La legge sul Federalismo non si applica, perché al Nord non conviene

In attesa di poter leggere il “vero” testo della Legge di Bilancio 2019, e forse di commentarlo, vorrei dedicare invece un po’ d’attenzione a un tema che, solo pochi anni fa, era il cavallo di battaglia della Lega e in nome del quale sono stati commessi parecchi misfatti: il federalismo, anzi il Federalismo.

Ora, io lo dico subito: personalmente del Federalismo sono da sempre un avversario. Credo sinceramente che l’Italia abbia un grande bisogno di politiche di coesione e soprattutto della capacità di operare in modo coerente in tutto il Paese, contrastando la funesta tendenza al particolarismo, questa sì a carattere nazionale. Non sono certo valsi a farmi cambiare idea i mille sperperi di denaro pubblico e i diecimila abusi clientelari commessi sotto l’ombrello protettivo delle autonomie locali, né mi fanno cambiare idea gli iniqui privilegi di spesa delle Regioni ormai da settant’anni a “statuto speciale”. Il Federalismo leghista poi, ho sempre ritenuto, non è altro che un’etichetta che serve a nascondere due obiettivi meno presentabili: tagliare (ulteriormente) i fondi trasferiti alle aree svantaggiate del Paese, e metterli a disposizione della classe politica locale, e questi penso siano anche gli scopi reali delle recenti iniziative intraprese dalle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna per ottenere maggiore autonomia.

Ovviamente, molti diranno che il mio è un pregiudizio, e che il Federalismo è un modello virtuoso, moderno, flessibile laddove il “Centralismo” sarebbe asservito al potere più corrotto, arcaico, ingessato. Osserveranno che anche la riforma costituzionale federalista approvata definitivamente con referendum popolare nel 2001 prevede, accanto al federalismo fiscale, l’istituzione di un fondo perequativo che ha appunto la funzione di riequlibrare le risorse compensando parzialmente il gap tra aree “ricche” e “povere” del Paese. Citando il testo costituzionale del 2001,

La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante.

Una tesi assolutamente classica del federalismo è peraltro che esso favorisca abitudini di spesa più sane e, in base alla rilevazione delle differenze tra regioni e agli incentivi all’efficienza, la condivisione e diffusione delle pratiche economicamente più oculate. Questa tesi, nella declinazione nostrana del Federalismo, s’è tradotta nei concetti di livelli essenziali delle prestazioni e costi standard, che di per sé non fanno una piega: ogni cittadino deve poter contare almeno su un livello essenziale dei servizi pubblici, e questi servizi devono avere un costo omogeneo su tutto il territorio nazionale. Questi principi si sono tradotti nella legge 42/2009, anche detta Legge Calderoli, che istituisce la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale e stabilisce che al centro sia degli aspetti economici che di quelli qualitativi e valutativi del federalismo fiscale si colloca

la determinazione del costo e del fabbisogno standard quale costo e fabbisogno che, valorizzando l’efficienza e l’efficacia, costituisce l’indicatore rispetto al quale comparare e valutare l’azione pubblica; definizione degli obiettivi di servizio cui devono tendere le amministrazioni regionali e locali nell’esercizio delle funzioni riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni o alle funzioni fondamentali di cui all’articolo 117, secondo comma, lettere m) e p), della Costituzione.

Quanto all’ammontare del fondo di perequazione, la legge dice che:

la dimensione del fondo è determinata, per ciascun livello di governo, con riguardo all’esercizio delle funzioni fondamentali, in misura uguale alla differenza tra il totale dei fabbisogni standard per le medesime funzioni e il totale delle entrate standardizzate di applicazione generale spettanti ai comuni e alle province

In altre parole: ogni Comune e provincia deve avere a disposizione risorse sufficienti a finanziare, secondo i costi standard, almeno i livelli essenziali delle prestazioni relative a:
– Sanità e assistenza;
– Istruzione;
– Trasporto pubblico locale.
Se le sue entrate fiscali sono insufficienti a questo scopo, deve ricevere la differenza dal fondo di perequazione, finanziato dagli altri Comuni. In sostanza, un trasferimento di risorse dai più ricchi ai più poveri, però limitato a quanto sufficiente per erogare i Lep. Ma quali sono questi benedetti Lep?

Il problema è che, più o meno esplicitamente, la Narrazione Federalista invita a pensare che se in un territorio il livello delle prestazioni è inadeguato, è perché a causa di sprechi e corruzione i costi dei servizi siano sproporzionatamente alti. Insomma: l’assunto più o meno implicito in ogni discussione sul Federalismo è che la maggiore ricchezza si accompagni a una maggiore efficienza, e che (ovviamente) entrambe queste caratteristiche difettino alle infelici regioni meridionali della penisola, dove, si sa, una siringa o una penna costano il doppio, che dico, il decuplo che al Nord. Ma è proprio e sempre così? Quella dell’inefficienza e degli sperperi del Sud è una storia vera, ed è tutta la storia?

Ovviamente no. Però quanto la “storia vera” differisca dalla Narrazione dei “federalisti” sopra la Linea Gotica lo si può capire solo guardando i numeri. Per questo, è fondamentale la lettura di un libro di recente pubblicazione ma che si basa su anni di lavoro e di articoli pubblicati dall’autore sul Mattino di Napoli: Zero al Sud, di Marco Esposito. Ovviamente non posso riassumere qui il libro, che invito a leggere, ma è indicativo che un giornalista “nordista”, liberista e federalista come Oscar Giannino abbia invitato Esposito nella sua trasmissione radiofonica proprio per spiegare come nei fatti le leggi che dovrebbero tradurre in una realtà i principi dei Lep e dei costi standard siano state scientemente e scientificamente inapplicate a danno del Sud e con la complicità dei politici del Sud. Insomma: il Federalismo fiscale fortemente voluto dal Nord e dalla Lega, le cui regole sono fissate in una legge cui è associato il nome di Calderoli, nella realtà non viene applicato perché sarebbe… troppo favorevole al Sud! Questo paradosso dipende da un fatto semplice e drammatico: la differenza di servizi e infrastrutture tra Nord e Sud in Italia è tale che anche regole “federali” scritte da chi ha a cuore il Nord, se applicate davvero, comporterebbero un enorme trasferimento di risorse verso il Sud. Il Federalismo fiscale consente che i servizi pubblici e i relativi fondi siano disomogenei sul territorio nazionale, a patto che siano rispettati i livelli minimi, ossia i Lep.

La realtà, invece, è che i Lep non sono mai stati stabiliti. Questo è assurdo, e mina alla base l’intero impianto del Federalismo, perché non solo non è possibile stabilire quali siano i servizi che, in adempimento della Costituzione, ogni Comune è tenuto a fornire ai cittadini, ma non è di conseguenza neanche possibile giudicare, alla luce del livello di servizi effettivamente forniti, se un amministratore stia o meno svolgendo il proprio compito. Ma questa “assurdità” è in realtà voluta, perché in assenza di Lep quello che è accaduto (sintetizzo all’estremo) è che si sono adottati come riferimento per i “fabbisogni” di ogni Comune non già i Lep (uguali per tutti) ma valori che tengono conto del livello dei servizi già erogati. A gennaio 2017, fu pubblicato il Rapporto SOSE, nel quale vengono riportati i livelli di spesa attuali e i costi per alcuni servizi essenziali nelle Regioni a statuto ordinario. Guardiamo solo le tabelle relative alla scuola dell’obbligo e agli asili nido:

Fonte: SOSE, Ricognizione dei livelli delle prestazioni che le Regioni a Statuto Ordinario effettivamente garantiscono e dei relativi costi, 2017

Fonte: SOSE, Ricognizione dei livelli delle prestazioni che le Regioni a Statuto Ordinario effettivamente garantiscono e dei relativi costi, 2017


Fonte: SOSE, Ricognizione dei livelli delle prestazioni che le Regioni a Statuto Ordinario effettivamente garantiscono e dei relativi costi, 2017

In sostanza, mentre nelle Regioni del Sud il costo dei servizi non è più alto che al Nord, anzi, il livello dei servizi è drammaticamente diverso: in Campania esistono posti asilo per il 2% dei bambini, mentre in Emilia-Romagna per il 25,2%. Se gli standard minimi fossero uguali per tutti, la Campania solo per i servizi scolastici complementari dovrebbe ricevere dal fondo di perequazione quasi 350 milioni di Euro in più di quanto abbia potuto spendere in passato, e così via per asili nido, trasporti, e tutti gli altri servizi locali. Questo secondo i principi della Legge Calderoli, non le rivendicazioni di qualche neoborbonico.

Ebbene, quindi il Sud riceve, secondo le regole del Federalismo fiscale, questo enorme flusso di denaro? No. Perché? Perché le varie Commissioni e le varie leggi attuative che si sono succedute e che il libro di Esposito riepiloga, non hanno mai fissati i Lep, e hanno anzi “cristallizzato” un “fabbisogno” per ciascun Comune basato largamente sui dati storici, ossia consolidando le disuguaglianze che la Costituzione e la legge imponevano di ridurre se non di cancellare. Insomma, se nelle regioni del Sud ci sono pochi asili nido, forse dipende da una scarsa domanda, o da altre ragioni che giustificano un “fabbisogno di serie B” a cui corrisponde una spesa pubblica di serie B. Tutto questo nella colpevole indifferenza dei politici meridionali che a quelle commissioni avrebbero dovuto rappresentare gli interessi dei loro territori.

Cosa possiamo dire, alla luce di questo quadro sconfortante? Comincio con una confessione personale: io sono un meridionale di nascita che però ha sempre lavorato da Roma in su, inclusi molti anni a Milano. Conosco Napoli, Roma e Milano, e non ho dubbi sul fatto che se a Napoli e Roma si lavorasse come a Milano staremmo tutti meglio (ho scritto come, non quanto: a Milano non si lavora affatto di più, ma il lavoro è molto più produttivo, per ragioni che riempirebbero un libro). La storia del Sud inefficiente e caotico non è solo una storia; ma questa inefficienza e questo caos sono legati a doppio filo a livelli di qualità dei servizi e delle infrastrutture più elementari assolutamente inaccettabili. E che questo accada solo per colpa dei meridionali non è vero, perché le risorse pubbliche destinate al Sud sono talmente inferiori che neanche Fiorello La Guardia potrebbe trasformare Napoli o Palermo in Milano, la città dove secondo il Sole 24 Ore si vive meglio in Italia.

Però ci sono dei meridionali che portano, pressoché intera, la responsabilità di questa pesante ingiustizia: i politici locali. Proprio perché la Costituzione e la Legge 42/2009, se applicate, pur riconoscendo al Nord una capacità autonoma di imposizione fiscale che si tradurrebbe comunque in maggiori risorse, comporterebbero un sostanziale aumento delle risorse a disposizione dei Comuni del Sud, aver accettato che queste norme venissero calpestate contro l’interesse dei cittadini che rappresentavano è un grande delitto dei politici meridionali.
Ora, ci si potrebbe chiedere: ma se il Sud non produce abbastanza ricchezza da finanziare i servizi pubblici essenziali, è equo che sia il Nord a doverli pagare? La discussione sarebbe lunga; diciamo che mentre personalmente sono contrario a trasferimenti di fondi “a pioggia” che magari finiscano in progetti produttivi fallimentari o peggio, secondo me esistono dei servizi di base che lo Stato deve garantire ovunque, e che sono anche necessari perché un territorio possa esprimere le sue capacità civili e produttive, e a pagarli devono concorrere tutti gli italiani. Se, come si vede nel grafico qui sotto, in Emilia-Romagna la spesa di competenza comunale per l’istruzione per ciascun abitante tra i 3 e i 14 anni supera i 1.000 Euro, mentre in Campania non arriva a 300, il risultato non potrà che essere un’ulteriore divaricazione tra i due territori, che si sommerà a quella derivante dalle diverse condizioni socioeconomiche medie delle famiglie in cui questi bambini crescono. Come si vede, in questo caso non è che il Sud sprechi soldi: è che proprio non ne ha da spendere.

Concludo con un aneddoto interno alla redazione di Hic Rhodus. Quando ho spiegato a Claudio Bezzi quello che ho cercato di raccontare in questo post, lui ha osservato “Prima o poi il Sud farà la rivoluzione!”. Io gli ho risposto che, purtroppo, il Sud sta già facendo la rivoluzione, e il modo in cui quella parte d’Italia (e i giovani, altra categoria dei cui svantaggi abbiamo parlato in altri articoli) fa la rivoluzione è votare M5S, ossia l’esatto opposto di quello che servirebbe davvero al Sud e ai giovani. La rivoluzione, in Italia e non solo al Sud, si trasforma istantaneamente nella ricerca del free lunch; e questo è un altro problema.