Le truppe delle fake news e le elezioni in Brasile

Il 28 ottobre ci sarà il ballottaggio delle elezioni presidenziali in Brasile, tra il favorito Jair Bolsonaro, leader del Partito Social-liberale, e Fernando Haddad, che ha sostituito Ignacio Lula da Silva come candidato del Partito dei Lavoratori. Non intendo qui commentare i meriti (che non mi sembrano eccessivi) e i demeriti dei programmi dei due candidati, bensì un fatto al quale dovremmo ormai essere preparati: sono emerse prove di una campagna di disinformazione condotta sui social, e in particolare su WhatsApp, per favorire il candidato della destra Bolsonaro. Alcuni dettagli sono riportati in un articolo della Reuters (in inglese) o, in portoghese, qui.

Le modalità sono diverse, ma in generale hanno lo scopo di manipolare l’opinione pubblica con le tecniche di direct marketing che la politica ha appreso dalle aziende commerciali e di cui abbiamo già parlato a proposito di Cambridge Analytica e Steve Bannon. In generale, queste tecniche implicano, in una forma o nell’altra, la diffusione di notizie false o pesantemente alterate, quelle che ci siamo abituati a chiamare fake news. Credo sia ormai chiaro a tutti che l’uso a fini politici di queste tecniche non è (o non è più) la prosecuzione delle tradizionali campagne elettorali con altri mezzi, o almeno non più di quanto l’uso dei fucili automatici da guerra sia la prosecuzione dell’arte degli arcieri con altri mezzi. Queste “campagne” sono piuttosto simili a vere e proprie azioni militari, con truppe (di solito mercenarie), armi, strategie, e naturalmente capitali per finanziare il tutto.

Non deve quindi sorprendere che siano nati anche degli osservatori e dei gruppi di studio che studiano e valutano le forze in gioco e le tattiche di questa forma di “combattimento”, proprio come accade in campo militare. L’Università di Oxford, ad esempio, a inizio 2016 nell’ambito dell’Oxford Internet Institute ha costituito un progetto chiamato Computational Propaganda, all’interno del quale studiare la manipolazione dell’opinione pubblica effettuata, in particolare, tramite strumenti automatici come bot e algoritmi. Per “propaganda computazionale” il progetto intende “l’uso di strumenti automatici, algoritmi e analisi di big data per manipolare la vita pubblica”. L’evoluzione delle tecnologie di machine learning e di intelligenza artificiale in generale è ovviamente parte dei motivi dell’espansione di queste soluzioni, che, perfezionandosi via via, costituiscono parte rilevante dell’arsenale cibernetico di piccole e grandi potenze, ma anche di soggetti politici che non controllano il governo di nessuno stato. Tra i lavori di questo progetto, vorrei segnalare un documento intitolato, appropriatamente, Challenging Truth and Trust: A Global Inventory of Organized Social Media Manipulation. Più eloquente infatti dell’espressione fake news (che non dice nulla sull’intenzione che c’è dietro la diffusione di una notizia falsa) mi pare far riferimento a una sfida globale alla verità e alla fiducia, che non punta solo o necessariamente a far credere qualcosa di falso, ma anche a minare la credibilità di istituzioni e soggetti politici. Non è sempre necessario convincere qualcuno a votare per noi (che è un’operazione difficile e dall’esito incerto); spesso si potrà ottenere lo stesso effetto confondendo e demotivando gli elettori “avversari” e inducendoli ad astenersi dal voto e a non manifestare la propria opinione. Qui sotto vediamo una mappa delle “potenze” mondiali in questo specialissimo tipo di guerra.

world powers
Capacità di operare azioni di disinformazione su Internet – Fonte: Oxford Internet Institute

Vale la pena di sottolineare che, a differenza degli eserciti convenzionali, la presenza in un paese di una capacità “cyberbellica” non vuol dire che questa sia necessariamente controllata dal governo; spesso si tratta di “agenzie” che vendono i loro servizi al miglior offerente, oppure (come nel caso di Steve Bannon) perseguono obiettivi transnazionali. Se è vero che spesso la cyberpropaganda è al servizio del potere, in molti paesi essa è utilizzata da uno o più singoli partiti e non dal governo in quanto tale (questo è, secondo lo studio, il caso dell’Italia). Un’altro elemento da sottolineare è che la mappa indica la capacità presente in un territorio, ma tale capacità non necessariamente opera solo all’interno di quel territorio. Il Brasile, di cui parlavamo, forse non ospita “cybertruppe” che hanno l’obiettivo di colpire all’estero, ma questo non vale anche per paesi con interessi geopolitici più rilevanti.

Quindi, quando incontriamo una fake news, non possiamo dare per scontato che si tratti “semplicemente” dell’iniziativa di un singolo, magari esagitato. Sempre più spesso, le fake news sono e saranno una vera e propria arma diretta a volte contro questa o quella parte politica, sempre diretta contro la democrazia e l’interesse dei cittadini. Favorire la diffusione di fake news è come aiutare una pattuglia militare nemica a riversare armi batteriologiche nell’acquedotto della nostra città: ci rimettiamo tutti.