Povero porco

Mettete subito in galera Kevin Spacey e buttate via la chiave. Subito dopo, con decreto della giunta popolare indignata, proibite a qualunque organo di informazione, blog compresi, di parlare di lui. Condannato all’oblio, che per un attore è peggio della galera. Che altro? Pane e acqua per sei mesi (è pure sovrappeso, non può che fargli bene), lavori forzati (che faccia un lavoro vero, per una volta nella vita) e una serie di elettroshock per curarlo dall’immondizia omosessuale. Che dite, può bastare? Allora: io sottoscritto Bezzicante dichiaro di essere favorevole alla galera, all’oblio, ai lavori forzati e all’elettroshock per Kevin Spacey. In fede… Data e luogo.

Liberatomi consapevolmente di ogni eventuale residuo di colpa per non essere stato fin da subito, e incondizionatamente, a favore di tutte le vittime di molestie (non solo quelle di Spacey, anzi: per Weinstein tutto come Spacey, più fustigazioni settimanali eseguite dalle vittime. Sulla pubblica piazza), considero definitivamente chiuso l’argomento e passo a considerazioni marginali, che in nulla modificano il giudizio netto e definitivo sui porci che abbiamo già condannato, in piena coscienza e senza alcun ragionevole dubbio.

L’argomento di questo post non è quindi la molestia. E non sono le sue vittime. L’argomento di questo post è la compassione verso il povero porco, in questo caso Kevin. Posso provare pietà anche per il molestatore? Sono saltato sulla sedia leggendo i titoli di stamane che, a rinforzo della palese malvagità del porco, titolava di un suo festino in barca con ben undici ragazzi (dico: UN-DI-CI!).

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E’ chiaro che scatta in automatico l’ovvio assioma: se un depravato è così tanto depravato, allora non c’è limite alla sua malvagità, e quindi avrà certamente molestato e forse stuprato, e chissà cos’altro peggio, e merita il castigo di dio e degli uomini.

Povero Kevin…

Giusto per inserire la vicenda del porco in una giusta cornice segnalo comunque che era arcinoto da tempo che fosse gay. Una ricerca neppure troppo approfondita rivela l’evidente omosessualità dell’attore con notizie (e foto) sin dal 2008, indicazioni semi-ufficiali del 2006 e via discorrendo percorrendo a ritroso il tempo. Nel 2000 Mark Harris, discutendo se il due volte premio Oscar fosse omosessuale oppure no, scriveva fra l’altro:

after decades of struggle, homosexuality is still such a stigma that an actor not only needs to deny it but deny it in crass. And it means that the very whisper of homosexuality is still enough to serve as fodder for late-night talk-show jokes, supermarket-rag ”investigations” and panicked denials.

Insomma: dopo che per decenni si discute della sua omosessualità, si pubblicano foto e si citano episodi piccanti, è solo da pochi giorni che Spacey – in un tentativo goffo di difesa dalle molestie – dichiara, infine, che sì, lui è gay. Perché? Perché come scrive Harris l’omosessualità è uno stigma. Perché come gay dichiarato, poi, tanti ruoli non li potresti fare. Perché come gay sei un frocio perverso e i fan ti abbandonano.

Come scrive Geoffrey Macnab, malgrado la conclamata liberalità di Hollywood, i gay sono accettati solo se non intaccano il business:

The real issue here, of course, is economics. Gay and lesbian directors, producers, studio heads and supporting actors can be open about their sexuality as long as it doesn’t get in the way of the work. It is with the leading players that the omertà code applies most strictly.

Gay British actor Rupert Everett was recently on the BBC’s Hard Talk warning that young male actors who were ambitious should not come out if they wanted to play leading roles.

When Rock Hudson died from an Aids-related illness in 1985, commentators bemoaned the intolerance of the old studio system that had compelled him to remain in the closet.

Even so, Hollywood is still in the business of making “four quadrant movies” – that’s to say ultra-mainstream films appealing to males and females, young and old. When a studio spends $100m on a mainstream movie and an equivalent amount in marketing it at home and abroad, anything that can jeopardise its box-office performance is frowned on. Agents put pressure on their clients not to “come out”.

Quindi: tutti sapevano che Spacey era gay ma, poiché lui lo negava, ufficialmente si faceva finta di niente. Lui poteva fare parti “normali”, i produttori erano contenti, gli incassi andavano bene. (Poi, per i fan di House of Cards: sapete che la sua parte è ambigua, quanto meno da bisessuale; una sorta di outing celato nella sceneggiatura).

E veniamo alla festa in barca con 11-giovanotti-11. Fossero state 11-gnocche-11 sarebbe stato meglio? Fossero stati 2-giovanotti-2, o meglio uno solo (la monogamia è un grande valore borghese) era più tollerabile? E, in ogni caso: cosa diavolo c’entra con le molestie, perché l’argomento è utilizzato a rinforzo delle sue ovvie e incontenibili colpe? Non si usa più il cliché giornalistico “sbatti il mostro in prima pagina”, ma questo è esattamente ciò che sta avvenendo. Si scava nella vita dell’attore per trovare particolari scandalosi, depravati, disgustosi, perché – come nei processi dei B movie – si vuole influenzare la giuria popolare (noi persone perbene) descrivendo il porco come uno sozzone senza possibilità di redenzione. Faccio quindi una seconda fondamentale dichiarazione: a me non importa un fico secco con chi andate a letto, cosa fate in quel letto, in quanti siete, e ogni altra sorta di particolare porno, a patto che tutto sia fatto fra adulti consenzienti come, evidentemente, in questo caso. Ma – dicono i giornalisti perbenisti – si è mostrato nudo al massaggiatore chiedendo di essere “toccato”. Oh, la Peppa! Rubrichiamo la faccenda fra le già note molestie, per le quali abbiamo già condannato a vita Spacey e non ne parliamo più? Anche perché il massaggiatore in questione avrebbe risposto “No, grazie” e tutto sarebbe finito lì…

Insomma: riusciamo a mantenerci lucidi per qualche istante? Intanto “molestie”, come ho già avuto modo di scrivere su HR è un termine un tantino vago, che spazia dalle avance ardite fino ai palpeggiamenti e oltre (lo dice una donna, non io, in un’intervista da leggere tutta). Cose diverse, da giudicare diversamente anche considerando le circostanze. Poi l’etichettamento, lo stigma, il sovraccarico di descrizioni morbose per diminuire e colpevolizzare il presunto reo sono una pratica inaccettabile. Se ci fossero stati i social all’epoca di Marcel Proust, la sua “Ricerca” sarebbe stata bloccata da Netflix al secondo volume… Ma non si parlava, fino a poco tempo fa, di “macchina del fango”? Questa macchina è una schifosa pratica fascista se viene infangato un amico considerato giusto ma va bene per Kevin Spacey, ormai definitivamente bollato da finocchio molestatore? A quando un’accusa anche di pedofilia, per lui?

Conclusioncina. Potevo infischiarmene di Kevin Spacey. Ma quel che accade a lui è emblematico dei tempi. Senza diminuirne torti e colpe, si sta massacrando una persona sull’onda di una morale gretta che, evidentemente, scorre impetuosa sotto la pelle dei nativi digitali, dei compagni democratici, dei liberali senza se e senza ma, dei fieri della globalizzazione, di tutti noi uomini e donne del nuovo millennio. Tanto liberi e “nuovi” in superficie, tanto bigotti, moralisti, perbenismi grattando un pochino sotto la pelle.