6 Febbraio: Giornata internazionale contro le mutilazioni genitali femminili; una delle tante ricorrenze? Un’occasione rituale? Vogliamo credere di no. Anche se meno enfatizzata di altre ricorrenze in qualche modo conquistate all’opinione pubblica (e semmai al mercato) questa ci sembra più importante proprio perché più specifica. Non una generica giornata “per le donne” ma una in cui riflettere su un orrore specifico, primitivo, terribile, che segna una condanna irreversibile per circa tre milioni di bambine ogni anno, che si aggiungono ai 125 milioni di ragazze e donne che si stima abbiano già subito la mutilazione (fonte Unicef; riportiamo in fondo il testo intero di questa pagina Unicef, che ci sembra migliore di qualunque nostra sintesi).
Le pratiche mutilanti sono diverse e l’OMS le distingue in quattro tipi:
- I TIPO, circoncisione: resezione del prepuzio clitorideo con o senza l’escissione di parte o dell’intera clitoride.
- II TIPO, escissione: resezione del prepuzio e della clitoride insieme alla rimozione parziale o totale delle piccole labbra.
- III TIPO, infibulazione (o circoncisione faraonica), la forma di mutilazione genitale tipica dei paesi del Corno d’Africa; consiste nella escissione parziale o totale dei genitali esterni. I due lati della vulva vengono poi cuciti con una sutura o con spine, riducendo in tal modo la dimensione dell’orifizio della vulva e lasciando solo un piccolo passaggio nell’estremità inferiore, per l’emissione del flusso mestruale e dell’urina.
- IV TIPO: include varie pratiche di manipolazione degli organi genitali femminili: piercing, pricking, incisione della clitoride e/o delle labbra; allungamento della clitoride e/o delle labbra; cauterizzazione per ustione della clitoride e dei tessuti circostanti; raschiatura dell’orifizio vaginale o taglio della vagina; introduzione di sostanze corrosive nella vagina per causare sanguinamento oppure immissione di erbe con lo scopo di restringere la vagina.
L’orrore prosegue con pratiche di defibulazione (taglio dell’infibulazione per riaprire la vulva cucita) e di reinfibulazione (ricucitura delle labbra precedentemente defibulate) che posso essere ripetute negli anni (fonte). Inutile purtroppo rammentare che nella maggior parte dei casi queste mutilazioni vengono inflitte senza anestesia e con strumenti inadeguati e non sterilizzati.
La pratica è diffusissima anche in Europa, portata dai migranti come parte della loro cultura tradizionale. Stime non verificabili parlano di 500.000 donne mutilate e di 180.000 ragazze a rischio (fonte); e l’Italia, naturalmente, registra lo stesso fenomeno con una stima di 57.000 donne mutilate nel 2010 (fonte).
Ben consapevole dell’enorme differenza, sia in termini sociali e culturali che sanitari, vorrei ricordare che esiste anche la pratica delle mutilazioni genitali maschili. Generalmente si tratta dell’asportazione (parziale o totale) del prepuzio, ma esistono pratiche più estreme come l’esposizione dell’uretra esterna e lo schiacciamento di un testicolo (fonte). Anche limitandosi alla circoncisione, essa appare più “accettabile” perché praticata da popoli vicini e sentiti come culturalmente prossimi, come gli ebrei (per ragioni religiose, praticate anche da musulmani e alcune sette cristiane) e americani (è stupefacente la diffusione della pratica in America, considerata benefica sotto l’aspetto della salute, cosa assai mistificata o, nel migliore dei casi, non accertata; fonte). L’idea che per pregiudizi religiosi si impongano scelte irreversibili a neonati e minori mi sembra intollerabile (ne ho parlato diffusamente QUI); che in Occidente poi si pratichino mutilazioni genitali maschili neppure per un mandato diretto da dio, ma per presunte credenze pseudoscientifiche (quella sulla circoncisione, per esempio, è nata fortuitamente in un caso specifico e documentato, per tracimare poi in senso irresponsabilmente generalizzato) mi pare stupido, come stupide sono le considerazioni antiscientifiche degli antivaccinisti.
Infine è assolutamente necessaria qualche parola sui limiti del relativismo culturale. Noi che siamo super-relativisti e cerchiamo di costruire ponti di comprensione verso l’alterità, la diversità, la novità, dobbiamo essere i primi anche a combattere il relativismo stupido, quello cioè incapace di distinguere, scegliere e decidere. Il relativismo assoluto e cieco, come una qualunque fede, porta direttamente nella notte buia in cui tutti i gatti appaiono bigi. Noi occidentali siamo portatori di determinati valori che abbiamo conquistato sanguinosamente negli ultimi quattro secoli di storia: la separazione fra stato e chiesa (e più in generale fra società civile e religione), i diritti individuali (alla salute, alla libertà, alle opinioni…), l’eguaglianza di genere (lungi dall’essere raggiunta, per carità, ma chiaramente inscritta nei valori liberali e democratici) e così via. Il nostro relativismo quindi può valere in assoluto come capacità di comprensione antropologica, ma deve essere orientato dai valori che abbiamo menzionato: l’infibulazione è una violenza inaccettabile, non ha alcuna ragione sanitaria ed è invece causa di gravi problemi di salute e psicologici delle bambine, è una forma evidente di sottolineatura violenta della subalternità femminile, non può essere accettata neppure come forzato e bizzarro richiamo a dogmi religiosi. A mio avviso ciò vale anche per la circoncisione, anche se gli aspetti sociali e sanitari in cui prevalentemente avviene non sono minimamente comparabili alle mutilazioni genitali femminili.
Risorse:
- Senato della Repubblica, Mutilazioni genitali femminili;
- Unicef, Mutilazioni genitali femminili. La normativa internazionale;
- Parlamento Europeo, Tolleranza zero per le mutilazioni genitali femminili (MGF);
- Articolo 583 bis. Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili (articolo del Codice penale italiano).
Mutilazioni genitali femminili
(tratto dalla pagina Unicef http://www.unicef.it/doc/371/mutilazioni-genitali-femminili.htm)
Le mutilazioni genitali femminili (MGF) sono un fenomeno vasto e complesso,che include pratiche tradizionali che vanno dall’incisione all’asportazione, parziale o totale, dei genitali femminili esterni.
Bambine, ragazze e donne che le subiscono devono fare i conti con rischi gravi e irreversibili per la loro salute, oltre a pesanti conseguenze psicologiche.
Si stima che in nel mondo il numero di donne che convivono con una mutilazione genitale siano circa 125 milioni. Dati gli attuali trend demografici, possiamo calcolare che ogni anno circa tre milioni di bambine sotto i 15 anni si aggiungano a queste statistiche.
Gran parte delle ragazze e delle donne che subiscono queste pratiche si trovano in 29 Paesi africani, mentre una quota decisamente minore vive in paesi a predominanza islamica dell’Asia.
In alcuni Stati del Corno d’Africa (Gibuti, Somalia, Eritrea) ma anche in Egitto e Guinea l’incidenza del fenomeno rimane altissima, toccando il 90% della popolazione femminile. In molti altri, invece, le mutilazioni riguardano una minoranza – fino ad arrivare a quote dell’1-4% in paesi come Ghana, Togo, Zambia, Uganda, Camerun e Niger.
Si registrano casi di MGF anche in Europa, Australia, Canada e negli Stati Uniti, soprattutto fra gli immigrati provenienti dall’Africa e dall’Asia sud-occidentale: si tratta di episodi che avvengono nella più totale illegalità, e che quindi sono difficili da censire statisticamente.
Pregiudizi alla base delle MGF
Le mutilazioni genitali femminili (MGF) vengono praticate per una serie di motivazioni:
- Ragioni sessuali: soggiogare o ridurre la sessualità femminile
- Ragioni sociologiche: es. iniziazione delle adolescenti all’età adulta, integrazione sociale delle giovani, mantenimento della coesione nella comunità
- Ragioni igieniche ed estetiche: in alcune culture, i genitali femminili sono considerati portatori di infezioni e osceni
- Ragioni sanitarie: si pensa a volte che la mutilazione favorisca la fertilità della donna e la sopravvivenza del bambino
- Ragioni religiose: molti credono che questa pratica sia prevista da testi religiosi (Corano)
Le MGF vengono praticate principalmente su bambine tra i 4 e i 14 anni di età. Tuttavia, in alcuni paesi vengono operate bambine con meno di un anno di vita, come accade nel 44% dei casi in Eritrea e nel 29% dei casi nel Mali, o persino neonate di pochi giorni (Yemen).
Ad eseguire le mutilazioni sono essenzialmente donne: levatrici tradizionali o vere e proprie ostetriche.
Le MGF sono spesso considerate un servizio di elevato valore, da remunerare lautamente: lo status sociale e il reddito di chi le compie è direttamente connesso all’esito di questi interventi.
Una pratica da condannare senza mezzi termini
L’UNICEF considera le mutilazioni genitali femminili, in qualunque forma, una palese violazione dei diritti della donna.
Le MGF sono discriminatorie e violano il diritto delle bambine alla salute, alle pari opportunità, a essere tutelate da violenze, abusi, torture o trattamenti inumani, come prevedono tutti i principali strumenti del diritto internazionale.
Le ragazze che le subiscono sono private anche della capacità di decidere sulla propria salute riproduttiva.
Oltre che umilianti, le mutilazioni genitali sono estremamente dolorose. Le bambine che vi sono sottoposte possono morire per cause che vanno dallo shock emorragico (le perdite ematiche sono cospicue) a quello neurogenico (provocato dal dolore e dal trauma), all’infezione generalizzata (sepsi).
Per tutte, l’evento è un grave trauma: molte bambine entrano in uno stato di shock a causa dell’intenso dolore e del pianto irrefrenabile che segue.
Conseguenze di lungo periodo sono la formazione di ascessi, calcoli e cisti, la crescita abnorme del tessuto cicatriziale, infezioni e ostruzioni croniche del tratto urinario e della pelvi, forti dolori nelle mestruazioni e nei rapporti sessuali, maggiore vulnerabilità all’infezione da HIV/AIDS, epatite e altre malattie veicolate dal sangue, infertilità, incontinenza, maggiore rischio di mortalità materna per travaglio chiuso o emorragia al momento del parto.