La recente ondata di scandali politico-giudiziari (la sanità umbra, la “nuova” tangentopoli lombarda, il caso Siri) ha riacceso il dibattito sulla corruzione e su quali possano essere le strategie per arginare questa piaga. Su questo tema vorrei condividere alcune idee pubblicate due anni fa da Francesco Giavazzi e Giorgio Barbieri in un saggio intitolato “I signori del tempo perso” (ossia i burocrati, indicati dagli autori come la vera casta del Paese).
La considero una lettura illuminante perché parte da un presupposto ben preciso: il problema della corruzione non si affronta tentando un’impossibile sostituzione dei disonesti con gli onesti, ma nemmeno -ed è questo il punto fondamentale- con l’approccio fin qui usato da pressoché tutti i governi, riassumibile nella formula “più leggi, più Stato, più repressione”. La ragione è la seguente:
Ogni regola richiede qualcuno che controlli che i cittadini la rispettino: vigili che verifichino che nel bagagliaio le catene da neve ci siano davvero, e che i salvagente sul barchino rispettino il D.M.20.4.1978, vigili del fuoco che diano i permessi per la costruzione di locali pubblici e funzionari CONSOB che controllino i documenti che la banca fa firmare ai clienti, se mai lo fanno.
Sono le regole che rendono necessaria una burocrazia. Il guaio è che i burocrati non sono soggetti passivi (…) Sono individui e istituzioni che fanno i loro interessi. Come tutti. (Giavazzi e Barbieri, op.cit., pag.50).
Per spiegare quanto tutto ciò incida sullo sviluppo di un Paese, i due autori citano nel secondo capitolo l’esperimento di Hernando De Soto.
All’inizio degli anni Ottanta l’economista peruviano Hernando De Soto (…) torna a Lima, ed è colpito dall’enorme povertà che incontra sui marciapiedi e per le strade della capitale. Centinaia di bancarelle abusive (…) dove si vende di tutto (…). Dopo essersi confrontato con numerosi commercianti illegali, De Soto avvia un’innovativa indagine per capire quali siano gli ostacoli che impediscono a questi piccoli imprenditori di aprire un negozio e inserirsi nell’economia legale. Il risultato è che l’enorme quantità di regole da seguire per aprire una piccola attività rende economicamente più vantaggioso restare nell’illegalità. (…) La ricerca doveva avvenire a una condizione precisa: non sarebbero state pagate tangenti se non quando fosse stato a rischio il proseguimento dell’esperimento. (…) Durante questi mesi vengono chieste tangenti per accelerare le pratiche in 10 occasioni diverse. In 2 di queste le mazzette vengono pagate perché non c’è altro modo per proseguire l’esperimento. In tutti gli altri casi i ricercatori si rifiutano di versarle, al costo ovviamente di una maggiore perdita di tempo per ottenere le autorizzazioni necessarie.
(…)
Successivamente, il team di De Soto svolge lo stesso esperimento in altri Paesi emergenti, con risultati simili a quelli del Perù. In Egitto, ad esempio, chi vuole acquistare e registrare un lotto di deserto deve affrontare 77 procedure amministrative di 31 diversi uffici pubblici: il tempo necessario varia tra i 5 e i 14 anni.
Come si può vedere, alcuni degli ultimi scandali italiani sono riconducibili a questo scenario. Spiega Il Post
Secondo l’accusa, Arata avrebbe chiesto a Siri di fare approvare una norma che avrebbe reso più larghe le maglie per alcuni incentivi legati alle energie rinnovabili, di cui quindi avrebbero beneficiato le sue società impegnate in quel settore.
Indipendentemente da quale sarà l’esito dell’inchiesta su Siri, siamo evidentemente davanti ad un perfetto “brodo di coltura” di corruzione:
a) Il Governo incentiva direttamente (cioè con trasferimenti diretti di denaro) alcuni specifici settori
b) L’elenco dei beneficiari, l’ammontare dei benefici e le modalità di erogazione degli stessi sono demandati alla scrittura di apposite norme, il che conferisce enorme potere a chi materialmente quelle norme dovrà scriverle
Conseguenza del punto b) è che chi scrive le norme può diventare oggetto di corruzione o attore di concussione. Idem per eventuali ispettori che dovessero eseguire controlli sui beneficiari.
Dinanzi a tutto ciò, finora l’approccio è sempre stato -come si diceva all’inizio- “norme più stringenti, pene più severe per i furbetti e maggiori controlli”. Il problema è che per punire qualcuno i reati vanno prima scoperti, e in un Paese in cui la corruzione è la norma è molto probabile che chi dovrebbe scoprire i reati si lasci a sua volta corrompere per non denunciarli.
Per queste ragioni Giavazzi e Barbieri propongono un approccio diametralmente opposto: “meno leggi e meno regole, più liberalizzazioni, più concorrenza“.
La prima proposta (…) richiederebbe un cambiamento del nostro modello di Stato: (…) muoverci verso una società imperniata, anziché su leggi e regolamenti emanati dallo Stato, su contratti privati, giudici e arbitri. (…) Siamo sicuri che se il transito di navi oceaniche nel bacino di San Marco fosse regolato da un contratto privto fra la città di Venezia e gli armatori, anziché da un decreto legge che a cinque anni dall’approvazione non è ancora in vigore, quelle navi continuerebbero a transitare? E se il contratto non prevedesse quei transiti, qualora le compagnie di navigazione non lo rispettassero, la città potrebbe rivolgersi a un giudice che imporrebbe l’applicazione quanto previsto dal contratto. Un singolo giudice, non il TAR, o il Consiglio di Stato, che da cinque anni impediscono l’attuazione di quelle norme
Mi vengono in mente almeno altri due settori in cui il dirigismo statale funge da naturale incubatore di corruzione: le agevolazioni fiscali (le cosiddette “tax expenditures”) e gli ammortizzatori sociali.
Sulle prime si è espresso svariate volte Mario Seminerio sul suo blog:
secondo uno studio di Unindustria, nel 2016 in Italia esistevano 799 tax expenditures, cioè agevolazioni fiscali di vario tipo, tra deduzioni e detrazioni. Il totale di queste spese fiscali ammonta a 313 miliardi di euro di base imponibile erosa, con minor gettito pari all’8% del Pil (…) Secondo Unindustria, siamo al primo posto in Europa per queste caramelle fiscali, lo strumento col quale i politici comprano il consenso di segmenti di elettorato e costringono le aliquote nominali a restare elevate (…) Questi numeri sono l’indicatore dell’intensità della malattia corporativa di un paese. Non avendo risorse fiscali per ridurre le tasse erga omnes, i politici si inventano le tax expenditures per accalappiare gruppi di elettori. Il circolo vizioso si perpetua, i benefici fiscali diventano “diritti acquisiti” nella patria dei medesimi, e nessuno riesce più a rimuoverli.
A detta di molti economisti (ad esempio Veronica de Romanis dell’Osservatorio sui conti pubblici) un “disboscamento” di questa selva di agevolazioni consentirebbe di trovare la copertura per abbassare il cuneo fiscale per tutte le imprese. Ma a ciò si può aggiungere un altro vantaggio, ossia la semplificazione burocratica, con conseguente minor rischio di corruzione.
Discorso analogo si potrebbe infine fare per le forme di sostegno al reddito. Il dibattito avviato in molti Paesi sul Reddito di base (in alcuni casi si è arrivati anche a sperimentazioni, ad esempio in Finlandia) ha spesso avuto al centro proprio il tema della semplificazione burocratico-amministrativa (e del contrasto a potenziale corruzione) nella somministrazione degli assegni. Avere cioè un ammortizzatore sociale unico, in luogo delle molte tipologie di aiuto attuamente presenti non solo in Italia ma anche altrove, potrebbe semplificare la burocrazia, riducendo la condizionalità e di conseguenza il rischio di corruzione.
Riferimenti bibliografici:
-I signori del tempo perso, Giavazzi & Barbieri, Longanesi 2017