcuni casi di airport malaria qui.
Non trascurabile neppure l’aumento dei movimenti anti-vaccinisti complici del ritorno di numerose patologie quasi debellate nei decenni passati. Un caso estremo è rappresentato dalle funeste previsioni sull’Africa dove, nel corso dell’epidemia di Ebola, le vaccinazioni contro il morbillo sono state sospese.
Andamento delle epidemie negli ultimi anni
Cosa sta accadendo negli ultimi anni? L’aumento delle epidemie è solo una percezione o è qualcosa di reale?
In effetti, c’è un aumento del numero di epidemie, ma abbiamo anche visto che gli spostamenti umani hanno un ruolo importante nella diffusione delle malattie. C’è ancora un fattore di cui non abbiamo tenuto conto: alcune delle malattie che diventano pandemiche sono zoonosi. Si tratta di patologie che possono essere trasmesse dagli animali all’uomo. Sono proprio queste patologie quelle più inclini a diffondersi, attraverso lo spostamento degli animali dalle fattorie ai luoghi di mercato o ad altre aziende.
Come si evince dal grafico negli ultimi vent’anni il numero di epidemie si è addirittura triplicato. Insieme al numero di singoli eventi epidemici (a), è andato crescendo anche il numero di malattie in grado di dare epidemia (rappresentato dai puntini neri nel primo grafico in alto a sinistra). Continuando ad osservare i dati raccolti, possiamo vedere come, col tempo, siano cresciute d’importanza le malattie causate da virus (c), le zoonosi (b) e quelle trasmesse da vettori (d). C’è qualcosa che, però, non è aumentato preferendo seguire la tendenza esattamente opposta: il numero di persone infettate nel corso dei singoli eventi epidemici, come spiegano gli epidemiologi in quest’articolo. Ciò presuppone un miglioramento dei sistemi di isolamento e cura dei pazienti e, più in generale, di gestione delle epidemie.
Quindi, nonostante gli incredibili cambiamenti subiti dal mondo nell’ultimo secolo, che hanno favorito non poco la diffusione di malattie infettive di vario tipo, stiamo lavorando bene per contrastare il fenomeno e prendere le contromisure del caso. Partendo dalla consapevolezza che non è possibile tornare all’isolazionismo di qualche secolo fa, che per altro ci aiuterebbe solo in apparenza, il modo migliore per combattere un fenomeno naturale come quello delle epidemie, che in qualche modo ci accompagnerà sempre, è studiare modelli matematici di diffusione dei patogeni che consentano di prevedere al meglio quali siano i tragitti possibili per la malattia e, conseguentemente, predisporre le attività di prevenzione.
Questo è, forse, l’aspetto più innovativo nella ricerca epidemiologica che, certamente, va di pari passo con quella biomedica in senso stretto, volta alla cura dei sintomi ed allo sviluppo di vaccini.
Al giorno d’oggi, ad esempio, si sta pensando di utilizzare quelli che vengono definiti big data per fornire predizioni riguardo alla diffusione delle malattie, i ricercatori in questo lavoro ipotizzano l’utilizzo dei dati relativi allo spostamento di animali tra le fattorie per prevenire il diffondersi di zoonosi.
Come già nel 1700, la lotta alle malattie infettive passa dall’importante concezione della salute come un fatto pubblico prima che privato. Vaccinare o non vaccinare, partire o meno, rimanere a casa o fare un salto dal medico per una giusta terapia sono tutte cose che non possono più rientrare nella sfera privata, ma devono essere intese come un atto dovuto nei confronti della collettività. Ora che nel mondo si sono sostanzialmente abbattute le barriere spaziali, è importante che questo concetto di collettività diventi sovrannazionale: non possiamo più considerare l’Africa come “altro da noi”, così come ogni altro stato. È necessaria ed auspicabile una collaborazione che estenda una sanità organizzata e sostenibile ad ogni luogo del pianeta. Solo così potremo realmente combattere quello che tanto temiamo senza inutili allarmismi, bensì solo utili e concrete operazioni per il benessere globale.
Per approfondire:
- La storia delle epidemie, le politiche sanitarie e la sfida delle malattie emergenti, di Bernardino Fantini;
- Five challenges for epidemic, una review sulle sfide attuali dell’epidemiologia;
- Gideon Reviews, Una raccolta di articoli a riguardo di epidemie e pandemie organizzata da uno dei più grandi database tematici sulle malattie infettive
Contributo scritto per Hic Rhodus da Silvia D’Amico. PhD Student in Biologia Molecolare, appassionata di scienza in genere, fotografia, musica e tutto quanto è realmente interessante.