Premessa intellettualoide: i concetti servono per guidare il senso che diamo alle cose. Se dico “che bel tramonto!” non intendo apprezzare la particolare gamma di infrarosso prodotto dalla nana gialla chiamata Sole, ma il cromatismo effimero che illumina un sentimento ben celebrato da Saint-Exupéry e particolarmente amato da persone innamorate. Se dico “non c’è più religione!” non intendo, letteralmente (sintatticamente) che nessuno va più alla messa ma (semanticamente) che c’è qualcosa che mi turba nel comportamento altrui.
Risparmiando le parole (chi è interessato troverà decine di post pertinenti su questo blog) diciamo allora che anche |destra| e |sinistra| sono concetti che rinviano a significati e a sensi complessi; per esempio:

Ho già avuto modo di accennare al fatto che, pur esistendo, senza dubbi, una ‘destra’ e una ‘sinistra’ politica, ancora oggi, distinte per accenti diversi su alcuni elementi chiave, sempre più questi vocaboli stanno perdendo la loro capacità segnica, di collegamento fra una parola e un concetto. Intese più o meno come descritte nella tabella precedente, ‘destra’ e ‘sinistra’ risultano fortemente carenti. Per esempio dove mettereste i liberalsocialisti (diciamo à la Renzi)? E i fasciocomunisti (tipo il gruppo dell’Intellettuale dissidente)? E la variegatissima famiglia dei popolari? E le varie classi e ceti, sappiamo bene, non sono più polarizzati. E poi, onestamente, come attribuire concetti generali come ‘uguaglianza’, ‘giustizia’, ‘libertà’ solo a una delle due posizioni (non sono mai stati, tali concetti, di una sola delle due, ma in una certa vulgata popolare è parso così).
Questa dicotomia è diventata insostenibile perché unidimensionale. Nei decenni, per una quantità di ragioni che sovente riassumo nel concetto ‘complessità’, è comparsa una secondo dimensione che “dilata” (in senso figurato) la precedente, ponendoci il problema di una mappa concettuale bidimensionale. La seconda dimensione è quella populista che ormai affligge, con differenze principalmente formali, sia la destra che la sinistra. Per andare avanti dovrei quindi prima definire concettualmente |populismo|. Anche questo è già stato fatto in lungo e in largo su queste pagine, ma anziché rinviare a precedenti articoli propongo una definizione di grande sintesi, in questo modo: è populismo politico ogni pensiero, e conseguente azione, che pretende di partire acriticamente dal sentire popolare, senza mediazioni.
In questo modo tagliamo via di netto la politica come professione, la politica come ragione, la politica come avanguardia, la politica come educazione, la politica come programmazione, la politica come visione. E quindi perdiamo gli scopi, gli obiettivi, le strategie, le analisi, le considerazioni sistemiche per le quali economia, finanza, società e tutto il resto sono intrecciate e correlate. E con questo perdiamo anche la relazione fra élite (politiche) e popolo, perché l’accento è solo sul secondo, con ciò snaturando e vaporizzando il ruolo delle prime; non più élite professionali e competenti nel Parlamento e al Governo, ma “portavoce” (svuotati di capacità) o leader condottieri unici, che fanno e disfanno nel tripudio popolare (che sostiene il leader e che lo può abbattere a piacere, popolo servo del leader, e leader schiavo del popolo).
La situazione internazionale mostra questa ondata populista: nell’America di Trump come nell’Europa che sta andando al voto di maggio rischiando di essere sommersa dal voto populista. Taccio sulla Russia di Putin, con un populismo di altro ordine, direi “maturo”, per la quale occorrerebbe approfondire alquanto. In Italia le ultime elezioni in Basilicata confermano il quadro di questi mesi, e a mio avviso ha torto chi sostiene che si va riconfigurando la vecchia dicotomia destra/sinistra (per esempio Marina Sereni del PD, secondo la cronaca della Repubblica). Il calo del M5S non significa un ritorno al bipolarismo novecentesco ma un riposizionamento del populismo, che trova nuovi sbocchi a destra (la Lega soprattutto) e tendenzialmente sempre più anche a sinistra (ne ho parlato QUI).
Arriviamo quindi alla promessa mappa bidimensionale:

Non più, quindi, un continuum sinistra→destra, ma anche uno spazio dilatato in alto (‘alto’ nella figura) dall’insistenza populista con i suoi cascami sovranisti, xenofobi, vuotamente egualitaristi, egoistici e così via e in basso, con qualcosa di inimmaginabile oggi, opposto al populismo, che non posso, al momento, che chiamare “razionalismo”. Uno spazio vuoto e inesplorato, quest’ultimo, dove troveremmo un distillato della migliore politica: capacità di analisi, lungimiranza delle scelte, valutazione dei benefici…
Se potete accettare qualche semplificazione, per necessità espositiva, ecco dunque – a mio parere – il quadro italiano.

Ho messo una freccia puntata verso l’alto per forza Italia che, in grande affanno, ha deciso di accodarsi al carro populista, e al PD che, con Zingaretti, temo abbia fatto una scelta che potrebbe trascinarlo su posizioni più populiste.
Vi prego di non ritenermi vincolato a queste immagini, che hanno solo lo scopo di raffigurare in breve un pensiero più generale che posso, alla fine, riassumere così: oggi ha meno valore la distinzione fra destra e sinistra perché il populismo getta un’ombra su tutto il quadro politico (con ovvie gradazioni differenti) rendendo assai più simili le visioni, le prospettive, le analisi e le strategie. Una differenza assai più rilevante per il futuro del Paese è quella fra populismi di varia natura e l’anti-populismo, o il non populismo, oggi rappresentato solo da forze politiche minori (non solo +Europa).