Viviamo fra gli stupidi

Si sta parlando e straparlando di fake news, del loro potere manipolatorio e dei pericoli per le prossime disgraziate elezioni italiane. Si mostra in modo chiaro chi sono i mandanti principali di queste fake news i quali, ovviamente, si dichiarano sdegnosamente estranei (e certo, cosa dovrebbero dire?), ma tutto questo rimbalza abbondantemente sulle teste dei nostri connazionali senza turbare i sonni di alcuno. I renziani restano renziani, i grillini restano grillini, i più non sanno neppure di chi si stia parlando mentre qualcuno ancora si indigna per la Boldrini e la Boschi ai funerali di Totò Riina… Scriviamo da talmente tanto tempo di queste cose, qui su HR, che onestamente mi sento, ultimamente, un po’ scoraggiato. A chi dico queste cose, se non a persone che già sono consapevoli del problema? E mi scoraggio di più, naturalmente, né il mio umore migliore scoprendo che non siamo mica noi italiani a essere scemi, succede uguale uguale altrove. E leggo, per esempio, We’re with Stupid di Timothy Egan sul NYT del 17 novembre. L’articolo è così calzante che ve ne offro un’ampia sintesi.

Schermata 2017-11-28 alle 19.16.12Sarebbe molto più semplice dormire se potessimo credere che siamo in questo guazzabuglio di disinformazione solo perché agenti russi hanno disseminato post incendiari che hanno raggiunto 126 milioni di persone su Facebook. I russi hanno anche caricato un migliaio di video su YouTube e pubblicato più di 130.000 messaggi su Twitter a proposito delle ultime elezioni [Nota: l’articolo inizia commentando quello che ormai si chiama “Russiagate”, ovvero l’inquinamento russo delle elezioni vinte da Trump]. Ma il problema non sono i russi, siamo noi. Siamo stati imbrogliati perché troppi americani non sono equipaggiati per comprendere le regole basilari della cittadinanza. Se lo scopo della campagna russa, appoggiata qui da noi dai media della destra, era di far pensare alla gente che non esiste una verità conoscibile, allora i cattivi hanno già vinto.

Questa la drammatica premessa che Timothy Egan usa come cornice per spiegare alcune questioni domestiche che – se ben pensate – assomigliano veramente molto ad analoghe italiane. Scrive Egan:

Schermata 2017-11-28 alle 20.58.59Se ripercorriamo i 300 giorni da Presidente di Donald Trump, il Fact-Checker [rubrica del Washington Post] osserva che ha fatto oltre 1.600 dichiarazioni false o imprecise. Almeno cinque volte al giorno, in media, questo Presidente dice qualcosa di non vero. Noi abbiamo una Casa Bianca bugiarda perché un’enorme percentuale di popolazione non sa distinguere i fatti dalla finzione. Ma un’enorme percentuale è anche priva di nozioni sulle leggi fondamentali dello Stato. Si suppone che noi, il popolo, in una democrazia comprendiamo il nostro ruolo in un contesto di potere condiviso.

Egan va avanti segnalando diversi casi americani di ignoranza (riportando dati di ricerche), parlando anche del mancato ruolo che avrebbe avuto in ciò la scuola; la sua conclusione è che Trump e il suo staff possono dire palesi falsità semplicemente perché la gente è ignorante sulle questioni più basilari della loro storia, geografia, leggi, tant’è vero che alcuni stati americani stanno cercando di migliorare le scuole superiori.

Ma queste iniziative avranno poco significato se la gente continuerà ancora a credere a quello che vuole credere, vivendo in uno spazio digitale chiuso a salvaguardia della loro visione del mondo.

C’è quindi un’anima gemella a NYC (in realtà ce ne sono molte in tutto il mondo, lo so) che si pone gli stessi problemi che qui in Italia ci si incomincia a porre, a livello politico, solo in questo periodo. E, come vedete, neppure la mia anima gemella negli States propone soluzioni. rileggete l’ultimo brano: “Ma queste iniziative avranno poco significato se la gente continuerà ancora a credere a quello che vuole credere, vivendo in uno spazio digitale chiuso a salvaguardia della loro visione del mondo”. E fino a quando la gente vorrà vivere nella proprio bolla di ignoranza? La mia risposta incomincia a essere: per sempre! Perché mai mettersi in discussione se si sa già di avere ragione? Perché ascoltare il dott. Burioni quando si è già sicuri che i vaccini siano tossici? Perché pensare che Salvini dica il falso quando sappiamo benissimo che gli immigrati sono stupratori seguaci dell’ISIS? E così via. E per ragioni già spiegate altre volte possiamo solo pensare che questa situazioni peggiori. E non si tratta di regolamentare per legge qualcosa, perché non solo non servirebbe a nulla nel mondo 2.0 ma, in linea di massima, si rischia di fare peggio, come vi spiegherà Ottonieri venerdì prossimo. Anzi, ogni intervento di controllo, censura e regolamentazione può diventare un ulteriore tassello di controllo dei flussi informativi e quindi della nostra percezione della realtà.

Le manovre russe sulle elezioni americane e quelle grillo-leghiste da noi, sono operazioni grossolane, facilmente smascherate ma, noterete, smascherate o no non cambia nulla; né il popolo americano si ribella contro Trump né i padani assaltano le sedi leghiste per l’indignazione. E’ così, importa a pochi, e i più non conoscono questi fatti o sembrano loro insignificanti se non, addirittura, giustificabili. E così un popolo di creduli, ignoranti, compressi nelle loro bolle virtuali di falsità, andranno a Primavera a votare per il nuovo Parlamento italiano, così come in America sono andati a votare Trump. Ma siamo solo in una fase di passaggio, attenzione! Le palesi fake news dei ragazzotti grillini possono diventare sofisticate costruzioni di realtà virtuali globali, di senso compiuto, con una logica coerente che le renderebbe difficili da distinguere da una 23755256_341770012963636_2512635160843396339_nverità che non si saprebbe dove trovare. La sciocca foto di Boldrini e Boschi al funerale di Riina (che non ha provocato alcuna particolare reazione oltre a una litania rituale di protesta) può diventare abbastanza facilmente una complessa narrazione ampiamente documentata e plausibile capace di distruggere la reputazione di chiunque, e il pensiero omologato castigatore si rifletterebbe sulle sponde dei sette mari in un flame globale di indignazione.

A quel punto, chi comanderà esattamente? E per fare cosa? E del concetto di democrazia cosa ne faremo, se non capiremo neppure di esserne stati catapultati fuori?