Renzi lascia il PD e a noi tocca scrivere un post

Che noia. Ma soprattutto, che spreco: di tempo, idee, opportunità. 

Che noia. Che film già visto, quello del leader a cavallo di un cavallo che preferisce essere solo nel suo villaggio che secondo a Roma.

Che noia. Ci fosse un momento di pace per occuparsi d’altro; ci abbiamo provato, qui su HR, a scrivere d’altro per due o tre giorni, ma niente: occorrerà pur dire alcune cose sulla Famosa E Alquanto Attesa Scissione Del Senatore Renzi.

Mi sembra tutto così stracco e noioso che sarò lapidario e sintetico. Poi troveremo la forza, assieme all’altrettanto stanco Ottonieri, di entrare nel merito di singole questioni, quando converrà.

  1. Renzi ha avuto l’opportunità di una frattura clamorosa all’epoca bella del 40%, col partito in mano sua, Berlusconi dalla sua, con la Ditta ottusamente contro. Se fosse stato all’epoca spregiudicato come lo è adesso (ma era giovane e poco esperto) avrebbe spinto la frattura agli estremi, lasciata la Ditta al suo destino e portato il PD, o quel che ne rimaneva, o la sua formazione (a seconda di come si sarebbe evoluta la frattura) alla posizione di centro[trattino]sinistra, liberal-socialista, sua propria; oggi, onestamente, dovrebbe spiegarci perché rompere ora; l’unica spiegazione riguarda il mero tatticismo, il posizionamento furbo, la ripicca sui sottosegretari e altre questioni di bassissima fattura. Non c’è una logica “politica” alla scissione ora. Poteva esserci più avanti, prendendo a pretesto scelte di governo discutibili e andando, su quelle, a litigare con Zingaretti, ma non ora, all’indomani della giravolta da lui orchestrata per mettere in piedi questo governo. E d’altronde nell’intervista di oggi a Repubblica parla del suo disagio personale dentro il PD, non di un programma, di una visione alternativa, che pure lui ha, che avrebbe avuto altri tempi e modi di far maturare.
  2. Sotto la pesante Egida del punto precedente, che non si può sottovalutare, ritengo anch’io che manchi (anzi: che sia mancato finora) un soggetto politico liberal-socialista. C’è +Europa, certo, di impronta più radical-liberista, e null’altro, e probabilmente un mercato elettorale per socialdemocratici, liberali, socialisti riformisti, c’è; anche da parte di elettori che finora hanno guardato, con sempre maggior sgomento, a Forza Italia. Lo spazio c’è, e se Renzi recupera la sua visione originaria le idee interessanti non mancheranno. Qui a HR seguiremo l’evoluzione del renzismo senza pregiudizi, sotto il profilo dei contenuti e delle proposte.
  3. Il complessivo quadro politico esce comunque sconvolto. Qui non si tratta solo di una scelta di Renzi ma di equilibri da ridisegnare; ora – assai più di ieri – Renzi ha una pistola puntata alla tempia di Conte (in realtà: di Zingaretti) e potrà con più libertà condizionarne l’operato. Alle regionali, ad iniziare dall’Umbria ad ottobre, Renzi avrà buon gioco nella critica all’immonda alleanza PD-5Stelle (che sia immonda è un mio parere, ma pare che Renzi vada in questa medesima direzione). Forza Italia, defunta da tempo, trova una sponda a sinistra per quei/quelle liberali (vedi Carfagna) che non seguono Toti nell’abbraccio mortale di Salvini, né intendono vegliare la quasi-salma per un periodo indefinito passato nella consunzione. 

Renzi ha sparigliato, sì. Renzi è tornato protagonista. Le energie, le idee e la smisurata ambizione sono lì a sostenerlo. Vedremo. Avremmo preferito – a parità di energie, idee e ambizione – la capacità di distacco, che è propria di un vero leader, e la non personalizzazione continua, esasperante, immancabile, di ogni vicenda. Perché è questa personalizzazione che ha perso già tanti, a destra come a sinistra.