Il giornale di oggi: il figlio di un noto personaggio accusato di stupro (ma aspettiamo le indagini); tal Sebastiani ha ammazzato la compagna Elisa perché si era stufata di lui; bimba violentata dal nonno; ferma una macchina per chiedere aiuto ma stupra per ore la donna che si era fermata. Oggi. Fermo restando che – malgrado gli allarmismi – l’Italia è uno dei Paesi al mondo meno violenti in assoluto, e nello specifico più sicuri anche per le donne (ne abbiamo parlato QUI l’ultima volta, aggiornando dati precedenti), credo che siate d’accordo con me che anche un femminicidio, anche un solo stupro, sarebbe troppo, e che comunque vi è una diffusa violenza domestica e abusi che sfuggono alle statistiche. Quindi questo post non intende contribuire alla notizia falsa di un presunto allarme, se non nel senso già detto: anche una sola violenza è una violenza schifosa.
Perché? Perché quella sulle donne e – occorre aggiungere – i minori, sono basate sull’assunto, da parte del carnefice, che la vittima sia inferiore “in quanto donna” (in quanto minore), e che sia quindi a disposizione, usabile, e quindi abusabile se si sottrae. C’è una ricca letteratura che spiega benissimo il quadro personologico e antropologico di questo pensiero maschilista e patriarcale.
Alcune letture:
- Femminicidio: la psicologia di un delitto. Tratti personologici di vittima e carnefice, di Alessandra Bulgarelli e Elisa Lai, “State of Mind”, 16 feb 2018;
- Vittime e carnefici: I profili psicologici nelle dinamiche di violenza domestica e violenza sessuale, di Carmen di Rosa e Marco Matteoli, “La medicina della povertà”, 26 ago 2018;
- Alle radici della violenza degli uomini sulle donne, di Silvia Bonino, “Psicologia contemporanea”, 22 apr 2016.
- Per una critica di genere all’idea di sicurezza, di Granca Garreffa, “Quaderni di Sociologia”, n. 53, 2010.
- Violenza di genere [ampia bibliografia commentata], “Gruppo Abele”.
Come era ovvio, abbiamo interpretazioni, abbiamo spiegazioni, e sapremmo anche intervenire, in termini di aiuto, se vittime e aggressori fossero consapevoli e desiderosi di farsi aiutare ma – com’è noto – le vittime in particolare sono in una condizione psicologica di estrema prostrazione, paura, ricatto (specie in presenza di figli) e, in conclusione, una gran parte delle violenze domestiche resta ignota e comunque impunita. Quello che arriva sui giornali è la punta d’iceberg di un fenomeno assai più vasto. Arriva spesso quando l’atto finale è stato compiuto e l’assassino catturato. Da sociologo vi dico che ho gli strumenti per analizzare e comprendere il suo vissuto a sua volta traumatico; lo stalker, lo stupratore, il femminicida, hanno passati di abuso, di figure materne terribili, di bullismo subito… un sacco di questioni che ci aiutano a comprendere tecnicamente il fenomeno. Ma la comprensione sociologica (o psicologica) non deve diventare sociologismo ideologico (o psicologismo ideologico) dimenticando che molteplici persone sono vittime di abusi infantili, o hanno avuto figure genitoriali terribili, o hanno avuto un’infanzia e una giovinezza triste, o altro, senza con ciò diventare stupratori. C’è sempre una componente di scelta. Se anche la scelta del “male”, a un certo punto dello sviluppo della personalità, è suadente e facile, eppure è una scelta. Un discorso che ci porterebbe lontano, troppo lontano, e che non vorrei approfondire ora perché ho un obiettivo diverso.
Io ho un pensiero scorrettissimo su questa materia. Un pensiero che mi attirerà strali e inimicizie (e che è personale e non coinvolge, ovviamente, Hic Rhodus in quanto tale). Io credo all’opportunità della pena capitale. Ecco, l’ho detto. Non in quanto deterrente, perché è notissimo che non lo è; non in quanto “giustizia” che è termine relativissimo, fondato su valori morali distinti e cangianti. Forse in parte per vendetta, sì (sentimento non cristiano, lo so, ma che volete…), ma non è nemmeno questo il punto; la vendetta è un sentimento umorale feroce, e io invece vorrei fare un ragionamento freddo, razionale.
Che sarebbe il seguente.
Siamo 8 miliardi sulla Terra, milione più, milione meno, oppressi da problemi cruciali ed epocali (ambiente soprattutto, diseguaglianze sociali, migrazioni di massa…), e centinaia di migliaia di persone (perlopiù bambini) muoiono ogni giorno di fame e di sete, uccisi da pallottole benedette da un qualche dio, di fatica, di malattie. Perché dovrei preoccuparmi di un piccolo schifoso (uno, 1) che infrange ogni regola di convivenza alla sua base? Il delitto contro le donne in quanto tali, e contro i minori, è un delitto contro l’essenza dell’essere umani, civilizzati, in difficile progressione dalla barbarie a una via d’uscita verso il futuro. È il delitto per il quale un uomo decide che un’altra persona è nella sua disponibilità, e se non è così tale disponibilità bisogna estorcerla, approfittando della sua debolezza fisica e/o psicologica. E’ la negazione dell’uguaglianza nello scambio sociale. È il chiamarsi fuori da ogni contratto sociale negando la propria appartenenza a questa società. Riduzione in schiavitù, femminicidio e stupro, molestie ai minori, non sono delitti della stessa stregua della rapina in banca, della truffa o dell’omicidio di camorra. Questi ultimi sono passibili di “rieducazione” (che sarebbe l’illusorio obiettivo della pena), ma non i primi, e qualora costoro fossero rieducabili, a che scopo?
A un caro amico che – tempo fa – dopo una mia allusione a questo mio sentire, mi ricordava Cesare Beccaria, rammento che sono passati due secoli non proprio trascurabili. Beccaria era contrario alla pena di morte perché inefficace come deterrente e, specialmente, perché gli pareva una pena lieve e troppo comoda per il reo, che se la cavava – diciamo così – velocemente, mentre una condanna esemplare a vita, e ai lavori forzati, era non solo un deterrente migliore ma anche una vendetta sociale più esemplare. Questo è Beccaria che, BTW, giustificava anche l’uso delle armi per difesa personale (per fortuna che non ne hanno informato Salvini…). Posto che la deterrenza non la fa neppure l’ergastolo, bisogna ricordare che oggi anche questa pena ci fa orrore, più che mai i lavori forzati! In un mondo civile, tutti pensiamo, la pena deve essere equa, proporzionata al crimine, ma appunto rieducativa. Il “fine pena mai”, che nella nostra legislazione è riservata ai mafiosi e terroristi, è stata recentemente condannata dalla Corte Europea dei diritti umani. Quindi, chiarendo: la pena capitale non come “pena” (in una scala di gravità, dove al minimo c’è la sanzione amministrativa, a metà alcuni anni di galera e al massimo la morte), ma come pulizia sociale. Non è eugenetica; non si tratta di ripulire la razza dagli indegni. Semplicemente non li vogliamo fra noi, non sono parte dell’umanità, hanno negato la loro appartenenza al “noi” abusando di un bambino, maltrattando e poi uccidendo una donna, riducendo in schiavitù donne (o anche uomini, ovvio, anche se assai raro). Vorrei dire: capisco (sociologicamente) il rapinatore, il truffatore e il mafioso, e credo che l’opera di repressione dei loro crimini e la loro rieducazione e – qualora possibile – reinserimento sociale, siano cose buone e giuste. Parimenti, con la stessa logica, ritengo l’essere umano indegno che ammazza la compagna perché se ne vuole andare, quello che abusa di un bambino (e qui mi fermo, ma a stento) meritino una feroce repressione e nessun tentativo di rieducazione.
Siamo tanti, troppi, ancora troppo violenti e confusi, il nostro sforzo verso un qualunque futuro, migliore di questo, può fare semplicemente a meno di loro.
Alcune risposte preventive:
- Sì, conosco l’art. 27 della Costituzione;
- Certo, la pena di morte è abolita in tutta Europa;
- No, non credo che la vita umana sia “speciale” e indiscutibile o addirittura sacra;
- Altri reati? Moltissimi spregevoli, con conseguenze gravi per la collettività, ma non li includo nel mio elenco.