Vocabolario di una sconfitta: 1 – Uguaglianza e le sorelle diventate di destra

Chi mi legge con frequenza sa che affido al linguaggio un ruolo, nell’organizzazione sociale, molto rilevante. Le parole – sostengo in buona compagnia – costruiscono il nostro pensiero, e quindi gli orizzonti politici e sociali, i valori, le priorità… i modi nei quali e coi quali conviviamo, ci relazioniamo… e in conclusione i modi in cui facciamo politica, vale a dire gli obiettivi che vorremmo darci come popolo e le strade da percorrere per raggiungerli. I lettori interessati troveranno molteplici post sull’argomento sotto il profilo linguistico, per un compendio rinvio alla mappa in coda a QUESTO articolo.

Sotto il profilo del linguaggio (ricordo: costruttore del nostro pensiero) la lezione da trarre dagli avvenimenti degli ultimi anni, culminati con la vittoria della peggiore destra della storia repubblicana, è proposta nelle righe che seguono dove vorrei cercare anche di essere propositivo indicando una possibile (e ovviamente impervia) strada di riscatto delle forze che si vorranno opporre al fascio-leghismo dilagante, che non è semplicemente Salvini, ma una ormai radicata cultura italiana, sempre storicamente presente, sempre ristagnante, che ha trovato nella Lega e nel M5S una straordinaria occasione di emersione ed affermazione.

Piccola nota a margine: parlerò di “sinistra”, qua e là, malgrado alcuni cortesi lettori siano infastiditi da questa che io stesso considero un’etichetta scomoda e ambigua (e anche questo, scusate la ripetizione, l’ho scritto e riscritto). Voglio quindi dire che se userò questa etichetta novecentesca, logora e inadeguata, la intendo come generica indicazione di una possibile opposizione che può andare da una prospettiva liberale (liberalsocialista, radicale…) attraversando tutte le aree riformiste (laiche e cattoliche) fino a giungere in quella nebulosa della sinistra-sinistra dove, onestamente, credo che il dialogo rischi di essere poco interessante man mano che da gruppi di ex-comunisti democratici (per intenderci: LEU) ci si avvicina a veri comunisti duri e puri, ma qui mi fermo, semplicemente perché non so…

Perché sostengo che abbiamo perso (politicamente, socialmente, eticamente…) la battaglia del linguaggio (inteso: politico)? Perché slogan, bandiere, parole-chiave della sinistra sono diventate patrimonio della destra. Il caso più eclatante riguarda la parola |uguaglianza|, la cui semantica ha subito uno slittamento più o meno di questo genere:

I quattro elementi sono evolutivi e rappresentano assai schematicamente un pensiero che ha raggiunto il suo apice con la rivoluzione americana, per poi snaturarsi con quella sovietica. Il concetto di ‘uguaglianza’, nel secondo Novecento operaista, ha significato diritti per tutti senza distinzioni di ceto e neppure di merito. L’idea che la sanità fosse un diritto per tutti, la scuola pure, la casa, il lavoro e la pensione, fino al parcheggio sotto casa, ha creato l’inflazione abominevole dei cosiddetti “diritti acquisiti”, un’invenzione tutta italiana assolutamente infondata. L’esempio della scuola è probabilmente il più esemplare e comprensibile: una società “giusta” (?) offre la possibilità di accedere all’istruzione a tutta la popolazione, cercando di opporre soluzioni a condizioni di povertà, classe sociale, distanza dal plesso scolastico e via discorrendo; ma non dovrebbe garantire a tutti un diploma, poi una laurea triennale, poi semmai la magistrale in nome non più dell’uguaglianza ma di un egualitarismo che abbassa drammaticamente il valore degli sforzi degli intelligenti, degli studiosi, dei meritevoli. Tutti a scuola per imparare a leggere e a scrivere; tutti sostenuti se necessario da borse di studio, gratuità eccetera, ma se non studi e non ce la fai, dopo un percorso minimo obbligatorio e garantito, allora non c’è alcuna ragione perché tu prosegua. Questa è invece l’uguaglianza (con semantica assai dilatata rispetto alle origini) di parte dell’Occidente, e specialmente dell’Italia del secolo scorso: lavoro per tutti a costo di inventarselo a spese dello Stato; scuola per tutti anche per gli immeritevoli; pensioni elevate per tutti anche se non potevamo permettercelo…

Il secondo cruciale slittamento semantico avviene in anni più recenti, e il pensiero grillino lo propone con la famosa formula dell’uno che vale uno… Qui c’è una piccola rivoluzione: se fino a quel momento l’uguaglianza era di ciascuno rispetto a un Ente terzo (Dio, la legge, il lavoro…) consentendo in realtà la diversificazione interna (io contadino sono uguale a te principe di fronte a Dio, anche se in questa vita terrena io resto un miserabile e tu no; io operaio sono uguale di fronte alla legge rispetto a te padrone, anche se io resto un operaio…), la rivoluzione contemporanea del pensiero egualitarista è che io sono proprio uguale a te, siamo interscambiabili: io operaio e tu padrone, io studente e tu professore, io ignorante e tu competente. Questo stravolgimento semantico è stato cavalcato dal grillismo ma nasce per una eterogeneità di fattori quali la globalizzazione, Internet, l’edonismo contemporaneo, la scomparsa del futuro, e porta a una forma di “uguaglianza” che possiamo chiamare omologazione, appiattimento, massificazione.

Tant’è. Di fronte all’egualitarismo novecentesco della sinistra l’omologazione grillina non è semplicemente più attraente, ma sostanzialmente più contemporanea, più adatta alla società del terzo millennio, alla diseducazione di massa, alla comunicazione 2.0, all’incapacità di governare un pensiero complesso nella società globale. Casaleggio e Grillo (non Salvini) hanno scippato il concetto di |uguaglianza| alla sinistra quando questo non è stato più in grado di soddisfare l’azione sociale contemporanea. E la sinistra non se n’è accorta, anzi ha insistito, specie la sinistra-sinistra, nel logoro cliché.

Un’analisi assolutamente analoga possiamo farla per altre bandiere della sinistra: |libertà| per esempio. Anche qui ci sono stati importanti slittamenti semantici:

Le norme e leggi indicano i diritti e i doveri; le libertà e i vincoli; il mix fra questi due poli rappresentano il compromesso del cittadino, vale a dire dell’individuo in comunità. Non disturbo, non rubo, non sporco non già perché sono meno libero, ma perché vivo con voi in uno spazio comune dove anche tu non disturbi, non rubi e non sporchi. Ma ‘libertà’, nella società occidentale complessa, slitta nell’autoregolazione: io sono io e so da me se devo e voglio rispettare tutti i doveri imposti; posso insultare su Facebook; posso parcheggiare in doppia fila; posso (anzi: devo) cercare di eludere le tasse; il mio cane caca dove vuole; mio figlio strilla quanto gli pare e tu insegnante non ti permettere di riprenderlo… Non si tratta di banale “maleducazione” ma di un sentimento di irresponsabilità onnipotente che ha a che fare, come sopra, con l’edonismo contemporaneo, l’ignoranza, la complessità e via ripetendo. La semantica di ‘libertà’ si è dilata al punto di stravolgersi. Gli allevatori del Nord che non vogliono rispettare le quote latte, gli imprenditori che succhiano contributi statali prima ed europei poi senza produrre alcunché ed evadendo le tasse, i cittadini che vogliono sparare ai rapinatori – per parlare, queta volta, dell’elettorato leghista – sono altri esempi. Di fronte al distorcersi del concetto di ‘libertà’ la sinistra non ha saputo opporre altro che banali denunce quando conveniva, ma senza convinzione e senza alernative.

E potremmo fare analoghi esercizi semantici per |lavoro|, per |democrazia|, per |riformismo|…

Eppure, anziché lasciare alla destra peggiore di sempre un patrimonio di idee (distorte quanto vi pare), valori (equivocati e deformati ma non importa) e parole, la sinistra come sopra intesa poteva, e doveva, inventarsi un nuovo linguaggio, che poi significa semplicemente adeguare il lessico novecentesco al terzo millennio in senso propositivo, solidaristico, inclusivo, anziché lasciare l’operazione interamente nelle mani di chi ci ha condotti a un linguaggio involutivo ed esclusivo.

Prendiamo |uguaglianza|: ma davvero non è possibile, nel Sacro Tempio della Sinistra, coniugare ‘uguaglianza’ con merito? E |libertà| con ‘dovere civico’ e con ‘comunità’? E |lavoro| con ‘flessibilità’ e ‘solidarietà’? E |immigrazione| con ‘dignità’ e con ‘possibilità’? E |crimine| con ‘giustizia’, con ‘sicurezza’ e con ‘società educante’? Eccetera, eccetera, eccetera? Questa drammatica incapacità di uscire da schemi vecchi, il cui mortale abbraccio ha legato molti, troppi eccellenti intellettuali e politici alla frattura col popolo che pretendono di rappresentare (malgrado l’evidenza della miserrima rappresentanza politica, le sconfitte elettorale, le analisi dei flussi), si va perpetuando oggi, adesso, proprio mentre scrivo. Continuano le polemichine nel PD; continua la visione pura che più pura non si può a sinistra-sinistra; continuano le esclusioni anche da cattolici progressisti su temi sociali sui quali non possono che uscire sconfitti; continua la diaspora dei quattro socialisti sopravissuti; continua l’imbarazzante silenzio dei liberali non vampirizzati da Berlusconi…  È in questo vuoto che Salvini e Grillo hanno vinto le elezioni. È in questo vuoto che il fascismo salviniano sta dilagando. Il vuoto della parole stantìe, delle bandiere logore, della troppo lunga sequela di sconfitte mai comprese in nome degli ideali che avevano un senso (e solo in parte) cinquant’anni fa. 

Ma come si può non capire l’evolvere storico? Cari comunisti, ma il Marx del materialismo storico non vi ha insegnato nulla? Cari liberali, sarà il caso di rileggere Gobetti? Il mondo muta, non solo e non tanto perché mutano “le cose” ma perché mutano i pensieri, i valori, le culture, le priorità, i desideri, in una parola ciò che qui ho chiamato linguaggio.

Senza un nuovo linguaggio politico fondato sull’eguaglianza con merito, sulla libertà con civismo, sul lavoro con flessibilità e solidarietà, sulla giustizia come certezza, sull’inclusione, la dignità, l’interesse pubblico come oggetto di valutazione, il pragmatismo, senza questo nuovo linguaggio tutti noi oppositori del nuovo fascismo trionfante non solo saremo ripetutamente sconfitti, ma saremo complici passivi dell’imminente collasso democratico del nostro Paese.